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Si apre con una domanda – che cosa sono gli oggetti? – la prima mostra curata da Preliminary Group (o PRE): “un progetto collettivo fondato da un gruppo di artisti uniti dal desiderio di dar vita a tutte quante quelle idee che non trovano spazio nella loro pratica artistica individuale.” Della breve durata di 3 giorni (8, 9, 10 aprile), la collettiva presenta le opere di Enrico Boccioletti, Costanza Candeloro, Andrea Magnani, Nicola Melinelli, Parasite 2.0, Margherita Potenza, Mark Scartani. Il progetto, curato da Giovanni Copelli con gli stessi artisti, è visibile in uno spazio decisamente ‘eccentrico’: il Centro Tian Qi in via Privata Bastia 5 a Milano.
Colgono la sfida di rispondere a delle non facili domande – “Che cosa significa oggi parlare di oggetti? Quali sono le implicazioni pratiche, filosofiche, o addirittura politiche che sottendono tale categoria?” – questo gruppo di 10 artisti, che hanno scelto la formula dialogica per dar vita ad una mostra che ha l’ambizione di “fungere da specchio antropologico di un contesto più allargato che si completa al momento dell’apertura al pubblico.”
Per capire come è avvenuta la gestazione e lo sviluppo del progetto e per scoprire di più sul Preliminary Group, seguono alcune domande a Giovanni Copelli.
ATP: Partiamo da una domanda molto facile: Che cosa sono gli oggetti?
Giovanni Copelli: E’ la domanda che mi ha guidato in una serie di riflessioni, ormai un anno fa, e che ho condiviso con gli artisti per invitarli a partecipare alla mostra. Il mio proposito era quello di ragionare sulla condizione dell’oggetto in quanto tale, a partire dal suo significato linguistico, filosofico e quotidiano. In questo testo mi sono preoccupato di fornire alcune questioni iniziali. Tali questioni andavano a delineare un progetto che, se si sviluppasse da un punto di vista teorico, andrebbe a costituire nella mia testa una sorta di carta dei diritti degli oggetti. Nel chiedere cosa sono gli oggetti c’è un’intenzione essenzialmente critica nell’interpretare il nostro rapportarci a tutte quelle cose che sfuggono dall’ambito del soggetto umano. In questo mio testo iniziale mi sono preoccupato infatti di sottolineare come l’oggetto venga sempre definito in una tradizione di stampo culturale occidentale attraverso la contrapposizione con il soggetto, che alla luce dell’esasperato antropocentrismo tipico della nostra epoca può essere facilmente inteso come l’essere umano in quanto tale.
Mi sono preoccupato di individuare una serie di ambiti in cui si parla di oggetti e mi sono trovato a proporre due scenari culturali alquanto antitetici dove gli oggetti giocano un ruolo fondamentale, uno è quello tipico della nostra società capitalista che identifica con oggetti tutto ciò che gli esseri umani possono sfruttare senza posa, e un altro è quello dell’animismo, dove gli oggetti non vengono soltanto identificati come sacri ma vengono addirittura posti in una relazione elettiva con l’umano.
Ero in particolare affascinato dalla valenza animistica che sento, in relazione all’arte, molto reale e presente. Gli oggetti ci parlano mi dico, sono capaci di comunicare e noi possiamo ascoltarli. Un artista, un creativo è capace di produrre cose e imparare da esse, alienare l’oggetto dal soggetto attraverso l’atto creativo. Ho trovato perciò naturale e consono ai miei interessi chiedere ad altri artisti di tentare di rispondere a questa domanda: che cosa sono gli oggetti? e di rispondere attraverso il proprio pensiero e il proprio talento nel produrre cose. Alla fine di un lungo percorso la domanda è rimasta aperta, e ho tenuto l’interrogativo come titolo finale: le opere che sono presenti in mostra finiscono con il riecheggiare tanti punti, tante derive di riflessione…Abbiamo appunto deciso di chiederlo agli oggetti, mettere effettivamente in pratica questo esercizio di animismo.
