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New Photography | Intervista a Simone Bergantini

Sara Benaglia + Mauro Zanchi: Objet è una foto recuperata in un mercatino delle pulci, che viene rimessa in azione relegando il senso al linguaggio gestuale. Nella tensione del gesto c’è una apertura all’irraggiungibile come paradigma? Simone Bergantini: Afferrare qualcosa per come questa cosa è rimane un esercizio possibile solo e sempre in linea teorica.Senza scomodare […]

Simone Bergantini – OBJECT-1970:80-2013 – Courtesy Giampaolo Abbondio Artecontemporanea

Sara Benaglia + Mauro Zanchi: Objet è una foto recuperata in un mercatino delle pulci, che viene rimessa in azione relegando il senso al linguaggio gestuale. Nella tensione del gesto c’è una apertura all’irraggiungibile come paradigma?

Simone Bergantini: Afferrare qualcosa per come questa cosa è rimane un esercizio possibile solo e sempre in linea teorica.Senza scomodare teorie fisiche o filosofiche più o meno note, è comprensibile a chiunque con un piccolo sforzo capire che “afferrare” qualcosa non è più quella cosa che si tentava di afferrare ma qualcosa di nuovo, in cui la cosa e la “presa” formano un nuovo equilibrio. Nella tensione del gesto della mano in questa immagine – catturata da non sappiamo chi, dove e perché – si riverbera all’infinito quella necessità di afferrare o per meglio dire di comprendere, che da sempre ha spinto l’essere umano a modificare la realtà intorno a sé, innescando un movimento perpetuo di avvicinamento e allontanamento di scoperta e di mistero, in cui il tempo fa da spettatore. La fotografia non ha il potere di afferrare la realtà in termini assoluti, ma forse è in grado di spezzare il tempo e creare delle fratture visive, su cui innestare lo sguardo e attendere il germogliare di nuove possibilità.

SB+MZ: Proviamo a entrare e a sostare nei cieli digitali, ricreati con i codici pantoni dei social più celebri (Twitter, Facebook, Instagram). Cosa è celato in questi tre rettangoli, messi in relazione e a confronto visivo, in cui sono testimoniati trascoloramenti dal bianco al blu?

SB: “Fotografia” è una parola meravigliosa. Ha saputo negli anni far fronte a un carico di significati e di impieghi estremamente vario senza mai perdere forza. È sorprendente, se ci si sofferma a osservarla, quanto possa espandersi e abbracciare suggestioni impensabili solo qualche anno addietro. Io ne sono davvero affascinato. Più perde la sua forma originale per toccare “ambizioni” inesplorate più mi sembra di iniziare a percepirne il disegno. Con questa premessa vorrei spiegare il senso del mio personale rapporto con la fotografia, come strumento per la riproduzione di immagini tratte dal “reale” e come metodo per l’osservazione e trasformazione delle idee. In questa occasione i tre cieli sono le “fotografie” di tre panorami virtuali. Nel periodo in cui ho realizzato queste opere avevo iniziato una pratica che ancora oggi porto avanti. Classifico e tengo traccia dei colori utilizzati nel tempo dai principali portali web di aggregazione di massa. Sto creando un mio archivio di campioni cromatici guardando al monitor e al tempo dedicato alla navigazione come un viaggiatore o un fotografo camminatore avrebbe potuto guardare e prendere appunti sui cieli e sulle terre incontrate. Partendo dalla materia specifica di quei campioni colore, realizzo queste immagini astratte dosando l’aggiunta del bianco e gestendo i rapporti di lunghezza  tra i lati. Questo esercizio è in estrema sintesi qualcosa che mi avvicina profondamente all’essenza mentale del gesto fotografico del guardare e comporre nel mirino della macchina.

SB+MZ: In questa era noi vediamo forse solo i fantasmi delle immagini o siamo portati a pensare che abbia più importanza la sensazione indotta da un’immagine che l’immagine stessa. La nostra visione del reale è mediata da una progressione di innumerevoli bagliori figurativi percepiti su schermi retroilluminati. Siamo di fronte al digitale che si autorappresenta in un rapporto di questioni percettive, dove lo sguardo umano è invitato solo a produrre un tentativo di afferrarne il senso?

SB: Mi piacerebbe rispondere a questa suggestione dai toni alti abbassando drasticamente il punto di vista fino a terra, per darvi una misura concreta di questa mediazione. Voi parlate di suggestioni dei bagliori figurativi percepiti nella rete, io vorrei porre l’accento su una semplice deriva esperienziale riscontrabile da chiunque nel quotidiano. Mi riferisco alle goffe pose e agli stralunati atteggiamenti coreografici di chi in strada, come se il mondo intorno non fosse più presente, è intento a produrre (per la / e nella sua bolla) un contenuto per il tik toc di turno o un selfie plastico pieno di successo e sintomatico mistero. Questi bagliori, questi echi di cui parlate sono ormai oltre lo schermo retroilluminato e hanno iniziato ad imprimere con forza la loro forma al mondo. Inoltre le nuove immagini prodotte e condivise ogni istante alimentano un fenomeno incestuoso di fecondazione degli sguardi altrui e questo, forse, è il più grande fantasma di cui tentare un osservazione.

