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One point of view
Inizierei, portando pazienza, dalla fine dell’Arsenale.
Il giardino delle vergini è come sempre un luogo magico – sarà il nome – ma questa volta ancor di piu’. Alvaro Siza e Edouardo Souto de Moura sono gli unici ad aver immaginato degli spazi ed ad aver concepito alla Biennale della vera architettura. Uno si rivolge verso la laguna, l’altro è immerso nel verde della precedente Biennale. Entrambi creano delle stanze che nella loro monoliticità sono percepiti finalmente come ‘veri’ spazi.
Anche l’intervento Wunderkammer di Tod Williams e Billie Tsien – anche se segue il leitmotiv della Biennale – ovvero ‘tu chiami me e io chiamo un altro, così creiamo un network’, è comunque notevole se non affascinante.
Tornando verso l’uscita (saltando il triste se non ormai sfortunato Padiglione Italia) segnalo San Rocco, una rivista di architettura (quasi neonata) che si cimenta con un buon risoltatoto, nel suo primo tentativo di uscita dal cartaceo; Valerio Olgiati, con un monolite bianco la cui funzione è puramente estetica ma funziona; Think Thank, meritatamente Leone d’oro – hanno ricreato una favela di Caracas ma soprattutto un ristorante venezuelano che ruba decisamente il primato ai tramezzini prosciutto e funghi del bar un po’ piu’ in là -; il cerchio di Ruta del Peregrino, in onore del pellegrinaggio di 117 km per le montagne del Messico verso la Vergine della Talpa (si inizia e si finisce con le Vergini insomma).
Ai Giardini il Leone è andato al Giappone. Credo più per questioni sentimentali che architettoniche, ma va bene così.
Segnalo il Padiglione Olandese con Petra Blaisse, fondatrice di Inside Outside, con un sipario mobile che ricrea spazi in continuazione, quello della Russia, per il primato tecnologico ma non architettonico, e l’installazione dei Kuehn Malvezzi che aprono e chiudono anche concettualmente in Padiglione Centrale.
Il punto di vista di un’illustre lettrice di questo blog.
GRAZIE anche per le magnifiche foto.