ATP: La location della mostra è molto particolare. Come l’avete trovata e quanto ha influenzato la ‘gestazione’ della mostra?
GC: Mi sembrava interessante giocare sullo spazio come ulteriore elemento di risonanza: se avessi scelto lo spazio bianco e svuotato di una galleria credo che mi sarei trovato in difficoltà nel portare avanti un discorso che in fondo voleva ragionare su questioni che fanno riferimento alla nostra quotidianità e su come gestiamo l’ambiente. L’obiettivo era quello di trovare un luogo già fortemente connotato, che potesse raccontare una storia sua che vive e si sviluppa al di la della mostra; poteva essere un ristorante, una scuola, una copisteria… Ho scelto il Tian Qi perché mi interessava la densità di riferimenti culturali che lo popolano. De Chirico parlava dell’incontro di forme misteriose, così come si sono incontrati i lavori i questi artisti con lo spazio. Credo che uno spazio inevitabilmente connotato, che parla di oriente ma è a Milano, ospitato in un condominio razionalista in zona Lodi Porta Romana possegga in sé già molti degli elementi che porterebbero un artista a compiere una riflessione sulla natura dell’ipertrofica produzione culturale (in forma oggettuale) umana, e infatti portare poi degli oggetti d’arte in questo contesto è qualcosa che si pone a metà tra una riflessione, un commento, un aggiunta, una sfida, una difesa, un’accusa ecc ecc.. del contesto stesso.
ATP: Su quali temi hanno lavorato gli artisti invitati?
GC: L’immagine che accompagna l’evento cita il processo di scambio che ha caratterizzato gli incontri con gli artisti: diverse immagini, forme che rappresentano temi affrontati nelle discussioni collettive, o i veri e propri lavori, formano un insieme più vasto, un racconto che lo spettatore può decidere di percorrere partendo da dove vuole. Alcuni artisti come Enrico Boccioletti e Margherita Potenza hanno trovato una simbiosi naturale fin dall’inizio decidendo di ragionare su di un tema comune nella loro ricerca attuale, ovvero quello della pigrizia come pratica dalla valenza politica, della riappropriazione del tempo e dello spazio attraverso pratiche di decelerazione. Enrico con tracce audio e un video e Margherita costruendo un spazio di rilassamento e meditazione, hanno entrambi cercato di parlare di quello che si potrebbe chiamare “design della vita”, di come l’uomo stesso preso nella sua quotidianità di lavoro, relazioni e “tempo libero” sia in primo luogo protagonista e vittima del processo di oggettualizzazione dell’ambiente. Altri come Costanza Candeloro e Parasite 2.0 hanno optato per un approccio più direttamente antropologico o sarebbe meglio dire archeologico, dal momento in cui hanno entrambi ragionato sulla dinamica del ritrovamento, dell’oggetto come testimonianza e raccoglitore di memorie. Costanza Candeloro si è rifatta a un aneddoto che risale agli esperimenti pseudo-scientifici ottocenteschi, di un ricercatore che ha provato a “far suonare” come dei vinili dei vasi antichi greci ricercando un linguaggio sonoro perduto che i vasai antichi avrebbero impresso nei loro manufatti. Si è trovata dunque a creare dei “vasi” che parlino delle para-potenzialità comunicative di esperienza oggettuale contemporanea e nello specifico la hot-line erotica nella quale si mischiano poi oggetto telefono e oggetto sessuale. Parasite 2.0 hanno lavorato sull’idea di una storia alternativa e hanno immaginato dei possibili reperti urbani che parlino di una civiltà umana parallela che in un mondo preistorico (caratterizzato ovvero dalla mancanza di documenti scritti) collocabile tanto in un passato remoto o in un futuro distopico, costruisce le proprie abitazioni a partire da ossa animali. Andrea Magnani è l’artista che in un modo più