Testo di Giulia Russo —
Esistono luoghi che sanno parlare. Le ex Officine Meccaniche Reggiane – fondate a Reggio Emilia nel 1901 e oggi riconvertite in polo di innovazione – raccontano una storia fatta di lavoro, lotte, abbandoni e rinascite. Qui il tempo sembra in bilico, come in un’attesa sospesa: è in questo spazio denso e vibrante di tracce vive, che nasce «SANTA», un progetto site-specific che intreccia danza contemporanea, arti visive e memoria storica in un viaggio multisensoriale immersivo e corale.
Ideato da Gigi Cristoforetti e promosso dal Centro Coreografico Nazionale / Aterballetto in coproduzione con la Compagnia Sanpapié, lo spettacolo è curato da Nicolas Ballario, con azioni coreografiche di Lara Guidetti, costumi di Maria Barbara De Marco, sound design di Marcello Gori e la presenza di alcune opere di Maurizio Cattelan.
Il risultato è deflagrante.
SANTA rappresenta la prima tappa di Danze dell’Utopia, un programma triennale volto alla rigenerazione di spazi urbani, storici o degradati, trasformati in scenari suggestivi per la comunità.
L’idea è quella di mescolare discipline artistiche e linguaggi apparentemente distanti, nel tentativo di ibridare nuovi pubblici che, in realtà, spesso coincidono.
E perciò la scelta di Reggiane Parco Innovazione non è casuale: l’ex fabbrica, grande protagonista della storia di Reggio Emilia e della manifattura italiana a cavallo tra le due guerre — negli anni ’40 impiegava fino a 12.000 persone nella produzione di treni, aerei militari e munizioni — è oggi sede di centri di ricerca ad alta tecnologia, imprese culturali e startup.
Ma cosa è esattamente SANTA?
«Una preghiera? Un’imprecazione? Il titolo fa forse riferimento al quartiere Santa Croce?», si chiede il curatore Nicolas Ballario presentando il progetto. E aggiunge: «SANTA è un titolo che accende domande più che offrire risposte. È un invito a guardare, sentire e pensare senza ridurre o etichettare. Un atto di nomina che apre lo sguardo, in opposizione a ogni chiusura. Un percorso di racconto, anzitutto di questo posto».

Nulla viene svelato in anticipo: resta solo la nostra fede cieca nel seguire gli straordinari performer (Gioele Cosentino, Vittoria Franchina, Gador Lago Benito, Alberto Terribile, Kiran Luc Gezels, Alessia Giacomelli, Michele Hu, Karline Olivia Kotila) — diretti con maestria da Lara Guidetti — in una coreografia intensa che si sviluppa lungo un itinerario spesso accidentato, fatto di grate, scale e architetture industriali.
L’unica traccia, ascoltata rigorosamente in cuffia e in privato, è la voce narrante di Nicolas Ballario, che, come un aedo contemporaneo, accompagna il nostro viaggio raccontando la storia lunga un secolo delle Officine Reggiane, intervallato soltanto – secondo la drammaturgia – dalle coltissime scelte del sound designer e compositore Marcello Gori, che spazia con finezza da John Cage a Händel, dall’elettronica alla musica classica.
«Gli operai non potevano accedere a questi piani, i piani alti. La traiettoria dove siete ora è la stessa da cui partirono i colpi».
Pausa. Sgomento. Queste immagini lasciano senza fiato chi, come me, non conosceva la storia di questi luoghi. Il giornalista e curatore si riferisce ai tragici eventi del 1943, quando gli operai, stanchi di una guerra insensata, scioperarono contro la produzione bellica: per tutta risposta l’esercito aprì il fuoco sulla folla di dissidenti, uccidendo nove persone, tra cui una donna incinta.
Nel 1950, durante un durissimo dopoguerra, ha inizio la più lunga occupazione industriale della storia italiana: un anno intero in cui gli operai continuarono a recarsi al lavoro senza percepire alcun salario. In quel periodo realizzarono un trattore cingolato, nel tentativo di dimostrare che le Reggiane potevano riconvertire la produzione militare in macchinari agricoli. Ma nell’ottobre 1951, l’azienda fu comunque messa in liquidazione coatta.
Agli operai lasciati a casa, fanno eco, a questo punto dello spettacolo, i danzatori che — indossate preziose maschere zoomorfe — si trasformano nei musicanti di Brema: come nella fiaba dei fratelli Grimm, un gruppo di emarginati che, per sfuggire a morte certa, unisce le proprie forze e diventa artista di strada. A fare da contraltare alla fiabesca intraprendenza, gli HOMELESS (Daniel, 2025; Elina, 2025), di Cattelan, realizzati con stracci e indumenti, che abitano lo spazio rannicchiati contro i muri, sorprendendoci nella nostra quotidiana indifferenza. Un memorandum neanche troppo datato di quando lo spazio delle Reggiane, abbandonato e dimenticato, fu occupato da senzatetto ai margini della società.

«Le opere di Maurizio Cattelan diventano ponte mobile tra lo spazio in cui si trovano e i nostri corpi», dichiara Lara Guidetti, e precisa: «In questo contesto la danza è un flusso dinamico costante che si muove nello spazio: non ci sono filtri, perché non siamo a teatro. La nostra posizione di spettatori è fluida, si costruisce insieme ai danzatori, come un corpo unico. Non abbiamo sottratto nulla a ciò che avremmo fatto sul palco, ma essendo una fruizione in movimento si crea un’altra esperienza, e ci si muove all’interno di una parola che è prossimità».
E infatti, poco più in là, dopo un breve intermezzo all’aperto, come rapiti da un moderno Pifferaio Magico, seguiamo una riproduzione itinerante di «L.O.V.E.» (2010): la dissacrante mano in marmo di Carrara, con tutte le dita mozzate tranne il medio, sollevato verso il cielo davanti alla Borsa di Milano. Qui è trasportata su un’Apecar in lenta processione come una Vergine, e ci invita a seguirla: una scena ironica e potente che ci legittima a compiere a nostra volta un piccolo gesto di ribellione, interrompendo per qualche minuto la viabilità, sotto lo sguardo curioso dei residenti.
«SANTA» non è una performance, né arte visiva o teatro: è un rito urbano.
È un collettivo, un gigantesco organismo che si snoda in un percorso travagliato, carico della polvere della storia, in uno spazio vissuto, abbandonato e poi rigenerato.
SANTA siamo noi, che seguiamo il corpo di ballo in un luogo che conserva ancora le voci degli operai, il rumore delle macchine, le ferite delle repressioni, e il silenzio degli ultimi.
Trasversalità / Eclettismo / Sperimentazione: costituiscono dunque il fil rouge da seguire, per cogliere tutte le sfumature di un’esperienza totalizzante.
Alla luce di tutto ciò, Untitled (2001) — esposta al termine del percorso — ci invita a lasciarci andare alla meraviglia e a guardare l’arte contemporanea da vicino. Anche con un’incursione notturna direttamente dai sotterranei, se necessario. Per toccarla con mano, con occhi nuovi, e soprattutto senza esitazioni.
SANTA
Reggio Emilia – Reggiane Parco Innovazione
12/06 – 5/07
Dal giovedì al sabato, il 12, 13 e 14 giugno, il 26, 27 e 28 giugno e il 3, 4 e 5 luglio.
Tre repliche al giorno: ore 19:30, 21:00, 22:15
Info e biglietti
Cover: SANTA, ph Alice Vacondio


