L’effetto è sicuramente straniante, scenografico e dirompente. Il luogo è il tipico cortile interno del centro di Milano, attorniato da palazzi con terrazzino. La pavimentazione, di sasso e marmo, incornicia tre enormi massi ricoperti in un lato da strati di poliuretano. Sembrano tante cose, mutano a seconda del punto di vista in cui sono osservati, sollecitano una serie di domande tecniche, quando non logistiche, visto il volume molto grande di questi frammenti di roccia o, meglio agglomerati, di roccia lavica.
Nicola Martini, attratto dalla forza incontrollabile e indescrivibile delle colate laviche ha pensato di estrarre, in una cava vicino all’Etna, tre grandissimi porzioni di basalto, la roccia di origine vulcanica che solitamente si presenta di colore molto scuro o nero. Da queste estrazioni è intervenuto amplificando quello che è la naturale evoluzione di un paesaggio colpito da un’eruzione: inglobare e modificare tutto ciò che copre e distrugge.
Le tre grandi presenze laviche sono esposte alla galleria Clima (fino al 28/03) nella mostra 1669: titolo che fa riferimento all’anno in cui avvenne l’epocale eruzioni dell’Etna, tanto che è considerata la più devastante in epoca storica. L’eruzione fu così distruttiva che ha seppellito decine di centri abitati, giungendo fino al mare in corrispondenza dei quartieri occidentali di Catania.
Le opere in mostra hanno tutte lo stesso titolo, Xenolite: da definizione, sono dei frammenti di roccia all’interno di corpi vulcanici. Gli xenoliti sono pezzi di rocce inglobati dal magma in risalita verso la superficie.
Durissimi ed estranei, l’artista ha pensato di rendere questi massi seducenti, per alcuni versi, ‘mansueti’ ricoprendone una parte della superficie con del poliuretano, il tipico materiale termoindurente utilizzato in edilizia, ma non solo, come isolante. Sopra alla superficie del basalto si è creato uno strato giallognolo non uniforme, più intenso in alcuni punti, più etereo in altri, stranamente lucido e compatto. La sensazione è di estrema leggerezza, quando in realtà in blocchi pesano tonnellate. Dall’unione di questi due materiali – da qui il senso e il significato del titolo, Xenolite – le opere acquistano una nuova accezione.
“Che sia un materiale che prova a incollarsi all’altro creando una intensità, cioè forse la vera miccia esplosiva di un’opera d’arte contemporanea, oppure un semplice prigioniero di un’immensa colata lavica, la vita contemplativa come quella materiale di ogni giorno si caratterizza come uno scontro che è anche un incontro: non esistono materiali, tra loro profondamente diversi, relazioni che possiamo definire non violente. Eppure è nella bilancia di queste due forze che la violenza si trasforma in un equilibrio, ed ecco dunque il risvolto morale di un apparente fenomenologia estetica.”
Reso metafora di un conflitto tra consistenze materiche differenti, l’incontro-scontro tra fragile e duro, leggero e pesante, viste nell’ottica di Martini, queste opere si fanno teatro di quello che potremmo pensare come l’inevitabile consistenza tra i ‘diversi’, qualsiasi essi siano in una ipotetica scala simbolica. Nello scarto e nelle dissonanze, l’artista suggerisce una possibile armonia, un ipotetico equilibrio.
Se all’esterno le opere ci attirano per la loro spettacolarità e ambigua bellezza, nelle opere all’interno il dialogo tra i due materiali non è così stringente e armonico.
Nelle tre opere a parete, le cui dimensioni sono decisamente ridotte rispetto a quelle esterne, viene meno l’affascinante resistenza che abbiamo trovato all’esterno, alle superfici lucide e indefinibili si sostituiscono tagli incontrollati del basalto e rigonfiamenti in poliuretano che cercano un equilibrio tutto formale.
L’artista in queste piccole sculture a parete ha compiuto delle fenditure e degli scavi in cui ha inserito il poliuretano, creando degli agglomerati che dialogo con la materiale dura, a volte ne seguono la forma, altre volte provano a dissolverla. Tanta è la potenza e, verrebbe da dire, la violenza materica delle sculture esterne, quanto sono addomesticate e un po’ irrisolte le sculture all’interno.