diretto ha affrontato un tema che per sua stessa natura tenta di mettere in discussione una visione del mondo totalmente antropocentrica, interrogando in modo letterale il non-umano, interessandosi alla capacità delle piante di comunicare e addirittura pensare. In dialogo con un ricercatore con cui sta collaborando da diversi mesi e rifacendosi a figure come Steiner, ha ideato per questa mostra il prototipo di un vaso/laboratorio per “parlare” con il mondo vegetale. Mark Scartani, che proviene dal mondo del design della moda, ha prodotto dei set di lenzuola che parlano di vulnerabilità andando ad imprimere su di esse delle immagini e dei motivi che fanno riferimento alla sua propria vita privata. Il lenzuolo, che avvolge nell’intimità del letto diventa per lui lo strumento ideale per raccontare come negli oggetti rimangano impresse le nostre memorie più personali. Nicola Melinelli si è mantenuto coerente ad una ricerca rigorosa che porta avanti da diversi anni ed è intervenuto nello spazio del Tian Qi inserendo dei quadri che per la propria qualità astratta ci parlano dell’essenzialità dei meccanismi che intervengono in pittura, ma anche in un modo molto sincero dell’atteggiamento dell’artista animista di cui parlavo prima, dedicato perciò alla tensione quasi mistica che può scaturire soltanto dall’aver fede in una pratica capace di produrre un’immagine pura, una nuova oggettualità, distaccata e perfettamente autosufficiente nello spazio del quadro. Per quanto mi riguarda presenterò in mostra un quadro e il modello tridimensionale di un appartamento (come una maquette cinematografica per intenderci) che citano il tema della venere nuda, in questo caso maschio, corpo sessualizzato e consumato come oggetto e immagine dall’artista e dallo spettatore.
ATP: Mi racconti come è nata e come avete sviluppato la pubblicazione che accompagna la mostra?
GC: La pubblicazione è nata come un complemento, uno strumento che diventi in un qualche modo una guida alla mostra, ma che possa diventare anche un’espansione su carta della mostra stessa, per questo abbiamo scelto il formato della zine che ha regole più fluide e meno accademiche e che ha valore di testimonianza del processo di lavoro. Jacopo MariaBartolozzi, un artista della scuola bolognese, ha curato il design della copertina.
ATP: Cos’è Preliminary Group?
GC: Preliminary Group è un’organizzazione nata con il proposito essenziale di fungere da catalizzatore di idee, e da motore operativo per fornire loro una concretezza. Il suo stesso nome, Preliminary Group sta a significare questo, porre le condizioni preliminari affinché si inneschi un processo. PRE è gruppo aperto di persone che lavora alla produzione di significati molteplici. Un gioco di scomposizione delle identità. Un’ affiliazione di persone impegnate in pratiche costituenti.
ATP: Una delle sue priorità è dar vita a progetti artistici collettivi. Me ne racconti uno che avete in cantiere, oltre alla mostra a Milano? Progetti futuri?
GC: “Può l’attività di un gruppo condizionare l’essere in gruppo di ciascuno?” Questo sarà il fuoco delle nostre attività. Negli ultimi mesi, ispirati da questa domanda, ci siamo impegnati nel dare vita ad un ciclio di eventi collettivi che si svilupperanno nell’arco di 6 mesi, da maggio a ottobre, presso uno spazio no-profit di Bologna. Il primo episodio sarò di nuovo un progetto collettivo si svilupperà intorno alla creazione di un bazar (e BAZZAR si chiamerà) dell’impossibile, dell’utopico, del pazzo, del queer, del diverso, del ammigliorato, del difettato, insomma di tutto ciò che vorremmo vedere e avere, ma che ancora non ha visto la luce in quanto giace nell’oscurità nei nostri magazzini privati, fisici e mentali…Per ora non possiamo aggiungere altro.