Il 6 dicembre scorso, nell’aula Magna dell’Accademia di Belle Arti di Bologna, è stato consegnato il Premio Alinovi a Davide Bertocchi.
Agli ‘Amici di Francesca Alinovi’ – Renato Barilli, Roberto Daolio, Alessandro Mendini, Loredana Parmesani – si è aggiunto Jacopo Quadri, figlio dell’indimenticabile Franco, che ha accettato di prendere il posto del padre, e dunque si è riformato il quintetto che fin dalle origini ha assicurato lo svolgimento del Premio.
Alcune domande a Davide Bertocchi
ATP: La giuria del Premio Alinovi è particolarmente attenta agli artisti che spaziano in più discipline e la cui opera condensa diversi registri sensoriali. Per molti versi in molte tue opere sintetizzi più medium. Mi racconti il perchè di questa scelta?
Davide Bertocchi: Non è una vera e propria scelta programmatica, come penso sia il caso per molti artisti, ma per me è semplicemente inevitabile. Mi piace molto una frase di Sol Lewitt quando scriveva del fare un’arte basata sul concetto e che è quindi l’idea in sè che diventa una macchina che produce l’opera d’arte. L’idea quindi si realizza in qualsiasi modo e qualsiasi medium ma è sempre al centro del progetto…
ATP: Solitamente un paio di lavori colpiscono particolarmente la giuria. Quale, a tuo parere, lì ha maggiormente convinti?
DB: Penso sia tutto l’insieme, visto con dovuta distanza, che rivela una sua logica. Magari vedendo singoli pezzi qua e là le cose quadrano in modo meno chiaro. Mi rendo conto che il mio è un lavoro che si rivela opera dopo opera, forse proprio per il fatto di non avere un medium particolare a disposizione. Renato Barilli comunque mi ha detto che ama molto una mia video animazione di qualche anno fa, quella con la limousine curva che si muove in loop dentro al Guggenheim…
ATP: Un altro aspetto del tuo lavoro che sembra averli colpiti è il seguente: “Al primo sguardo, le opere di Bertocchi sembrerebbero ispirarsi a un rigido codice di forme primarie, sfere, prismi, freddi apparati desunti dalle tecnologie più avanzate. Ma se si va ad esaminarli con più cura, ognuno di quegli oggetti appare in funzione di qualche motivo utopico, di qualche fuga verso dimensioni immaginarie, perfino metafisiche.” Mi racconti questo ‘motivo utopico’ presente nella tua ricerca?
DB: Forse la cosa più semplice è darti degli esempi, come il progetto del “Meteorite al contrario”, che in realtà è una sorta di sfida al generale paradigma tecnologico del “massimo della tecnologia nel minimo spazio” e quindi io l’ho trasformato nel suo opposto, il minimo di tecnologia nel massimo spazio, …appunto una semplice pietra nello spazio che io vorrei far lanciare da un’agenzia spaziale fra qualche anno. Questione di tempo e di budget sopratutto… si tratta sempre di una dimensione di “utopia relativa”…






