La nostra rubrica sulle nuove ricerche della fotografia contemporanea, giunta al suo 13° appuntamento, si concentra sull’opera di Fabrizio Bellomo, nato a Bari nel 1982, città dove attualmente vive e lavora.
Mauro Zanchi / Sara Benaglia:La targa metallica Abbi cura della macchina su cui lavori è il tuo pane! (2012)trovata in una fabbrica di Bari, chiusa dagli anni Novanta, replicata e ingigantita è stata da te installata in diverse location industriali a Sesto San Giovanni. Nel passaggio dall’industria alla società dell’informazione che cosa è accaduto alla fotografia?
Fabrizio Bellomo: Le pellicole, quindi la chimica, sono state sostituite da un sensore digitale, capace di misurare le intensità luminose di una porzione del reale, proiettata su di un piano e suddivisa in una griglia (composta da celle) in grado di operare tale misurazione. Sembra banale, ma questo ha permesso un cambiamento epocale: la perfetta tracciabilità e identificazione del punto di colore – attraverso coordinate – sul piano fotografico. Cosa impossibile, se non sommariamente, con l’analogico. Un cambiamento e una trasformazione del genere sono paragonabili – mutatis mutandis – al momento in cui il calcolo longitudinale si affinò grazie all’avvento dell’orologio meccanico, reso finalmente trasportabile in navigazione (senza effetti collaterali, che non ne garantissero il buon funzionamento). Grazie a ciò il calcolo della posizione longitudinale di una nave in navigazione divenne via via più preciso, con tutto quello che ne è conseguito. Il cambiamento – da analogico a digitale – al quale abbiamo assistito in questi anni ha avuto e sta avendo, come stiamo tutti osservando, un impatto sul reale di proporzioni simili. Enormi. ABBI CURA DEL MAC SU CUI LAVORI È IL TUO PANE!
MZ / SB: La parola, il testo, lo slogan, i significanti, sono presenti nella tua ricerca con un ruolo ambiguo. Ci interessa approfondire un po’ di più le sfaccettature e le caratteristiche visive di questi testi, la loro forza iconografica, il testo scolpito nel medium fotografico. Che valore dai alla parola fotografata?
FB: È un po’ che ci ragiono. Già Matteo Bergamini qualche tempo fa mi ha fatto notare – ancora una volta – questa mia deriva. Sto preparando, proprio in questo periodo, un nuovo libro, che affronterà tali tematiche attraverso una raccolta di alcuni miei lavori.
Credo di essere interessato al testo in quanto immagine: alla composizione grafica del testo nelle tabelle educative di fabbrica o nelle vecchie cartoline “Saluti da Cerignola”, o nelle scritte sui muri. In tutti questi slogan è presente una forza iconografica, che risiede proprio nell’accoppiata grafia/grafica con cui questi sono ‘esclamati’. “Muri puliti popoli muti”, per esempio, scritta qui così, perde del tutto il suo senso, che riacquisisce se scritta a mano con una bomboletta su di un muro. La stessa cosa vale per “Abbi cura della macchina su cui lavori è il tuo pane!”. Leggerla qui, invece che nel monito grafico utilizzato nelle targhe affisse in fabbrica, è tutt’altra cosa: è molto meno incisiva. Un’altra
sfaccettatura che ho notato è relativa al modo in cui questi slogan vengono
materialmente scritti. Per esempio, in “Vegla ben ustain” – che tradotto
dall’albanese significa “Lo strumento fa il maestro” – faccio scrivere/realizzare
questo monito a un operaio, che ogni giorno si mette in vendita nei pressi
della rotonda della ‘Dogana’ di Tirana, l’ingresso in città per chi arriva da
Durazzo. Così, nel mio lavoro video, durante la realizzazione della scritta
“Vegla ben ustain” (il significante), le modalità con cui la stessa viene
realizzata hanno già a che fare con il referente, che questo detto popolare
rappresenta.
MZ / SB: 11 messaggi speciali è depositario di una storia di resistenza dimenticata, una resistenza avvenuta tramite la trasmissione “L’Italia combatte” di Radio Bari, nel corso della Seconda Guerra Mondiale. Nel 2019 hai distribuito tali messaggi su lastre di marmo nel quartiere di Bari, che un tempo ospitava le antenne della trasmissione, riproducendo un camouflage, ma con una diversa intenzionalità. Quale è la chiave per decriptare gli 11 messaggi speciali? Come è cambiata la modalità di creazione di messaggi criptati nel corso di 70 anni?
