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Piero Golia, Intermission Paintings, Gagosian

Nell’ultimo, stupendo libro di Ben Lerner (10:04), c’è un passaggio in cui il protagonista racconta di Alena – affascinante artista con cui ha una relazione – e della sua idea di fondare quello che lei chiama “The Institute of Totaled...

Piero Golia,    Intermission Paintings - Gagosian Gallery,   Rome - Installation View
Piero Golia, Intermission Paintings – Gagosian Gallery, Rome – Installation View

Nell’ultimo, stupendo libro di Ben Lerner (10:04), c’è un passaggio in cui il protagonista racconta di Alena – affascinante artista con cui ha una relazione – e della sua idea di fondare quello che lei chiama “The Institute of Totaled Art”. Alena trova il modo di farsi regalare da una compagnia di assicurazioni una serie di opere d’arte contemporanea ritenute ormai inservibili perché parzialmente danneggiate o compromesse. Lerner racconta che opere in tali condizioni vengono normalmente parcheggiate in un deposito di Long Island e lì rimangono, avendo ormai perso il loro valore di mercato, trasformate in “indeterminate objects”. Il protagonista descrive con grande emozione la prima visita all’“The Institute of Totaled Art”, quando Alena gli mette tra le mani i frammenti rossi e luccicanti di uno dei balloon di Jeff Koons. A differenza dell’opera di Koons, ridotta in pezzi, molte delle opere presentano danneggiamenti infinitesimali: sono praticamente identiche a loro stesse, tranne per un minuscolo difetto, eppure non valgono più nulla e hanno perso il diritto di essere esposte e venerate.

Il progetto di Alena permette a Lerner di immergersi in una serie di riflessioni sul valore e sull’essenza dell’opera d’arte. Il ready-made inaugurato da Duchamp, nel quale qualcosa di normale si trasforma in straordinario pur rimanendo uguale a se stesso (basta spostare l’oggetto: dalla strada, dalla casa e dal supermercato al museo) è ribaltato: qualcosa di straordinario diventa normale, e dal museo finisce nell’appartamento di Alena.

Piero Golia vive a Los Angeles ed è nato a Napoli nel 1974. Ben Lerner è nato in Kansas nel 1979 e vive a New York. La loro ricerca è accomunata dalla fusione totale tra vita e arte. Non una fusione in stile Fluxus (diceva Robert Filliou: “Art is what make life more interesting than art”), nella quale l’arte entra a fare parte della vita quotidiana e ogni azione viene caricata di potenziale artistico. Si tratta qui di una missione che procede per avvenure e avvenimenti, si tratta del tentativo di fare della propria vita un’epica, un’Odissea. L’arte non viene introdotta nella vita col contagocce: semplicemente la travolge, come un’onda, e così Golia, Bas Jan Ader nostrano, si mette in viaggio su un’imbarcazione a remi per partecipare alla Biennale di Tirana (Going to Tirana, 2000), diventando il primo immigrato clandestino in Albania.

Ci sono opere di Golia che sfidano il concetto di fiducia: ad esempio Tattoo, del 2001, in cui l’artista convince una ragazza a farsi tatuare sulla schiena la sua faccia con scritto sotto “Piero is my idol”. Non è solo la fiducia della ragazza a sorprendere, è anche quella dello spettatore che è messa in gioco: si tratta di un gesto a cui si fa davvero fatica a credere. Altre azioni sono ormai leggende, come la scalata della palma in occasione di Artissima (On the edge, 2000), durante la quale l’artista comunica che scenderà   dalla pianta soltanto quando e se un gallerista comprerà una sua opera o l’autobus compattato nello spazio di 6 metri di uno stand di ART LA (Untitled, 2008)

Si tratta, insomma, di imprese titaniche: Golia si comporta da eroe. E il continuo ondeggiare del racconto tra plausibile e reale, tra compiaciuta autocelebrazione e disperata richiesta di attenzioni è un movimento che, spesso, invece di allontanare o nauseare il lettore/osservatore, lo ipnotizza e lo trattiene, destando in lui una curiosità morbosa e, nei soggetti più influenzabili, perfino un desiderio di emulazione.

