ATP DIARY

Tra relitti sommersi, pittura e immaginari possibili: una nuova mostra da Ocean Space, Venezia

Nadia Huggins e Tessa Mara esplorano la relazione tra esseri umani e oceano attraverso le loro installazioni immersive.
Exhibition view of “otras montañas, las que andan sueltas bajo el agua” [other mountains, adrift beneath the waves], commissioned by TBA21–Academy. Photo: Enrico Fiorese

Ocean Space rinnova il suo impegno per la tutela del mondo oceanico: un gesto di cura che protegge uno spazio comune, troppo spesso sfruttato a proprio piacimento dalla specie umana. Per il decimo anniversario del programma pluriennale di fellowship “The Current” TBA21–Academy, presente Otras montanas, las que andan sueltas bajo el agua, curato da Yina Jiménez Suriel e visitabile fino al 2 novembre 2025.
L’esposizione propone un cambio di rotta rispetto alla visione binaria della conoscenza, attraverso un racconto basato sulle possibili strutture di pensiero, idealmente generate dal costante movimento dell’oceano. Nella sua ricerca, la curatrice esplora l’improvvisazione~freestyle: uno strumento-strategia che incoraggia nuovi scenari di vita.

Entrando nei maestosi spazi dell’ex Chiesa di San Lorenzo veniamo accolti da A shipwreck is not a wrek (2025) una video-installazione di Nadia Huggins. Qui, l’artista decide di ricreare un naufragio: un’enorme imbarcazione arenata ci accoglie nei suo spazi dismessi, invitandoci ad entrare – letteralmente – nel mondo subacqueo. Attraverso schermi di varie dimensioni, posizionati in modo da fruirne anche distesi, vengono proiettate immagini di coralli, meduse, mangrovie e corpi umani. Un gesto immersivo che ricodifica il rapporto tra il mondo umano e marino, aprendo uno spiraglio su possibilità altre, lontane dalla visione contemporanea. Il relitto diventa catalizzatore di trasformazioni: un corpo geologico, dove la vita emerge dalle rotture delle narrazioni dominanti. L’opera non racconta un evento passato, né una situazione attuale ma un’universalità che attraversa epoche e contesti diversi: dalla tradizione caraibica a quella veneziana, luoghi fragili dove l’acqua fa da protagonista.

Exhibition view of “otras montañas, las que andan sueltas bajo el agua” [other mountains, adrift beneath the waves], commissioned by TBA21–Academy. Photo: Enrico Fiorese

Nella seconda sala, Tessa Mars decide di utilizzare l’improvvisazione~freestyle grazie al concetto di fuga, che intende come fugare, ovvero sottoporre la realtà a continue variazioni. In questo caso, l’artista decide di presentare la capacità del mondo – e di tutte le sue specie – di adattarsi ai continui cambiamenti. a call to the ocean (2025) è una grandissima installazione pittorica in cui il visitatore può addentrarsi, camminando tra i pannelli che la compongono. A fare da soggetto è la coesione tra mondo umano e non umano: figure dormienti giacciono avvolte da un paesaggio montuoso, che le accoglie come in un grembo materno; mentre, volti e rocce si fondono nei colori intensi del dipinto. I vari pannelli sembrano suggerire delle storie singole, ma è solo guardandoli nella loro totalità che si percepisce una visione d’insieme, in grado però di mantenere inalterate le singole qualità di questi.
Quello che l’artista haitiana vuole raccontare è la sua percezione del mondo roccioso, ricordandoci che il suolo su cui camminiamo è stato, un tempo, sommerso dall’acqua. Il suo intento è anche quello di evidenziare i diversi modi in cui le montagne vengono considerare: dal lato della prospettiva terreste sono viste come un territorio da sfruttare, mentre dalla prospettiva oceanica c’è la volontà di preservarle come entità altre, come simbolo di mutamento e quindi di creazione. 

Quello di Ocean Space si rivela un potente esercizio di stile, e al tempo stesso un gesto politico e poetico: un invito a indagare le complesse dinamiche di relazione che da sempre definiscono – e mettono in crisi – il legame tra esseri umani e natura.