Rä di Martino, La controfigura/Stand-In, Monitor, Roma
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Ciao Elena,
il mio commento sulla mostra della Di Martino:
Iniziamo dalla descrizione della mostra (e relativo comunicato stampa). Stando a quest’ultimo, l’interesse dell’artista alla base dell’esposizione è “cosa succede al cinema dopo il cinema”. L’ idea è stata sviluppata esponendo immagini (diapositive proiettate e foto) di vecchi set cinematografici abbandonati, in Tunisia e Marocco. I lavori presenti sono di tre tipi:
1- un’installazione con la proiezione della medesima diapositiva (di un set “kasbah”in Marocco) da diversi proiettori a diverse distanze;
2- alcune foto di altri set, stampate però con una banda bianca nella parte inferiore per richiamare la tipica struttura delle diapositive;
3- dei vecchi visori di diapositive posti su tronchi di legno, che sono stati trattati (i visori) nella parte posteriore con scotch, tratti di matita ecc per ricostruire paesaggi e forme analoghe a quelle delle foto esposte.
Questa la descrizione, ora il commento: l’effetto straniamento (in questo caso, di architetture dell’Antico Egitto o New Mexico in territorio africano) su di me ha sempre un fascino particolare. Tra le immagini esposte quelle che più mi hanno colpito sono state la vecchia struttura utilizzata per Guerre Stellari, ora abbandonata nel deserto, e la stazione di benzina oggi abitata da un autoctono.
(Piccola parentesi scherzosa: visto questo “ritorno al passato” – sia per i soggetti fotografati sia per l’utilizzo di diapositive e relativi proiettori/visori oggi non più usati – perchè non ha intitolato la mostra “rävival”?).
Tuttavia devo dire che questo effetto straniamento non funziona sempre e subito. Spesso se si riconosce la struttura cinematografica e la sua collocazione nel nostro immaginario non è invece direttamente riconoscibile il territorio africano. L’effetto straniamento per funzionare bene deve essere diretto e non mediato, come invece qui accade.
Considerata questa frizione nel consumo di queste immagini, e visto anche che di solito giudico le opere confrontandole con quello che già esiste al di fuori del contesto artistico, cercando su google “abandoned movie set” ho trovato foto che ci offrono lo stesso effetto.
Certo qui è stata anche pluralizzata la modalità espositiva, che però non trovo giustificabile sulla base dell’idea fondante. Spesso accade questo (vedi ad es. ultima mostra di Arena e mio post). E concludo su questa mancata originalità: ma la “controfigura” che dà il titolo alla mostra più che ai set cinematografici non si riferisce forse alle opere della Di Martino?
il mio commento sulla mostra della Di Martino:
Iniziamo dalla descrizione della mostra (e relativo comunicato stampa). Stando a quest’ultimo, l’interesse dell’artista alla base dell’esposizione è “cosa succede al cinema dopo il cinema”. L’ idea è stata sviluppata esponendo immagini (diapositive proiettate e foto) di vecchi set cinematografici abbandonati, in Tunisia e Marocco. I lavori presenti sono di tre tipi:
1- un’installazione con la proiezione della medesima diapositiva (di un set “kasbah”in Marocco) da diversi proiettori a diverse distanze;
2- alcune foto di altri set, stampate però con una banda bianca nella parte inferiore per richiamare la tipica struttura delle diapositive;
3- dei vecchi visori di diapositive posti su tronchi di legno, che sono stati trattati (i visori) nella parte posteriore con scotch, tratti di matita ecc per ricostruire paesaggi e forme analoghe a quelle delle foto esposte.
Questa la descrizione, ora il commento: l’effetto straniamento (in questo caso, di architetture dell’Antico Egitto o New Mexico in territorio africano) su di me ha sempre un fascino particolare. Tra le immagini esposte quelle che più mi hanno colpito sono state la vecchia struttura utilizzata per Guerre Stellari, ora abbandonata nel deserto, e la stazione di benzina oggi abitata da un autoctono.
(Piccola parentesi scherzosa: visto questo “ritorno al passato” – sia per i soggetti fotografati sia per l’utilizzo di diapositive e relativi proiettori/visori oggi non più usati – perchè non ha intitolato la mostra “rävival”?).
Tuttavia devo dire che questo effetto straniamento non funziona sempre e subito. Spesso se si riconosce la struttura cinematografica e la sua collocazione nel nostro immaginario non è invece direttamente riconoscibile il territorio africano. L’effetto straniamento per funzionare bene deve essere diretto e non mediato, come invece qui accade.
Considerata questa frizione nel consumo di queste immagini, e visto anche che di solito giudico le opere confrontandole con quello che già esiste al di fuori del contesto artistico, cercando su google “abandoned movie set” ho trovato foto che ci offrono lo stesso effetto.
Certo qui è stata anche pluralizzata la modalità espositiva, che però non trovo giustificabile sulla base dell’idea fondante. Spesso accade questo (vedi ad es. ultima mostra di Arena e mio post). E concludo su questa mancata originalità: ma la “controfigura” che dà il titolo alla mostra più che ai set cinematografici non si riferisce forse alle opere della Di Martino?
ciao
Daniele Colombo