Simone Bergantini, AZZURRI, 2013 – Courtesy Giampaolo Abbondio Arte contemporanea
Simone Bergantini, ADDICTION, 2013 – Courtesy Giampaolo Abbondio Arte contemporanea

SB+MZ: Sicuramente, i social (Instagram, Facebook, Twitter etc.) e gli smartphones hanno occupato sempre più spazio e tempo nella vita della quasi totalità delle persone. Hanno assorbito parte della vita di chi era cresciuto nell’epoca pre-internet e del suo immaginario. Le notizie e le figure che corrono su tablets e laptops quotidianamente conducono informazioni verbali e immagini. All’antico principio fluido della realtà si è giustapposto l’altro scorrimento, quello multimediale.

SB: Giustapporre potrebbe essere un termine troppo morbido per spiegare cosa sta accadendo. C’è una bellissima intervista di Pasolini sulle dune di Sabaudia facile da reperire su youtube in cui si parla della fondazione della città. Partendo dal dato stilistico-architettonico, Pasolini arriva velocemente a riflettere di come la cultura fascista sia riuscita realmente poco ad incidere, se non superficialmente, nella compiutezza umana di quella comunità, mentre nei pochissimi anni seguenti la società dei consumi proponendoci di migliorare il nostro “stile di vita”  si sia velocemente e più incisivamente fatta strada grazie alla sua grandissima capacità di omologare “togliendo realtà ai vari modi di essere uomini”. Oggi stiamo vivendo una nuova fiammata di questo fenomeno di acculturazione più o meno silente, il multimediale ci sta togliendo sempre più spazi reali, la società dei consumi si sta evolvendo in termini che potremmo enfatizzare come metaconsumistici, il consumatore è diventato il primo bene di consumo nella società dei dati. Quindi mi sembra che sia in corso un vero e proprio conflitto tra reale e multimediale, in cui la realtà in termini di interesse economico sta perdendo terreno in modo preoccupante. Questo non significa che non ci siano cose buone in questa trasformazione, di certo anche migliori ma mi piacerebbe comprendere quanto il prezzo che stiamo pagando in termini di perdita di realtà sia sostenibile in futuro. Dico questo, sia chiaro, con la consapevolezza di chi con il passare del tempo sa di andare incontro a una posizione conservatrice e far sempre più fatica ad accettare e comprendere il nuovo, ma ho altrettanto chiaro che l’incremento esponenziale di accelerazione a cui il “nuovo” è stato sottoposto in questi anni recenti è cresciuto a ritmi a cui non abbiamo mai assistito in passato e rischia di rendere difficile e instabile in futuro il governo di questa traiettoria. 

SB+MZ: L’esposizione della serie The Night Watch, ovvero degli schermi infranti, dei display distrutti, pare aprire più a una presenza scultorea che a rimandare alle immagini bidimensionali che ogni smartphone visualizza e conduce. Cosa innescano questi dispositivi senza più retroilluminazioni?

SB: Una riflessione sul rapporto inversamente proporzionale che la fotografia ha sviluppato nella sua storia, tra durata e quantità in relazione ai supporti fisici a cui si è affidata. Le prime tecnologie fotografiche caratterizzate da una bassissima quantità di informazioni visive sono state in grado di proteggere queste informazioni originali per lungo tempo. Mentre oggi con il digitale la stretta relazione tra fotografia e oggetto, che da un certo punto di vista sembrano indissolubili, in termini di quantità di informazioni perdono di senso se osservati come corpo unico. L’oggetto torna a essere un oggetto più che mai. L’immagine è sempre più inafferrabile. 

SB+MZ: I black mirror infranti paiono possibili ritrovamenti che potrebbero essere esposti nei musei archeologici del futuro. Ma nel nostro tempo, nella tua mostra, compongono oggetti che appartengono all’archeologia del contemporaneo o rimandano a significati annessi alla brevità e alla non-durata delle immagini che ogni smartphone mette in circolo attraverso internet e le compagnie telefoniche. Cosa conducono quei simulacri?

SB: Questi specchi neri, che ho intitolato Addiction, compongono una serie di 13 opere uniche in grande formato 160×120 cm. Tecnicamente non sono altro che immagini del residuo grasso che dalle nostre dita rimane sugli schermi dei dispositivi. Nello specifico furono realizzate con un Ipad di prima generazione che a fine giornata fotografavo per tenere traccia del mio tocco. Nella formalizzazione poi mi sono ispirato (con le dovute proporzioni) alla cappella Rothko di Huston, che accoglie tutti i culti senza appartenerne a nessuno, e ho creato questi 13 grandi elementi scuri profondi monolitici in cui immergersi fino a chiudere gli occhi. In quel periodo, anzi già da qualche anno, noi tutti addetti ai lavori avevamo iniziato a percepire il problema della proliferazione incontrollata, incontrollabile e “furiosa” delle immagini. Da artista e da fotografo cercavo incessantemente di ridare peso alle mie immagini, ma era evidentemente un tentativo destinato all’insuccesso, in un sistema in cui l’immagine iniziava a essere veicolata orizzontalmente dai socialmedia e chiunque possedeva un dispositivo di riproduzione costantemente con sé l’unica cosa che aveva senso rappresentare per mantenere un approccio riflessivo di ampio respiro era lo spegnimento, l’azzeramento e la sottrazione dell’immagine come unica reazione possibile. 

