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Regular Dreams | Monica Mazzone e Marta Ravasi

Lo spazio indipendente di Locarno la rada ospita ancora per pochi giorni, Regular Dreams, una mostra con le opere di Monica Mazzone e Marta Ravasi, curata da Valentina Negri. Regular Dreams è stata pensata come dialogo tra i linguaggi delle produzioni delle due artiste, dove la geometria e la razionalità di Monica si confronta con […]

Regular Dreams – Monica Mazzone, Marta Ravasi – la rada, Locarno. Foto Cosimo Filippini.

Lo spazio indipendente di Locarno la rada ospita ancora per pochi giorni, Regular Dreams, una mostra con le opere di Monica Mazzone e Marta Ravasi, curata da Valentina Negri.

Regular Dreams è stata pensata come dialogo tra i linguaggi delle produzioni delle due artiste, dove la geometria e la razionalità di Monica si confronta con la ricerca pittorica emotiva di Marta.
L’apparente disparità e diversità tra le produzioni sono sottese al tentativo ossessivo di ricerca della perfezione e della trasposizione materiale delle idee (tormentate) che accompagnano le artiste nella vita quotidiana.

Segue una ‘chiaccherata’ tra Valentina Negri e le due artiste —

Valentina Negri: Beh, innanzitutto, vi piace la mostra? Siete soddisfatte del risultato?

Marta Ravasi:

Monica Mazzone: certo, ovvio.
Mi sembra un buon insieme di lavori, come un fiume che percorre una vallata e ogni riva è un ambiente diverso. Quello che più mi gratifica è lo scambio di opinioni, questa mostra è stato un processo più che un risultato, far convivere due ricerche diverse potrebbe sembrare non semplice, ed infatti in alcuni momenti non lo è stato, ma fin dal primo incontro con Marta si sono evidenziate delle peculiarità che ci accomunano. Poi che dire, infinita la disponibilità di Riccardo Lisi, direttore de la rada e incalzante la visione della curatrice Valentina Negri. Davvero raro poter lavorare in armonia e libertà nonostante le discordanze, vorrei davvero ringraziare tutti.

V: sono d’accordo Monica, è stato un processo in divenire, secondo me non si è ancora concluso…ma veniamo a voi, inziamo da una domanda scontata ma necessaria: chi o che cosa influenza maggiormente la vostra ricerca?

Monica: sono una lettrice curiosa e vorace, prendo spunto da ogni dove, ma il mio pozzo senza fine è senz’altro la geometria (Euclidea)e lo studio assiduo della matematica. I numeri sono la cosa più strana al mondo per me, faccio sempre questo esempio, in fondo, se ci si pensa, di un numero è facile dire a cosa serve, quasi impossibile dire cosa è.
Il mio riferimento è sempre la geometria Euclidea che per molti è superata e obsoleta dato l’avvento di un pluralismo metodologico, da prima con la geometria ellittica e quella iperbolica e poi con gli importanti studi odierni della fisica quantistica, dove il metodo non ricopre più il ruolo fondamentale, ma l’attenzione è traslata sui criteri di controllo.
Il mio punto di vista invece non ricerca la completezza di conoscenza, piuttosto la verità assoluta e l’origine formale in tutta la sua assurdità, accettandone l’aspetto fallimentare fin dal principio, senza mai demordere.
Il punto è scegliere la geometria per descrivere la realtà in una sorta di continua sperimentazione soggetta ad infinite revisioni che portano quasi sempre ad uno stesso risultato.
Elaborare arbitrari assiomi e prospettive personali visive e di significato, convenzioni da rispettare, norme con cui regolare il quotidiano.
Dunque, contrariamente a quanto molti pensano, esistono sistemi di riferimento geometrici contraddittori fra loro: la matematica, infatti, è bizzarra, viva ed umorale oserei dire, nel mio caso soprattutto emotiva. Sono ossessionata dai numeri, mi piacciono, mi lusingano, mi permettono di tradurre visivamente le sensazioni. Testa e cuore in una assoluta biunivocità.

Marta: la mia pittura è fatta di automatismi e di richiami. Ogni quadro influenza il successivo, ogni volta che dipingo e quell’ultimo strato sembra pretenzioso, falso, pesante, lo cancello e tirorno a uno strato uniforme e umido che mi permette ancora di aprire tutte le possibilità. Allo stesso tempo ogni strato insegna qualcosa al successivo conservando nella mano la memoria  e mi aiuta a definire la forma finale.
La  mia influenza più grande è la pittura nel suo farsi, fatto di imprevedibilità, astinenze e scorpacciate. E poi c’è la mia emotività, che ultimamente percorre una vena sinistra alla quale mi sento affine.

Regular Dreams – Monica Mazzone, Marta Ravasi – la rada, Locarno. Foto, Cosimo Filippini.
Regular Dreams – Monica Mazzone, Marta Ravasi – la rada, Locarno. Foto, Cosimo Filippini.

