Testo di Veronica Pillon —
Heterotopia I è l’installazione ideata da Peter Halley e presentata dall’Accademia di Belle Arti di Venezia e dalla rivista Flash Art in occasione della 58a Biennale di Venezia. Situata all’interno dello storico spazio dei Magazzini del Sale – Magazzino n. 3 -, l’installazione si compone di una sequenza di otto stanze interconnesse costituite da murales a stampa digitale, palette di luci artificiali e oggetti tridimensionali.
“Gli ambienti postindustriali e dinamici di Peter Halley creano simultaneamente isolamento e connessione, uno stato di tensione fluorescente nel quale ci immergiamo attraverso corridoi teorici che Halley ha tracciato, segnando la cultura visuale contemporanea dalla fine degli anni ’70”. Gea Politi, curatrice della mostra e direttrice di Flash Art, mette in evidenza la matrice teorica dell’opera di Halley. A partire dal pensiero di Michel Foucault, l’eterotopia è uno spazio creato per uno scopo, interconnesso agli altri in modo tale da neutralizzarne i rapporti e da essere un’alterità rispetto agli spazi quotidiani. É un mondo nel mondo, luogo di trasformazione e passaggio, come i cimiteri, le prigioni, le camere d’albergo.
L’ingresso alle stanze è possibile grazie ad una porta. Una porta senza ante, inserita all’interno di una facciata a capanna dal colore giallo fluo. Peter Halley predilige colori sgargianti, fosforescenti, artificiali. In particolare, colori industriali come il Day-Glo, utilizzato sia nella segnaletica stradale che nella Pop-Art. Attraversata la facciata, si entra nella prima stanza. Le pareti sono rivestite di simboli, all’apparenza specchi sul mondo esterno, ma in realtà finestre sbarrate, da cui non è possibile uscire. L’ambiente, a prima vista giocoso, non è altro che una camera funeraria, una tomba. Al centro della stanza si leva un enorme cubo giallo, sulle cui facce si legge un testo di Elena Sorokina, curatrice e critica. Il testo ci invita a riflettere sulle molteplicità delle interpretazioni di uno scritto e di un’opera d’arte, preludio del percorso labirintico ed enigmatico che l’installazione prevede.
Come all’interno di un videogame, si è chiamati a risolvere un rebus, un puzzle. Passati attraverso la prima eterotopia, si giunge all’interno di un labirinto di luci e colori. Il
moltiplicarsi delle pareti invita lo spettatore a muoversi in maniera libera, senza regole, fuori dagli schemi, come se fosse la palla di un flipper. I colori delle pareti e le luci intermittenti colorate favoriscono l’immersione in una dimensione tecnologica, psichedelica, dinamica. Per un attimo il gioco sembra interrompersi: oltre il labirinto, una stanza dalle pareti blu elettrico impone allo spettatore un momento di stasi. Si è all’interno di un circuito, di un microchip, di una scheda di memoria di un computer in attesa che qualcosa si carichi. É un momento di resurrezione, di passaggio, di frontiera, tra la dimensione fisica e digitale.
“Il computer può essere visto come l’apice del pensiero cartesiano. Eppure […] penso che siamo bloccati da qualcosa che limita il pensiero o che lo circonda in modo alquanto problematico”. Peter Halley ragiona sulla tecnologia e sull’impatto che ha sulla società: realizzando un’installazione che riflette sulla morte e sulla resurrezione, in cui elementi architettonici classici si fondono con stampe digitali, non può che emergere un senso di fine, dal punto di vista storico e sociale. La tecnologia non è più il mezzo del progresso ma è ciò che permette di manipolare e controllare le menti. Dall’utopia si giunge alla distopia, alla fine della fede nella tecnologia. Anche gli artisti che invita a collaborare, Lauren Clay e Andrew Kuo, realizzano delle stanze che valicano la frontiera tra la vita e la morte, tra mutamento e stasi.
Andrew Kuo propone dei murales in cui triangoli colorati si formano a partire da un algoritmo. Il triangolo – secondo il Timeo di Platone – è la base della creazione dell’universo, finito e perituro. Ogni colore presenta un sentimento, un’emozione, una storia, inserita in un tempo passato e oramai conclusa. Lauren Clay realizza invece una camera in finto marmo, con al centro un cubo centrale, che richiama le stanze funerarie. La morte è qualcosa di metafisico, un passaggio che pone fine a qualcosa: ecco allora che i monumenti vengono costruiti per rendere reale questo mutamento. L’ultima stanza è introdotta da un corridoio ricoperto da passaggi del Libro dei Morti scritti a caratteri colorati, in stile fumettistico. L’installazione si conclude con la scultura totemica di un globo illuminato di R.M Fischer, simbolo di una congiunzione tra il passato e il presente, tra la vita e la morte.
L’installazione di Peter Halley coniuga l’antico al moderno, l’analogico al digitale, la realtà al concetto. Affrontando il tema della morte, riflette sulla fine della storia, sulla dialettica tra fisica e metafisica, sul rapporto che l’individuo ha nei confronti del mondo che lo circonda.
L’io è chiamato ad attraversare un labirinto, per sperimentare un modo diverso di approcciarsi all’esistenza, interrogandosi sul concetto di cambiamento, trasformazione e passaggio, inteso come fine. Attraverso le eterotopie che Halley presenta, il visitatore si relaziona allo spazio esterno e alla sua intimità. “Anche se si ha a che fare con un mondo razionale, totalitario, il miglior modo per capirlo è attraverso le proprie reazioni soggettive a questo mondo”.
Peter
Halley
Heterotopia I
A cura di Gea
Politi
Magazzino del Sale n.3, Venezia Fino al 10 agosto 2019