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Svelare, rivelare, capovolgere, scoprire, rovesciare, palesare, invertire, rivoltare: tutti gesti liberatori che, se applicati alla (sacrosanta) storia dell’arte intesa nel suo senso più accademico ed erudito, creano o allargano lo spazio dell’immagine e dell’immaginazione, mettendo a soqquadro le regole visive che rispondono ai criteri usuali di lettura proprio della cultura occidentale. I quadri vanno appesi, possibilmente diritti, su un muro e nel verso giusto. L’agognato “verso giusto”, nella storia dell’arte fino al ‘600 inoltrato è stato l’imperativo categorico che ha retto la visione delle nostre radici artistico-culturali. Poi sono arrivati i pittori fiamminghi e spagnoli (come non citare il dipinto Las Meninas di Diego Velázquez), che ha scompaginato o messo in dubbio la “giustezza” del fronte-quadro, rispetto all’erroneo recto. Il dietro è venuto alla ribalta, il quadro ha iniziato a svelare il suo essere artificio. La “finestra aperta” sul mondo, improvvisamente si è rivelata un inganno, un’impostura: dietro santi e madonna, a tergo di memento mori, di vasi, paesaggi, ritratti, c’era un’inquietante nulla. O semplicemente tela grezza non dipinta, forse dei rammendi, più spesso scritte, date, messaggi a volte misteriosi. Protetto (anche concettualmente) dalla cornice, il quadro dipinto è stato per secoli santificato nella sua forma corretta, anzi il “segreto della sua forma sta nel fatto che essa è limite” asseriva il teorico Georg Simmel nelle sue teorie estetiche nei primi del ‘900. Il limite, la cornice, il bordo: erano fondamentali per dividere il dentro dal fuori, il davanti dal dietro, in altre parole, l’arte dalla vita (reale).
Poi, facendo un balzo spettacolare, giungiamo alle avanguardie storiche e più “su” fino alle neoavanguardie che negli anni ’70 – gruppi come “Supports/Surfaces” – hanno decostruito e fatto letteralmente esplodere il concetto di quadro, ne hanno frantumato l’unita sintattica e diviso gli elementi: tela, telaio, cornice, colore, chiodi.. vengono isolati e manipolati per rivelare la loro funzione asservita ai codici della rappresentazione pittorica. Diventano elementi da combinare per formare, quasi fossero entità da sommare, un quadro. Proverbiale un passo del grande saggista Victor I. Stoichita (1993 L’instauration du tableau, Méridiens Klincksieck, Paris. Trad. it. L’invenzione del quadro, il Saggiatore, Milano, 2004) che rintraccia nell’aspetto materiale di un’opera, la base delle problematiche investigate dalla metapittura: “raddoppiamento e opposizione, rovescio e diritto, saturazione e negazione, ricerca dei propri limiti e della frontiera estetica, ricerca delle possibilità di comunicazione, di assorbimento dello spettatore e ricerca delle tracce dell’autore, è solo questo un elenco senz’altro incompleto delle componenti coinvolte nell’ingranaggio meta-artistico.”
Alla Fondazione Prada, ragionamenti, riflessioni, scoperte possono essere testate nell’ottima selezione di opere ospitate nella mostra “Recto Verso”, concepita dal team Thought Council, composto attualmente da Shumon Basar, Elvira Dyangani Ose, Cédric Libert e Dieter Roelstraete. Fino al 14 febbraio 2016 sono visibili alla Fondazione un nucleo consistente di opere dalla Collezione Prada a fianco di prestiti provenienti de gallerie e istituzioni nazionali e straniere. Il filo rosso o tema potenziale è rivalutare il “lato trascurabile” dell’arte, il “verso” dimenticato per secoli. Di esempi ce ne sono tanti significativi, da opere di artisti italiani come Luca Bertolo con il suo “Melancholic Landscape” (2014) che mostra un telaio dipinto solcato da strisce spray fluorescenti, al Grande trasparente (1976) di Carla Accardi; all’ironico quadro di Gastone Novelli che mostra il dietro di un quadro del 1968 dove si legge “La Biennale è fascista”, più opere di Paolini dove l’artista mette in relaziona il dietro e il davanti delle tele formando delle stelle, ma anche utilizza il verso come sostegno per degli inviti di mostre nell’opera “Antologia” (1974). Sempre per rimanere in Italia, le mirabili bruciature di Burri del 1962 e 1963 che si possono vedere sia di fronte che dietro o l’opera direi abbastanza sconosciuta di Michelangelo Pistoletto, “Un libro, il lato letterario del quadro” (1970) formata da 31 pannelli in cui è leggibile una frase.
Esempi eccellenti di ‘svelamento’ sono le opere di Daniel Dezeuze che con Pierre Buraglio, anche lui presente con un’opera in mostra, sono entrambe vicini al movimento artistico Supports/Surfaces. Di Daniel Dezeuze, l’importante opera “Cha?ssis avec feuille de plastique tendue” (1967): un’operazione dialettica attuata al “negativo”: Dezeuze elimina il supporto della rappresentazione per circoscrivere entro il telaio il vuoto lasciato da tale mancanza. Fitto dialogo e rimandi tra il fronte e il retro nelle opere di Llyn Foulkes, Gerard Byrne, Louis- Le?opold Boilly e l’iconico Roy Lichtenstein che con il linguaggio pop che da sempre lo contraddistingue, nell’opera “Stretcher frame with vertical bar” (1968) dipinge il telaio e la tela di un quadro.
Oltre al linguaggio pittorico, ci sono molti esempi di opere fotografiche, dove, il ‘retro’ diventa snodo concettuale di speculazione, come nelle opere di Thomas Demand, – “Leuchtkasten / Lightbox. Edition 1/6 mspm tde 10815/td 62 1/l” (2004), Mattis Leiderstam “ Kat. Nr. 1356 (Unknow Unknow)” (2014) e Philippe Gronon che in “Verso n.38, Nymphe?as par Claude Monet, collection du Muse?e d’Art Moderne de Saint Etienne” (2009) ci svela il rovescio di un’opera di Monet o, se vogliamo, il suo ‘passaporto’ dove scopriamo i prestiti e i tanti viaggi di un dipinto che, in questa immagine, possiamo solo immaginare.