Ben Lerner, da parte sua, pare immerso in un fluido altrettanto magico: tutto quello che gli accade è perfetto, la sua vita sembra traboccare di avvenimenti da raccontare. Ma cosa è vero e cosa no? Il dubbio irrisolto rimane tale e si fonde con una nuova sostanza che oltrepassa i confini che separano arte e vita e riesce ad essere arte e vita contemporaneamente. Non ho dubbi sulla delicatezza e la difficoltà dell’impresa di Lerner, quella di vivere e, mentre vive, fare della propria esistenza una narrazione organizzata, perfetta, cruda, struggente e luminosa.

I grandi frammenti iridescenti che Golia installa nello spazio ovale di Gagosian e i pezzi del balloon   che Lerner (o meglio, il protagonista del suo libro) si stupisce di tenere in mano possono essere considerati entrambi “indeterminate objects”. Gli Intermission Paintings sono gli scarti del polistirolo usato per la realizzazione di una copia del naso di George Washington (scolpito nel monte Rushmore in Sud Dakota), opera presentata alla mostra “Made in L.A.” all’Hammer Museum e primo atto della trilogia “Comedy of Craft”, una performance scultorea non ancora conclusa. Golia ha ricoperto gli scarti con uno strato di polimero e li ha dipinti con i nano-pigmenti iridescenti dell’inchiostro di sicurezza per la stampa delle banconote.

Questo lavoro confonde il ribaltamento operato da Alena nel suo progetto sulla “totaled art”. Lo straordinario e il normale si fondono e confondono. Lo scarto conservato e rielaborato dall’artista è uno scarto nobile, derivato dalla creazione di un’opera (che è tra l’altro la copia di un’altra opera – il Monte Rushmore –   anche se non propriamente artistica). Porta con sé il profumo dei soldi: fa subito pensare a una “furbata”, un modo per generare valore anche da quelli che sarebbero stati i rifiuti di un processo concluso con la realizzazione del naso, e in più è letteralmente ricoperto dall’inchiostro delle banconote, un pigmento che crea un effetto meraviglioso, irresistibile. Sono grossi pezzi di materia inutile, “indeterminate object” dotati di proprietà preziose: il colore cangiante, le forme sensuali, la potente presenza materica, il valore economico.

La connessione tra questo ciclo di opere e il celeberrimo racconto di Gogol è immediato, considerando la scelta del naso come simbolo. Questi frammenti fanno pensare al naso di Kovalèv che entra nella cattedrale di Kazan con un’uniforme preziosa e il cappello con le piume. È solo un naso, ma è ricco, e il suo proprietario lo rincorre invano: il naso vuole la sua libertà. Come Il cappotto, Il naso è un racconto sui soldi, sulla differenza tra le classi. E i soldi sono un argomento molto importante nella ricerca di Golia così come nei libri di Lerner.

Imbellettati di verde scarabeo, rosa, malva e grigio tortora, solcati da lunghe e lisce curve che vorrei toccare e accarezzare, questi scarti di naso mi guardano come il naso di Gogol: con superiorità. Ma a differenza del naso di Gogol, non sono ricchi per casualità o magia. L’ambizione ha dato i suoi frutti perché nel farne un’arte Golia è stato onesto e coraggioso: non ha mai avuto paura di mostrarne il nucleo vuoto.

Un nucelo vuoto ma forte e splendente, proprio come il globo che campeggia sul tetto dello Standard Hotel di Los Angeles, che si illumina ogni volta che l’artista è in città (Luminous Sphere, 2010). Non si tratta più di bambini o di fulmini (come nelle due opere di Alberto Garutti in cui rispettivamente una serie di lampioni su un ponte e un lampadario speciale segnalano con la luce la nascita di un bambino o i fulmini del temporale), non si tratta più di raccontare l’altro o l’altrove o qualcosa che non si vede. Si tratta soltanto di sé e del proprio struggle per destreggiarsi in una complessità che è sempre la stessa ma che sembra sempre più difficile da maneggiare o, forse, sempre più interessante da raccontare.

Piero Golia,    Intermission Paintings - Gagosian Gallery,   Rome - Installation View
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Piero Golia, Intermission Paintings – Gagosian Gallery, Rome – Installation View
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