V: si, Marta, devo dire che questa tua “emotività sinistra” si nota nei tuoi quadri più recenti, come in Brunch che abbiamo esposto qui, vero?

Marta: si, Il quadro ritrae un piatto di antipasto consumato al Brunch del primo giorno del 2019. Il lusso di questo piatto, con fette di melone, salmone, ostriche e altro mi ha commosso per  il contrasto tra il suo valore e la semplicità dei suoi protagonisti. Come se mi sentissi benedetta in questo giorno e ne volessi rinnovare l’augurio. Ho provato a dipingere questo soggetto varie volte, a definirne la ricchezza dei colori e delle consistenze, ma il risultato finale è stato un’ombra che non conserva questi aspetti, ma al contrario ne definisce solo vagamente le forme, creando una sorta di pattern tra pieni e vuoti quasi lunare, malinconico e saturnino.

V: Marta come definiresti il tuo approccio visivo?

Marta: emozionale ed emotivo.
Ci sono le immagini (tante) e il quadro (uno) e mi ci dirigo in due direzioni: rivolgendomi all’esterno e all’interno, dove all’esterno c’è un’intenzione e all’interno un impulso. Cerco le immagini per garantire la sopravvivenza della sequenza dei quadri (che nascono in successione ma non seguono una narrativa) e tra queste riconosco le immagini interne solo quando improvvisamente al quadro corrisponde una forma che è entrambe. Sembra succedere in modo autonomo da me e io sono allo stesso tempo molto presente e molto assente. Il mio approccio visivo è molto sincero e la mia pratica non potrebbe svilupparsi altrimenti.

Marta Ravasi, Melon, 2018, oil on canvas – Foto, Cosimo Filippini 2018

V: Invece tu, Monica, come definiresti il tuo approccio con lo spazio e cos è per te lo spazio?

Monica: lo spazio è essenzialmente l’unica dimensione esistente, prolunga della mia persona è il luogo che frequento, che invado e da cui sono invasa quotidianamente. Percepisco lo spazio come l’origine possibile, cerco dunque di studiare costantemente quale è il significato delle entità che solitamente chiamiamo “dimensioni”.
Cercare di rappresentare lo spazio in modo lineare, logico e razionale senza negare la possibilità della continuità formale.
Ogni qualvolta sono a tu per tu con un progetto nuovo risuona nella mia testa una sola domanda: “Che tipo di spazio occupa il riflesso di uno “spazio”?”
Ovvero, quali sono le ipotesi di significato e di rappresentazione che si celano dietro questo luogo percettivo? L’approccio al disegno tecnico e lo studio della geometria descrittiva mi permettono di affrontare la questione con tracciati in cui il disegno bidimensionale coincide con la tridimensionalità dando vita a geometrie impossibili, che seguono regole giustificabili, ma del tutto inventate.
Lo spazio in questi termini diventa rappresentazione di se stesso espressa con codici modulari e geometrici che vanno oltre le finalità costruttive e compositive, sono una sintesi architettonica emozionale.

Monica Mazzone, interno tutto tondo (2), 2019, alluminio – la rada, Locarno. Foto, Cosimo Filippini.

V: come nell’opera Dimensione notevole che hai pensato appositamente per lo spazio de la Rada, o sbaglio?

Monica: “Dimensione notevole” è la visualizzazione dell’intervallo notturno e onirico, il tentativo di rappresentare lo spazio che occupo quando dormo; spesso faccio sogni simbolici in cui sposto oggetti geometrici all’interno di piani cartesiani. Il mio corpo si trasla letteralmente nel letto, a volte è piacevole, spesso doloroso. Decisamente un altrove, la dimensione astrale probabilmente, dove poter inventare unità di misura, gestire l’ambiente ed esserne succube al tempo stesso. Entrare e uscire, verde e viola, salire e scendere. Ruotare.

V: Per voi ha più importanza l’esecuzione o l’idea nel vostro processo creativo?

Monica: nella mia ricerca non esiste una priorità, tutto è sullo stesso piano, l’invenzione aberrante delle regole e l’applicazione logica delle stesse sono fasi alternate di un unico andamento. Parto da un concetto, ne studio la risoluzione numerico-visiva, scelgo il media che meglio può esprimere quell’idea, dunque che si tratti di pittura o di scultura, per me è sempre l’esplicitazione visiva di un atto silente, ma sensoriale, con una carica emotiva controllata. Sono trascrizioni di uno sviluppo concettuale che si fa concreto descrivendo una dimensione ipotetica ma plausibile
L’idea invisibile di esprimere la funzione per eccellenza con un automatismo regolato, quasi fosse intrinseca al processo, l’immagine del processo stesso ricercando una sorta di “Rappresentazione Immaginifica”.
Il criterio dell’evidenza si produce e si distrugge in un’alternanza senza fine e come risultato ottengo forme semplici, basilari, il magnetismo degli elementi primi riconoscibili da chiunque, riconducibili a qualunque cosa.
Le tre forme per eccellenza con cui tradurre ogni tipo di immagine in un rapporto diretto con il mondo reale, il cerchio il triangolo il quadrato.

