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“Questa è pittura?” |  Peggy Franck a Bologna 

Palazzo De’ Toschi a Bologna ospita fino al 2 marzo la mostra di “pittura espansa” dell’artista olandese a cura del nuovo direttore di Arte Fiera, Davide Ferri

Masse caotiche di materiali sono disseminate in un grande ambiente, dove domina una lunga distesa di alluminio che, per grandezza e cromie, sembra raccontare il ‘caos’ in modo monumentale. Non uso a caso quanto termine per raccontare l’opera imponente che l’artista olandese Peggy Franck (1977) presenta nella Sala Convegni Banca di Bologna a Palazzo De’ Toschi. Le dimensioni di quest’opera glorificano la caoticità del segno pittorico, gli rendono omaggio, lo innalzano a valore concettuale nel linguaggio che gli è proprio. Nonostante le tante deviazioni che ha compiuto la pittura nel ’900, siamo soliti, per pigrizia, pensare il ‘quadro’ piccolo, incorniciato e appeso. Franck, con un gesto ‘grandioso’, compone In a naked room, l’opera in acrilico su fogli di alluminio, lunga metri e metri, che dà il titolo alla mostra. Scombussola la nostra idea di pittura canonica, per le grandi dimensioni, per l’uso di ‘pennelli’ decisamente insoliti (scope e ramazze), per delle installazioni che fanno della precarietà la loro cifra stilistica; non ultimo, mischia materiali, linguaggi, dimensioni e concetti per restituire l’idea di pittura come ‘alterità’. Negando l’identità stessa della pittura, elimina le differenze che ne determinano lo statuto, espandendo così l’idea di pittura alla stessa realtà. Ecco allora che, traslando la logica della pittura, tutto diventa pittorico, anche dei rotoli di feltro, delle strisce di carta, dei grovigli di fili. 
Se la pittura perde la sua specificità come linguaggio, allora è lecito porsi la domanda che il curatore Davide Ferri pure si è posto durante la presentazione della mostra: “Questa è pittura?”
Il curatore racconta che ha rivolto questa domanda alla stessa artista che, con spensieratezza, ha risposto “Sì, certo, è un lavoro di pittura”. Ma come si colloca la sua ricerca dentro ad un territorio come quello della pittura, che si espande, che è accidentato e spesso attanagliato da concezioni molto classiche che vogliono la pittura incorniciata, sul muro, e che rispetti pur minimamente l’utilizzo del pennello? 
Quello della Franck, riprendendo le parole del curatore, “è un lavoro che straripa, che sembra percorso da una corrente sotterranea, un moto ondoso con correnti multi-direzionali, discontinue, instabili ed è un’esperienza di pittura espansa che si colloca in un territorio che ha già decenni storia alle spalle. Potrei citare l’esperienza di Katherine Grosse la cui esorbitante pittura nello spazio è un buon antecedente per la Franck.” E in effetti, come per l’artista tedesca anche la pittura espansa della Franck esonda dal quadro, non resta ingabbiata sulla tela o telaio. 

Peggy Franck, Arms, cloudy, backward streaming hair, 2025 C-print 171,5 x 126,5 cm, Foto: Carlo Favero

Molto chiaramente, Ferri enuclea due aspetti nella pratica della Franck che sono specificamente legati alle questioni che riguardano il medium pittura: “Il primo è la dimensione della non coincidenza tra immagine e supporto. Quello che accade nel suo lavoro è che i supporti variano. La pittura si stende su supporti diversi come quelli che si vedono in mostra, come le lastre di alluminio, la pittura su carta, come pagine di riviste che mostrano a volte architetture, spazi su cui l’artista interviene; oppure pittura fotografata. L’altra questione riguarda il gesto. L’aspetto fondante, germinale sta nel gesto che richiama sempre la presenza di un corpo che si muove nello spazio, ma è anche ambiguamente autoriale. A volte il gesto della Franck richiama molte altre esperienze di artisti come Helen Frankenthaler, oppure Wilhelm De Kooning, olandese come lei, per il movimento libero delle sue pennellate, ma anche per la materialità molto fisica della sua pittura.”