FB: Ho fatto incidere gli 11 messaggi speciali su altrettante lastre di marmo, con i canonici caratteri usualmente utilizzati per le targhe toponomastiche, affinché i messaggi assumessero le sembianze di queste ultime. Ho posizionato le lastre lavorate sui pali rimasti orfani di qualsivoglia cartello, elementi urbanistici che spessissimo si ritrovano nelle nostre periferie. Ho sempre odiato questi pali, veri e propri impedimenti architettonici, quindi non volevo essere proprio essere io a doverne mettere in giro altri. Nel quartiere periferico che ospitava le antenne di Radio Bari, però, di ‘orfani da cartelli’ ve ne erano un’infinità. Ho utilizzato alcuni di quelli.
Non era mia intenzione decriptare i messaggi speciali, infatti tutt’oggi non sono a conoscenza del significato, della decodificazione di queste frasi, come inconsapevole era all’epoca anche la popolazione civile che ascoltava gli stessi messaggi via radio. Non è stato un punto di interesse per la realizzazione del lavoro, piuttosto mi interessa come questi significanti sono stati impregnati di significati da ogni singolo individuo nel contemporaneo. Essendoci spesso dei nomi propri nelle frasi, non è stato raro riscontrare che diversi abitanti del quartiere si sono sentiti e si sentono – poiché le targhe incise sono permanenti e tuttora in giro nei quartieri di Ceglie e Carbonara di Bari – chiamare in causa in prima persona, anche in relazione a eventi che riguardano il quartiere. Per esempio, ho posizionato una delle lastre di marmo, con su inciso il messaggio speciale “Maria si prepari”, in un vicoletto del centro storico di Ceglie del Campo.
Durante una ricognizione per documentare fotograficamente l’installazione, sono stato fermato da una signora che mi ha chiesto informazioni a riguardo. Dopo averle spiegato il progetto, la mi ha confessato di essere rimasta estremamente basita dalla comparsa del messaggio, poiché a pochi metri di distanza vi è una piccola cappella – dedicata alla Vergine Maria – dove lei e altri abitanti sono soliti preparare ritualmente dei festeggiamenti. Aveva colto il messaggio “Maria si prepari” divinamente, come un segno divino.
MZ / SB: Dopo l’esperienza di “Viaggio in Italia”, quali ulteriori ricognizioni si possono mettere in atto nell’attuale paesaggio? L’arte potrà innescare un processo di coscienza e di consapevolezza, per agire sull’immaginario del nostro popolo, per salvare il paesaggio (sia interiore sia esterno) dal declino, dall’inquinamento, dalle speculazioni economiche, o da altro?
FB: Vedo il paesaggio italiano come Ulisse vedeva il canto delle sirene: qualcosa da cui schermarsi e proteggersi. Ma, come Ulisse, non sono immune al fascino che lo stesso ha sempre esercitato sugli uomini. Dal paesaggio al turismo di massa – i passaggi non sono poi così tanti – le conseguenze generate in un territorio, dalla divulgazione fotografica dei suoi affascinanti paesaggi, non ricordano anche a voi le sirene dell’Odissea?
MZ / SB: Come hai articolato, e perché, il rapporto tra verità e finzione nel processo di appropriazionismo presentato nel mockumentary интервју (2018)?
FB: Come in qualsiasi altro mock, ho giocato con realtà e finzione, sfruttando i registri del linguaggio visivo e di quello narrativo. I personaggi del mock, per esempio, sono persone reali – inconsapevoli di tutto il mio marchingegno filmico -, intervistate per strada a casaccio da una finta troupe serba, messa insieme per l’occasione. Come la troupe, anche io ho recitato una parte, quella di un me stesso autore dello slogan presente sulla facciata della fabbrica automobilistica di FCA Serbia: “Siamo quello che creiamo”. D’altronde la realtà cinematografica è sempre figlia di commistioni di questo genere. Nei mock la mescolanza forse viene curata con particolare attenzione, gestita fin nei piccolissimi dettagli, ma è una caratteristica questa, a mio avviso, sempre presente nel linguaggio cinematografico.