Simone Bergantini, The night watch, 2015 – Courtesy Giampaolo Abbondio Arte Contemporanea
Simone Bergantini, Pics( kodal), 2014 – Courtesy Giampaolo Abbondio Arte Contemporanea

SB+MZ: In un’epoca caratterizzata dall’eccesso d’informazioni e da tutte le conseguenze che delegano il ricordo a memorie di dispositivi esterni al nostro cervello, come può l’opera o la ricerca di un artista creare un cortocircuito o accendere un processo atto a rimettere in circolazione i processi della memoria, per fare in modo che non si atrofizzino le nostre capacità cognitive?

SB: Non lo so, non sono neanche sicuro che sia possibile, se non forse creando nuovi campi di gioco. Ma questo potrebbe comportare di entrare in un territorio che non necessariamente sia l’arte per come la conosciamo.

SB+MZ: Che relazione c’è tra How To e nuovo esotismo? 

SB: Stavo leggendo una biografia di Gauguin mentre immaginavo la struttura del mio recente progetto How to dance Rave music, e ho avuto netta l’impressione che concedermi la libertà di fare un progetto sul mondo della cultura Rave sarebbe stato per me un privilegio simile a quello di chi parte per andarsene in Polinesia per rigenerare il suo sguardo. Da quella prima suggestione ho iniziato a trovare sempre più conforto nel termine “esotico”, o meglio, in quello che ho immaginato come “nuovo esotismo visivo”, inteso come minimo comune denominatore del mio sguardo nel web nella vita e nell’arte. Mi rendo conto che è una cosa molto soggettiva ma non saprei spiegarla meglio. L’ultimo strascico di cultura novecentesca che porto nel mio bagaglio formativo mi impone di studiare e osservare le immagini seguendo un metodo che potrei definire lineare, mentre oggi mi sento più a mio agio concedendomi un approccio all’immagine più leggero e scollegato dal concetto di causa e effetto, teso verso una randomica possibilità di verticalizzare il mio sapere senza necessariamente ancorarmi a un’unica prospettiva.

SB+MZ: Come è costruito The Golden Path (2018-19)?

SB: The Golden Path è in primo luogo un progetto open source, in cui vengono forniti tutti i disegni tecnici e le istruzioni per costruire un percorso fitness simile per dimensioni a quelli che si trovano nei parchi ma inadatto a una pratica fisica. Successivamente alla pubblicazione di questi disegni nel libro Thropies è stato realizzato per il MAC di Lissone in scala 1:1 in ottone e oro 24k tutto il percorso in 5 elementi, realizzando una sorta di palestra mentale all’interno delle sale del museo.  

SB+MZ: Ci parleresti di Pics (2014)? Provi nostalgia per l’immagine analogica?

SB: Una piacevolissima nostalgia ma priva di qualsiasi zavorra. Pics racconta la storia della mia famiglia senza mostrarne le immagini, pics sono il retro delle fotografie custodite nei cassetti di casa dei miei genitori. Ho scansito la traccia del tempo, degli ingiallimenti, degli appunti presi a mano e poi mi sono divertito a ritoccarli in maniera grossolana come andava molto di moda in quegli anni sulle riviste internazionali di ricerca fotografica. Ho trovato molto suggestivo poter realizzare un lavoro estremamente privato senza tradire l’intimità della mia storia. Pics è stato il mio tentativo di assimilare una riflessione saggistica sulla transizione dalla fotografia come oggetto alla fotografia come file e la necessità di esprimere un urgenza.

SB+MZ: Come hai sviluppato ulteriormente il tuo rapporto con l’invisibilità da quando hai realizzato Uncapture (2011-12)?

SB: Uncapture ha segnato il momentaneo abbandono della mia ricerca dell’invisibile. Sono in attesa di  ritrovare nuovamente la forza e le condizioni per tentare nuovamente questa “scalata”. Uncapture è una breve serie di 10 immagini frutto di un lavoro di 2 anni, in cui il 99% del materiale prodotto è stato un progressivo fallimento terminato in queste 10 bustine trasparenti incapaci di contenere alcunché e incapaci di scomparire del tutto.

Simone Bergantini, (HTDRM) Backside, frame – 2020-21 – Courtesy Giampaolo Abbondio Arte Contemporanea
Simone Bergantini – THE GOLDEN PATH, FOGLI PROGETTO 2018-19 – – Courtesy Giampaolo Abbondio Arte Contemporanea
Simone Bergantini, THE GOLDEN PATH-ELEMENTO IN OTTONE E ORO24 -16 – elementi assemblati 2x1x0,5 mt circa-2018-19 – Courtesy Giampaolo Abbondio Arte Contemporanea
Simone Bergantini, UNCAPTURE, 2011-12- Courtesy Giampaolo Abbondio Arte Contemporanea