Una degli aspetti più coinvolgenti della mostra è la scelta della Franck di ‘abitare’ la grande sala a Palazzo De’ Toschi, per molto tempo. La volontà di adattarsi, di fare proprio uno spazio ‘altro’ – la sala solitamente è utilizzata per conferenze e presentazioni aziendali – ha fatto sì che l’ambiente diventasse più uno studio d’artista che non uno spazio espositivo a tutti gli effetti. Il curatore racconta che l’artista è solita dire: “Tutte le mie mostre alla fin fine tendono ad assomigliare al mio studio”, come a sottolineare che i progetti sono in qualche modo “irrisolti, non finiti”. 
Nella sala domina sì la grande opera su fogli di alluminio In a naked room ma ci sono, disseminati un po’ ovunque, altre opere “che danno, invece, la sensazione di un luogo precario, al limite del disordinato, del casuale”. 
L’opera Fixed Blindness (Push, Pull), del 2022, è una stampa C-print incorniciata sostenuta da un gruppo di sedie impilate, attorniate da quello che sembra una decorazione a bassorilievo arricciata su se stessa, un grumo di carta crespa forse da imballaggi; sparpagliate accanto delle fettucce di stoffe, del fil di rame raggomitolato alla rinfusa, spaghi colorati e tubi di cartone. Tutti questi materiali di risulta – che scopriamo raccolti dall’artista per strada o trovati per caso nello stesso spazio – fanno da ideale cornice ad una grande fotografia alta quasi due metri che mostra un pannello che accoglie gesti e contorni, linee precarie che si incontrano con mollezza in una composizione che vagamente ricorda un fiore appassito, o una torta semi-sciolta. Questa installazione, dove intenzione e casualità fanno a gara per definire l’identità dell’opera, sintetizza alla perfezione quella che, istintivamente, sembra rivelarsi la poetica dell’artista: si può fare pittura con tutto, si può concepire la pittura come un tutto, la realtà è leggibile a livello pittorico.

Peggy Franck, In a naked room, Palazzo De Toschi, veduta dell’installazione – Foto: Carlo Favero
Peggy Franck, Karmic affinities (II), 2025 Materiali vari, lampada da terra di Freek Wambacq Dimensioni variabili – Foto: Carlo Favero

“Uno studio, una casa, uno spazio domestico, questi sono i riferimenti che uno deve avere per guardare questa mostra”. Prima di questa mostra, e in generale per undici mesi all’anno, la Sala Convegni è tutto fuorché un luogo raccolto, tanto meno lo studio di un artista. Ma l’artista lo ‘ha fatto suo’, eliminando le tende in modo tale che entrasse la luce naturale e che questa diventasse parte attiva della mostra, cambiando intensità e giocando con luci e ombre.
L’artista ha realizzato il grande dipinto che di vede sul pavimento utilizzando scope e ramazze come pennelli per tracciare su grandi fogli di alluminio delle ondulate composizioni umorali; arabeschi curvilinei che sembrano rincorrersi, incrociarsi e intrecciarsi, in colori diversi. Discontinue in alcuni punti, riconoscibili in altre, le pennellate rimandano, come spiega il curatore, “ad un corpo che cammina. I colori si contaminano e la pittura si stratifica in un gioco competitivo in continua evoluzione”
Il rincorrersi delle anse e delle linee curve del grande dipinto centrale sembra riverberare nell’installazione Close (E, H, V, G, A, M), del 2025, che consiste in un gruppo di lampade da terra, dalle cui basi partono fili rossi mattone che, nell’insieme, formano un motivo serpentinato, una composizione sinuosa e tondeggiante

Inaspettati, nello spazio sono disseminati “cumuli o grovigli” di cose che solo per una spassionata complicità consideriamo opere. Dalla già citata Fixed Blindness (Push, Pull), a mucchi di carta, strisce di feltro, plastiche, oggetti metallici, gomme o parti di strutture murarie: sono elementi disparati ma accomunati da un “movimento, seppur caotico” ma potenziale, trattenuto, un po’ come la stessa pittura magmatica della Franck, che, ‘espansa’, fuoriesce dalla cornice per rientraci fotografata. 
Come un gioco di specchi, l’artista ha deciso di installare all’entrata della mostra una grande fotografia che riprende una parte del dipinto centrale In a naked room.Ecco allora che per una lettura lineare della mostra, l’artista compromette i piani di comprensione: all’ingresso vediamo fotografate delle pennellate – dunque mediate temporalmente – di un’opera di cui vedremo l’interezza in un secondo momento, mano a mano che procederemo con il percorso espositivo.
Accavallare i punti di vista, le prospettive di comprensione dell’opera altro non fa che seguire la logica stessa di ciò che lei considera la pittura: un ‘tutto’, una totalità, un indistinto flusso di materiali.  
Ferri ipotizza una risposta alla domanda iniziale: “lo possiamo considerare un lavoro di pittura a patto di considerare la tavolozza di Franck una tavolozza composita, eterogenea, piene di cose diverse… e a patto di considerare il supporto dell’artista non un semplice rettangolo di tela che sta appeso alla parete, ma lo spazio tutto. La sua pratica è una pratica di composizione, attraverso elementi eterogenei, dello spazio tutto intero.”

Cover: Peggy Franck, Fixed Blindness (Push, Pull), 2022 Stampa C-print incorniciata 198 x 165 cm & Backward streaming hair, 2025 Sedie, materiali vari Foto: Carlo Favero

Peggy Franck, In a naked room, Palazzo De Toschi, veduta dell’installazione – Foto: Carlo Favero
Peggy Franck, In a naked room, Palazzo De Toschi, veduta dell’installazione – Foto: Carlo Favero
Peggy Franck, Close (E, H, V, G, A, M), 2025 Lampade da terra di Freek Wambacq / Dimensioni variabili Foto: Carlo Favero
Peggy Franck, Fixed Blindness (Push, Pull), 2022 Stampa C-print incorniciata / Backward streaming hair, 2025 Sedie, materiali vari – Foto: Carlo Favero