MZ / SB: Cosa si è innescato attraverso il progetto Villaggio Cavatrulli e il volume di XXI Guide d’artista? Ci parleresti del rapporto riappropriazione/attivazione di certi luoghi della memoria?
FB: Non so sinceramente cosa si sia innescato, sono troppo coinvolto in questo progetto per avere la lucidità di un occhio esterno. Nel caso dei luoghi di Villaggio Cavatrulli, soprattutto nello specifico delle ex zone estrattive sul mare, una sorta di riappropriazione vernacolare è ‘sempre’ esistita: sono luoghi affollati durante l’estate da centinaia di migliaia di turisti (penso alla scogliera – ex territorio estrattivo – di Santa Cesaria Terme nel Salento o al Bue Marino di Favignana). Quello che ho notato è che molto spesso, però, il fruitore è completamente ignaro della storia dei luoghi di cui fruisce. Sembra assurdo, ma in molti tutte quelle forme antropiche e architettoniche non attivano alcuna curiosità. Ne usufruiscono senza domandarsi nulla del perché della presenza di tali forme. Credo che questa sia una delle inconsce motivazioni che mi ha stimolato nella realizzazione di Villaggio Cavatrulli.
MZ / SB: In Ritratti numerici (2015-17) riporti l’informazione di colore, pixel per pixel, di un ritratto digitale dalla risoluzione molto degradata. Come l’informazione prodotta dalla macchina fotografica digitale altera la nostra relazione con il linguaggio scritto?
FB: A questa domanda potrei rispondervi esaustivamente solo dopo aver realizzato un saggio dedicato esclusivamente all’argomento. E comunque non servirebbe e non basterebbe, visto che rispetto all’influenza odierna dell’immagine sul linguaggio scritto e parlato si tratta di una mutazione in costante evoluzione e di proporzioni gigantesche. Faccio giusto un esempio: oggi, spesso, per comunicare a un amico che siamo arrivati all’appuntamento dove lui invece ancora non c’è, mandiamo allo stesso una foto via WhatsApp del luogo dell’appuntamento. Ecco un utilizzo altro, quasi verbale, e oggi ricorrente, della fotografia. Questa foto verrà – con ogni probabilità – cancellata al primo richiamo per insufficienza di memoria del nostro smartphone.
MZ / SB: Potresti parlarci di Es geht einfach um Nummern (2015)? Ci interessa in particolar modo il metodo lavorativo da te applicato e la prospettiva storica da te costruita.
FB: Molto semplice: come moltissimi artisti provo una grande attrazione per gli scarti. In quel periodo passavo tanto tempo a Berlino e nei fotolaboratori. Le prove colore utilizzate in questi laboratori mi ricordavano alcune opere della Bauhaus. Le prove colore possono essere considerate come degli scarti industriali, così ho iniziato a collezionarle, per poi esporle, incorniciandole e installandole insieme ad autentiche opere della Bauhaus (Itten, Bill, Albers).
New Photography è una nuova rubrica di approfondimenti dedicata alla fotografia contemporanea: una serie di interviste di Mauro Zanchi e Sara Benaglia realizzate nel contesto di ricerca riferito allaMetafotografia e alla New Photography, iniziata nel 2018 – approfondita con una mostra presso BACO_BaseArteContemporaneaOdierna (Baco Arte Contemporanea) e una pubblicazione edita da Skinnerboox nell’ottobre 2019 – e tuttora in divenire con ulteriori approfondimenti nelle pagine online di questo sito.
New Photography è un progetto che in una prima fase coinvolge l’avanguardia fotografica contemporanea italiana e in seguito la Nuova Fotografia internazionale. Si pone il quesito di quale sia la natura dell’immagine alla luce di un cambio di paradigma visuale combinato con i cambiamenti sociali e tecnologici che lo hanno accompagnato. Gli algoritmi di correzione dell’immagine, il deep web, l’apertura al non visuale, la codificazione con stringhe di numeri, l’archivio, le corruzioni e gli sviluppi dell’inconscio tecnologico, l’utilizzo delle telecamere di sorveglianza e dello scanner invece di un obiettivo sono solo alcuni dei metodi e delle modalità di ricerca adottati dagli artisti coinvolti.