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Prima parte — Post-fotografia: le frontiere dell’immagine tra videogiochi, cartografie digitali e new media

Testo di Gemma Fantacci — Dal 4 al 10 Giugno la città di Milano ha celebrato la fotografia con la Milano Photo Week, una settimana di incontri, mostre e workshop che ha permesso di ritrarre non solo il contesto sociale...

Inner Telescope - Eduardo Koc
Inner Telescope – Eduardo Koc

Testo di Gemma Fantacci

Dal 4 al 10 Giugno la città di Milano ha celebrato la fotografia con la Milano Photo Week, una settimana di incontri, mostre e workshop che ha permesso di ritrarre non solo il contesto sociale e politico contemporaneo, ma è stata anche un’occasione per riflettere sul ruolo della fotografia con l’incontro Post-Fotografia, tenutosi venerdì 8 Giugno presso l’Università IULM.

L’evento ha visto la partecipazione di Matteo Bittanti, Valentino Catricalà, Marco de Mutiis e Federico Selvini, che si sono concentrati sull’evoluzione dell’apparato fotografico attraverso sistemi che riconfigurano il nostro ecosistema visivo. Parlare di Post-Fotografia significa infatti ripensare la natura della pratica fotografica alla luce di dispositivi che da una parte amplificano le capacità di osservazione dell’uomo, dall’altra mettono anche in discussione il suo ruolo come agente essenziale nella produzione di immagini.

Valentino Catricalà, dottore di ricerca presso l’Università degli Studi Roma Tre e direttore artistico del Media Art Festival di Roma, si è concentrato sul lavoro di Leonardo Petrucci, Trevor Paglen ed Eduardo Kac, frutto della collaborazione con diverse agenzie spaziali. L’artista italiano Leonardo Petrucci ha collaborato con la NASA al progetto Red Hope (2017) che gli ha fornito le immagini catturate da Rover Curiosity durante la spedizione su Marte. Queste sono state successivamente inviate ad alcuni laboratori artigiani in India che hanno realizzato tappeti che riproducono fedelmente il suolo del pianeta rosso. Non solo l’osservatore può vestire per un attimo i panni del primo uomo a camminare su Marte ma, sfruttando gli occhiali per la realtà aumentata che gli conferiscono la stessa visione di Curiosity, ha la possibilità di essere presente sul pianeta rosso sia virtualmente che concettualmente.

ARTE, FOTOGRAFIA E SCIENZA: INNER TELESCOPE – TREVOR PAGLEN
ARTE, FOTOGRAFIA E SCIENZA: INNER TELESCOPE – TREVOR PAGLEN

Dalle immagini pervenute dallo spazio si passa invece ad artisti che hanno realizzato opere destinate ad essere conservate nello spazio cosmico. L’artista americano Trevor Paglen ha collaborato con gli scienziati dell’MIT di Boston alla realizzazione di The Last Pictures (2012), progetto composto da un disco su cui sono state incise 100 fotografie e montato successivamente su EchoStar XV, satellite geostazionario che ruota attorno alla Terra. Le immagini, tutte in bianco e nero, rappresentano la memoria della nostra civiltà che non è stata affidata alla tutela di un archivio, bensì all’universo stesso. Catricalà definisce questo gesto come una sorta di messaggio in bottiglia, una traccia della nostra esistenza destinata a durare nel tempo per possibili altre forme di vita.

Infine Eduardo Kac, pioniere della genetic art, che ha lavorato a Inner Telescope (2016), opera pensata per essere realizzata direttamente nello spazio, a bordo della Stazione Spaziale Internazionale. Seguendo le indicazione dell’artista, l’astronauta francese Thomas Pesquet ha creato un simbolo dinamico senza una forma precisa: talvolta questo somiglia alla parola “moi”, io in francese, oppure addirittura una sorta di figura umana con il cordone ombelicale. Kac rappresenta un io collettivo, un’umanità che vuole superare i suoi stessi limiti mettendo in discussione il suo ruolo sulla Terra, proiettando la sua immagine in un universo di cui fa parte e che è intenzionata ad esplorare.
L’appropriazione in ambito artistico delle tecnologie legate alla ricerca scientifica non è l’unico aspetto che sta sovvertendo la pratica fotografica, ma anche la trasformazione degli ambienti videoludici in set fotografici sta modificando il modo in cui le immagini sono prodotte, distribuite e fruite dal pubblico.

Dalla produzione di immagini a bordo di satelliti e addirittura da pianeti ancora irraggiungibili per l’uomo, l’incontro Post-Fotografia prosegue i suoi interventi indagando i cambiamenti della pratica fotografica all’interno di ambienti virtuali. L’appropriazione in ambito artistico delle tecnologie utilizzate nella ricerca scientifica non è l’unico aspetto che sta sovvertendo la pratica fotografica, ma anche la trasformazione degli ambienti videoludici in set fotografici sta modificando la produzione e la distribuzione delle immagini, e soprattutto la loro fruizione da parte del pubblico.

Photo Mode_Foto di Matteo Bittanti (dettaglio)
Photo Mode_Foto di Matteo Bittanti (dettaglio)

Marco De Mutiis, artista e co-curatore del programma SITUATIONS presso il Fotomuseum Winterthur, pone infatti la sua attenzione sul cambiamento della natura dell’immagine stessa: da oggetto materiale a immagine software, governata da codici e algoritmi. La sua attenzione si concentra infatti sulla modalità photo mode, funzionalità introdotta in alcuni videogiochi nel 2004 che ha contribuito ad ampliare il fenomeno della in-game photography.

Questa consente al giocatore di mettere in pausa il videogioco e, grazie ad uno screenshot, catturarne particolari momenti permettendogli inoltre di navigare la scena a 360° alla ricerca dello “scatto perfetto”. Tale funzionalità crea un momento di interruzione nel gioco che isola un istante. Il momento decisivo di Roland Barthes si trasforma qui in un momento congelato nel tempo che non aspetta altro che il giocatore-fotografo abbia finito di impostare i diversi parametri presenti sulla scena e costruire così lo scatto pezzo per pezzo, raggiungendo il risultato desiderato. La natura di queste immagini software, figlie dell’azione congiunta di codici e algoritmi appartenenti a sempre più sofisticate modalità di produzione di immagini diventa ancora più ambigua su piattaforme come PlayStation 4, il cui controller permette di condividere le foto nel momento stesso in cui vengono scattate attraverso un apposito tasto per la condivisione, lo share button.

Come afferma De Mutiis, il momento dello scatto si trasforma qui in momento di condivisione, preferendo ad uno scatto qualitativo uno scatto quantitativo che ridisegna il ruolo del giocatore-fotografo che ha a disposizione solamente due azioni davanti allo schermo: una configurazione estetica della foto e la sua immediata condivisione. Scattare significa quindi condividere; condividere significa scattare.

Photo Mode - Take a photo_Share a photo__Foto di Matteo Bittanti
Photo Mode – Take a photo_Share a photo__Foto di Matteo Bittanti