Marta: vanno insieme e non coincidono, l’idea viene rimossa sradicata dall’esecuzione, ma riemerge poi in qualche lavoro più in là. Entrambe hanno lo stesso peso, ma spesso mi fa male la testa, mentre la mano è instancabile. Ha molta importanza anche un preciso momento, che sta tra le due, in cui capisco che me la sento, che sto arrivando al termine, dopo aver percorso la stessa strada varie volte provando a aprire una nuova via.

Regular Dreams – Monica Mazzone, Marta Ravasi – la rada, Locarno. Foto, Cosimo Filippini.
Regular Dreams – Monica Mazzone, Marta Ravasi – la rada, Locarno. Foto, Cosimo Filippini.

V. come volete che vengano osservate le vostre opere?  Cosa volete che lo spettatore tragga da questa esperienza?

Marta: credo che ogni lavoro – se ascoltato – possa guidare lo spettatore e suggerire il modo in cui meglio essere guardato. Alcuni inducono a una forte intimità e inclusione, mentre altri necessitano di più distacco. Sono fortemente dipendenti dalla luce e mi piace tornare a controllarli in diverse situazioni, con il più leggero cambiamento infatti mi rabbuiano o mi accendono.

Monica: la fruizione è ovviamente determinante, ma proprio per questo credo debba essere il più possibile aderente alla libertà esperienziale del singolo.
Ognuno possiede una unicità di visione, non credo si debba addomesticare la curiosità.
Fatta la premessa, il mio lavoro parla dello spazio e della possibilità di esprimere con una tensione ordinata determinate sensazioni, mi piacerebbe che venisse alla luce l’importanza delle aree bianche nei dipinti come il prolungamento del muro, dello spazio ipotetico, in corrispondenza allo svolgimento delle geometrie. Le sculture hanno delle costruzioni in cui l’incastro, l’equilibrio e il bilanciamento del peso rispetto alle dimensioni sono fondamentali. Le forme, poi, tendono alla perfezione; la superficie offre una pulizia quasi clinica che spesso è accompagnata da graffi e sbavature che raccontano il lavoro manuale.
Vorrei si percepisse la ricerca dell’oggettivazione con il calore di un abbraccio.

V: Entrambe siete cresciute e vi siete formate artisticamente in Italia ma ora vivete all’estero, che influenza ha nella vostra ricerca il luogo in cui vivete ora? 

Marta: mi lascio sorprendere, e la Svizzera non era nei miei piani. Per me è ancora molto ambigua, mi aiuta e mi punisce allo stesso tempo. Dipende da quanto è scuro il lago. 

Monica: dal 2015 vivo tra Milano e New York, con vari viaggi anche nella direzione asiatica.

New York è una città molto stimolante, le innumerevoli possibilità di vedere mostre e incontrare gente molto diversa da me sicuramente hanno influito sul mio approccio all’arte. Ho imparato ad essere più flessibile con l’intorno, ad inventare soluzioni, ma anche a mantenere rigida la ricerca e sentire sempre meno la necessita di dover compiacere gli altri.In fondo non voglio credere che il mio valore artistico e di essere umano dipenda costantemente dal giudizio degli altri. Dunque più che essere stata influenzata sulla ricerca, sono stati i risvolti personali ad evolversi, vado dritto per la mia strada, squadra e colori alla mano, mi adatto all’ambiente, ma non cambio le mie necessita di analisi e osservazione del mondo.

V: cosa farete dopo che questa mostra finirà?

Monica: sicuramente un drink tutti insieme per festeggiare la serata e magari della musica ad alto volume, poi l’ennesimo volo per gli States. Da domani si torna al lavoro, mi aspettano un progetto di public art che prevede la realizzazione di una scultura in un parco, una bella collettiva e il prossimo solo show.

Marta: Riordino il mio studio, sto cercando di lavorare in grande scala.

REGULAR DREAMS, dal 30 marzo al 1 maggio
la rada, Locarno (direttore Riccado Lisi)
Artiste: Monica Mazzone e Marta Ravasi
A cura di Valentina Negri

Marta Ravasi, NYT, 2018, oil on canvas – Foto, Cosimo Filippini 2018
Monica Mazzone, Dimensione notevole, 2019, olio su tavola- la rada, Locarno. Foto, Cosimo Filippini.
Marta Ravasi, Left, 2018, oil on canvas 9 – Right, 2018, oil on canvas – Foto, Cosimo Filippini 2018