ALICE VISENTIN
Lavorando ascolto sempre la radio. La radio è la mia principale fonte di titoli dei libri che, trascritti su foglietti, vado a comprare in libreria.
Quando leggo un libro finisce sempre che, terminata la lettura il libro diventa un brandello di fogli scritti e sottolineati multicolor, le copertine sporche.
Non sono una a cui prestare libri.
Da piccolina amavo i saggi. Ora amo i romanzi e le storie che parlano di umanità e vita. Cerco quella sensazione di iper fascinazione che si ha, specialmente da bambini, di fronte ad un oggetto bello e misterioso che si vorrebbe far proprio.
Da un testo apparso su La Lettura di Asier Altuna:
“Txintxua è una parola che riporta all’infanzia. Mi piacciono molto le sue sonorità e la sua forza. Non si trova sul dizionario; c’è solo la radice txintxo, che in euskara (basco) significa buono/ buona, serio, perbene. L’ho scelta perché la cosa che più apprezzo è incontrare persone generose, affidabili, genuine. Lo stesso tipo di persone che mi piace vedere al cinema. Ci sono film con personaggi txintxuas, memorabili. Come il Totò di Miracolo a Milano di Vittorio d Sica: Un giovane generoso che non esita a fare bene agli altri. Viviamo in una società dove trionfa il furbo, il corrotto, il potente, il ricco. Io scommetto su un altro tipo di eroe: buono, positivo, imprevedibile, innocente, un personaggio txintxuas Che ci faccia credere che un altro mondo è possibile.”
Da “Esplosione della maniera”, in Alberto Moravia, Non so perché non ho fatto il pittore. Scritti d’arte [1934_1990]
“La vitalità esclude la visione del mondo, perché la visione del mondo si forma e si sviluppa a partire dall’abbandono del terreno sicuro della vitalità. e chi rimane fedele alla vitalità non può aspirare a forgiarsi una visione del mondo. Al livello della vitalità, non c’è ancora il mondo degli uomini con le sue convinzioni e la sua storia; esso è sottinteso però nella vitalità e per questo, a conti fatti, è inutile parlarne. Chi crede nella vitalità, non credo propriamente a nulla pur credendo a tutto. Cioè a nulla di veramente umano. Crede invece in un dato irriducibile, originario, primitivo e fermo che, curiosamente, porta, in arte, all’eclettismo, al culturalismo e soprattutto al formalismo. Naturalmente, non si allude qui al formalismo calligrafico e decorativo, bensì al culto pluralistico delle forme intese come pure proliferazioni dello slancio vitale.”
Rubrica seguita da Lisa Andreani —