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Nei tempi dell’arte (fasullamente) per tutti, nasce LUCERNA

Cos’è lo studio di un artista? Una stanza dove succede di tutto, un ritrovo di amici, una camera da letto, un laboratorio dove si prova, si sbaglia e si riprova. E’ uno spazio franco, a volte è un modo di dire. Sollecita più di una riflessione lo spazio da poco aperto a Milano, in zona […]

Cos’è lo studio di un artista? Una stanza dove succede di tutto, un ritrovo di amici, una camera da letto, un laboratorio dove si prova, si sbaglia e si riprova. E’ uno spazio franco, a volte è un modo di dire. Sollecita più di una riflessione lo spazio da poco aperto a Milano, in zona Porta Venezia. 

LUCERNA è stato definito “lo studio di un curatore e critico d’arte, uno spazio sotterraneo, ipogeo dove ripararsi dalla troppa visibilità”. Tante le parole per definirlo o farlo a pezzi: morte, novità, visibilità, paura. Ma perché il nome LUCERNA? “Perché a LUCERNA vi è il più grande bunker del mondo”. Ma perché, con tutti gli spazi che ci sono, si è scelto un luogo ‘difficile’, buio e, appunto, sotterrato? Perché, a detta del curatore Antonio Grulli, l’arte ha bisogno di essere ‘protetta’, deve essere curata e osservata a pochi cm di distanza. Deve essere il frutto di gesti autentici e sinceri.
Citando la massima di Andy Warhol – “Tutti i grandi magazzini diventeranno musei, e tutti i musei diventeranno grandi magazzini” -, si vorrebbe che tutti i musei diventassero campi di battaglia e tutti i campi di battaglia diventassero musei, “dei luoghi di conflitto, intellettuale, ma non solo, sulle immagini e sul potere che le immagini eserciteranno sull’individuo”. 
A noi piace pensare che LUCERNA faccia rima con “lanterna” (in realtà anche con taverna, eterna, moderna e fraterna!) . Che porti luce o, meglio che faccia chiarezza, con dei progetti mirati, sentiti e goduti da un pubblico che, troppo distratto dal ‘postare’ e ‘condividere’, ritorni con i piedi per terra, “affossato” in senso buono, nel lungo corridoio che caratterizza LUCERNA. 17 metri per 2,7 circa: uno spazio lunghissimo e stretto dove, se c’è un po’ di calca le persone si strusciano. Uno luogo dunque, non proprio accogliente, che ci mette alla prova e, come fosse una continua verifica, per ogni progetto cercherà di toglie o aggiungere dei nuovi elementi: siano essi modi di guardare, di spiegare o di capire quello che è alla fine il motivo di tutto ciò, l’epifania dell’opera. 
Senza regole, senza un vero calendario di appuntamenti, senza il supporto di piattaforme social per accalappiare consensi e spalmare spesso brutte foto fatte da chiunque, LUCERNA sembra nascere come forma di ammonimento o di rivelazione, dipende come la si vive o la si giudica. Come un manifesto Grulli e Federico Pepe (e qui la sua presentazione di fa ardita: pubblicitario, artista, grafico, designer, videomaker e persino tipografo) che ospita LUCERNA letteralmente sotto il suo studio-laboratorio),  proclamano che il programma seguirà la loro ‘voglia’: dunque i tempi, i modi e le intenzione sono ritagliate non solo sulla loro disponibilità lavorativa, ma anche e soprattutto sul piacere che loro godranno di fare e disfare i progetti che ospitano. 

Più ci addentriamo in LUCERNA, e più ci si avvicina ad una ‘zona’ di cinematografica memoria: labirinto di ossessioni, desideri, paure e volontà. Il Curatore e il Critico, prendono il posto dello Scrittore e del Professore; lo spazio prende sempre più i connotati di una “Stanza” capace di avverare i desideri. Dominata da strane leggi, varcarne la soglia significa esporsi a pericolose insidie; inutile seguire le regole che anni e anni di frequentazioni di spazi espositivi ci hanno insegnato, qui le regole si fanno bizzarre, il percorso tortuoso (scale, porte, corridoio, porta e ancora scale). Come nella mitica pellicola di Andrej Tarkovskij, anche a LUCERNA le discussione, i dialoghi, gli imprevisti animano lo spazio, lo rendono vivo e vitale. A parte alcune tangenze con il film Stalker, LUCERNA non sembra avere particolari aneliti all’annientamento, anzi, come si legge nel testo che ‘accompagna’ l’apertura dello spazio, LUCERNA vuole diventare un luogo di improvvisazione, di sani incontri tra le persone, aperto per giorni e settimane o poche ore, ospitante festival, presentazioni, mostre o avvenimenti d’arte, musica e performance. Insomma un luogo imprevedibile che segue l’umore del Curatore e del Critico.
Ad inaugurare lo spazio, un intervento di Flavio Favelli che sembra essersi sintonizzato nell’atmosfera umorale del luogo presentando un progetto che si nega alla vista, che istiga l’immaginazione e, forse, anche un po’ la nostra morbosità. Nel lungo “corridoio” l’artista espone decina di manifesti cinematografici di film porno anni ’80 installati capovolti, in modo tale che si possa vedere solo il retro dei manifesti. Nonostante siano rovesciate, le locandine lasciano trapelare qua e là forme, pose e scritte. Nell’insieme, le lunghe e irregolari pareti di LUCERNA, rivestite di legno chiaro, rivelano dunque una lunga fascia bianca che nega si la vista, ma stimola ben altre visioni. 

Ma al di là del racconto, coerente con lo spirito dello spazio, facciamo nostro il motto:
“Per vedere ciò che succede all’interno di LUCERNA devi essere all’interno di LUCERNA con il corpo e i tuoi sensi nel momento esatto  in cui accade. (…) Nell’era dell’arte per tutti vogliamo far sapere che non è così, e amiamo i limiti sopra ogni cosa” Parola del Curatore e del Critico d’arte. 

No photo, please!

Antonio Grulli foto di Andrea Benedetta Bonaschi