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Riccardo Previdi — The Bubble Boy (Needs a Hug) | La curatrice racconta

In occasione della mostra The Bubble Boy (Needs a Hug) di Riccardo Previdi da Quartz Studio a Torino, abbiamo approfondito alcuni aspetti dell’opera dell’artista con la curatrice (e nostra collaboratrice) Lisa Andreani. L’artista si concentra su una vicenda di David Vetter, un ragazzino nato negli anni ’70 che ha vissuto i suoi 12 anni di vita sempre […]

Riccardo Previdi - The Bubble Boy (Needs a Hug), installation view, Quartz Studio, Torino, courtesy of the artist, credits Beppe Giardino
Riccardo Previdi – The Bubble Boy (Needs a Hug), installation view, Quartz Studio, Torino, courtesy of the artist, credits Beppe Giardino

In occasione della mostra The Bubble Boy (Needs a Hug) di Riccardo Previdi da Quartz Studio a Torino, abbiamo approfondito alcuni aspetti dell’opera dell’artista con la curatrice (e nostra collaboratrice) Lisa Andreani. L’artista si concentra su una vicenda di David Vetter, un ragazzino nato negli anni ’70 che ha vissuto i suoi 12 anni di vita sempre all’interno di una specie di bolla, o campana di contenimento sterile, in quanto affetto da una malattia chiamata immunodeficienza combinata grave che non gli permetteva di avere alcun contatto con l’esterno per il rischio di contrarre infezioni. Perchè ritornare alla ribalta questa storia che ha intenerito il mondo intero? Lo chiediamo alla curatrice…

Elena Bordignon: A.Pozzato, C. Knupfer, P. Tuttofuoco, M. Grimaldi e M. Buvoli: cinque amici sorridenti che guardano un’installazione. Questa in breve l’immagine che presenta la mostra di Riccardo Previdi da Quartz a Torino. Perché avete scelto quest’immagine? Ha un calore sentimentale?

Lisa Andreani: In realtà no, quest’immagine non ha rappresentato per noi un oggetto carico di valori sentimentali ma, al contrario, un punto dal quale ripartire. Essa infatti è stata posta in conclusione dell’ultima pubblicazione sul lavoro di Riccardo Previdi, realizzata in occasione della personale a Villa Croce, benché rappresenti lo scatto di un inizio. Punto di partenza e di ritorno, racchiude uno dei primi impacchettamenti dell’artista. La bolla del Bubble Boy è stata per noi l’evoluzione, un rimettersi in gioco e un ripensare un’azione nei suoi sviluppi formali e teorici.

EB: Introduce la mostra, la storia (tristissima a mio parere) di David Vetter, il primo e il più famoso dei “bambini-bolla”: nato nel 1971 con una malattia genetica rara che annulla le difese immunitarie. Che relazione c’è tra questo sfortunato ragazzino dalla breve vita e la mostra di Previdi?

LA: La bolla di David Vetter rappresenta un artificio storico, triste certo, ma anche in grado di illuminarci su un bisogno di surgelamento e distaccamento che ci appartiene in mille formule diverse. La circoscrizione di un luogo apparentemente tangibile, senza separazioni, la cui trasparenza ci allontana di primo acchito dall’opacità che lo attraversa. In uno tanti dei video-documentari che circolano su Youtube sulla storia di questo bambino, mi colpì il momento in cui egli stesso affermò “I don’t have to clean my bubble”. Ironico e tagliente al punto giusto.
La bolla rappresenta quel luogo abitabile che componiamo e ci confezioniamo su misura. È splendente in quanto oasi di piacere, ma l’utopia della favola sembra avere bisogno di aggiornarsi in continuazione. Noi e il nostro tutto appariamo performanti, in forma e healthy al punto giusto quando in realtà il sottofondo resta amaro. Ma come dice David non abbiamo bisogno di pulire la nostra bolla. 

Riccardo Previdi - The Bubble Boy (Needs a Hug), installation view, Quartz Studio, Torino, courtesy of the artist, credits Beppe Giardino
Riccardo Previdi – The Bubble Boy (Needs a Hug), installation view, Quartz Studio, Torino, courtesy of the artist, credits Beppe Giardino

EB: E’ da sempre nota la tangenza esistente nella ricerca di Previdi con il design e l’architettura. Anche in questa occasione emerge questo aspetto del suo lavoro?

LA: Personalmente credo emerga solo parzialmente. È vero che la bolla è un elemento architettonico che nel corso degli anni ha assorbito diverse funzioni e assunto forme diverse, però proprio perché abbiamo considerato la mostra un nuovo punto di partenza abbiamo deciso di allontanarcene. Inizialmente, infatti, la pubblicazione alla quale stiamo lavorando aveva come obiettivo il condurci in una cronistoria della bolla, in seguito abbiamo riflettuto sul nostro singolo caso. Ripresentare le connessioni tra il lavoro di Riccardo e la ricerca sull’architettura non aveva senso, in particolare vista quella che poi è stata la produzione effettiva del lavoro. Restano punti centrali invece il rapporto con la dimensione digitale, i layers, l’invasività e l’imprecisione della macchina nel misurare il corpo.

EB: Mi racconti in breve cosa espone l’artista?

LA: L’artista ha esposto un autoritratto in scala uno a uno di se stesso realizzato con una stampa 3D in mdf dopo una scansione del suo intero corpo. Prendere parte all’intero processo di produzione dell’opera è stato fondamentale, un concretizzarsi di tutti i discorsi che avevamo fatto precedentemente. I diversi layers, lasciati imperfetti, metto in luce una detrazione, un lascito che la macchina ammette di realizzare. La scultura ricorda molto i lavori di Mario Ceroli, l’aria trasognante, a tratti triste, viene resa ironica e super cool dalla bolla imbragata sul suo corpo. Sullo sfondo una smorfia, altrettanto dolce-amara, riprende i colori di Actimel, l’infallibile yogurt per migliorare le tue difese immunitarie. La tela si confonde con il muro da qual si allungano due geometriche lunghe braccia. È il caldo abbraccio che il Bubble Boy ci chiede e ci regala, comprimendo in parte lo spazio e noi al suo interno mentre con il suo sorriso rassicurante resta li a guardarci.

RICCARDO PREVIDI
The Bubble Boy (Needs a Hug)
Fino al 27.10.2018
QUARTZ STUDIO, Torino

Riccardo Previdi - The Bubble Boy (Needs a Hug), installation view, Quartz Studio, Torino, courtesy of the artist, credits Beppe Giardino
Riccardo Previdi – The Bubble Boy (Needs a Hug), installation view, Quartz Studio, Torino, courtesy of the artist, credits Beppe Giardino