Testo di Micol Teora —
Otto cieli è la mostra di Oliviero Fiorenzi presentata da The Address, giovane galleria di Brescia diretta dal promettente Riccardo Angossini. Il corpus di opere di Fiorenzi si va infatti a inserire in una programmazione attenta alle istanze contemporanee e alle sperimentazioni della scena emergente nazionale e internazionale.
Otto grandi aquiloni – colorati e leggeri – animano lo spazio della galleria. Le opere a riposo conservano in potenza il vibrare nel cielo, e lo spazio diventa scuderia in cui riporle meticolosamente al gancio, in attesa di un nuovo lancio.
Con Otto cieli continua il tentativo dell’artista di pensare l’opera come un “travaso di umori” e rendere il paesaggio sensibile, dopo l’incontro con essa, un paesaggio umorale. Come suggerisce Piergiorgio Caserini nel testo che accompagna la mostra, nella pratica di Fiorenzi “uno strattone di vento finisce col corrispondere a un certo temperamento, le onde della mareggiata attorno alle boe vanno a tracciare una nuova isola in cui poter affondare, le pale animate dalla brezza muovono disegni come il fuoco sposta l’ombra”. Otto cieli per otto sentimenti: Oliviero parla la lingua del vento costruendo otto aquiloni per far loro attraversare il cielo e metterli in comunicazione con esso. Diventano un alfabeto, un insieme di segni che rende possibile una comunicazione tra terra e cielo, tra radice e aria.
Torna quell’indole di Fiorenzi al gioco immaginativo che lo porta a leggere la presenza dell’opera nello spazio come generatrice di nuovi paesaggi. Il cielo infatti non è solo uno, bensì otto, ognuno generato dal volo di un singolo aquilone. Connotati da una forte personalità che si traduce chiaramente nella resa formale, gli aquiloni in volo disegnano nuovi spazi attraversandoli, cambiandoli e rendendoli altro da sè.
Ogni opera presenta caratteristiche specifiche – o forse è meglio definirle personalità – che ne mutano forma e colori. Il Cavallo riprende un elegante kimono con una lunga coda,il corpo esagonale de Il fuoco genera lunghi ritagli di tessuto nero a vibrare nel cielo come fiammelle agitate dal vento. Le mani, forse l’opera più stratificata e complessa, mostra un corpo suddiviso in due parti, ciascuna delle quali presenta due braccia alle cui estremità sono posti degli sfilacci di tessuto. Il gioco qui si spinge ancora più in là e, a richiamo di quella tattilità cui si riferisce il soggetto personificato, l’artista sceglie di realizzare l’aquilone in un particolare materiale termoregolatore: Le mani diventa un’opera da toccare e stropicciare per rendere tangibile l’interazione e il disegno su di essa del proprio calore corporeo e del vento che, quando lo direziona, ne muta il colore creando così una creatura fluida, che assume nei diversi stati mutevoli forme.
Il vento rimane protagonista nella piccola sala all’estremità dello spazio espositivo della galleria dove la moquette azzurra crea uno spazio più intimo. Qui le fotografie di Matteo Natalucci colgono il disegnare degli aquiloni nel cielo, mentre There is always wind, un mulino in ferro e acciaio, smuove l’aria circostante.
A concludere la mostra, uno short film mostra le opere finalmente in volo. Accompagnati dal suono di un flauto, gli aquiloni danzano nel cielo approfondendo il discorso di personificazione attuato dall’artista. Sono otto le conversazioni cui assistiamo, le interazioni tra opera e cielo, tra aria e emozione. Ma ancor di più, è chiaro di trovarsi davanti a un’azione che ha i caratteri di un qualche rito ancestrale, un antico attraversamento celeste capace di creare, ancora una volta, una nuova storia, un nuovo cielo, una nuova emozione.