New Photography | Discipula

"Tutta la ricerca di Discipula ha come obiettivo quello di svelare o quanto meno fare emergere e ribaltare i meccanismi che hanno permesso alle immagini di frapporsi fra noi e il reale, andando così a sostituire in una certa misura il reale stesso."
14 Febbraio 2020
HTD – MORPHEUS – Landscape AD 01, Digital Print on paper, Forex, Plexiglass, 200 x 100 cm Courtesy MLZ Art Dep Trieste

Il nono appuntamento dedicato alla nuova scena fotografica è dedicato ai Discipula, una piattaforma di ricerca collaborativa che opera nel campo della fotografia e della cultura visuale, fondata da Marco Paltrinieri, Mirko Smerdel e Tommaso Tanini nel 2013.
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Mauro Zanchi, Sara Benaglia:  Nel film Fino alla fine del mondo di Wim Wenders, alla protagonista Claire Tourneur interessano molto di più i frammenti visivi che giungono dai sogni, le immagini del suo inconscio, i ricordi non ancora svelati, registrati con un nuovo dispositivo tecnologico. Outdoor Media Action, il vostro progetto diffuso sui sei maxi schermi led, messi a disposizione dall’agenzia M4, e gli impianti Digital Out Of Home, che hanno trasmesso pubblicità della fittizia tech company AURA, promuovendo sia il brand stesso che Morpheus, un’immaginaria tecnologia in via di sviluppo capace di visualizzare i sogni degli utenti, sembrano in qualche modo collegati idealmente all’ossessione di Claire. 
Come avete sondato il medium del sogno e delle rivelazioni da un’altra dimensione immaginativa attraverso la fotografia? E che rapporto vedete tra l’immagine (anche quella onirica) e i meccanismi di produzione e consumo attraverso cui essa viene veicolata? 

MARCO: Pur essendo appassionati di cinema ammetto che nessuno di noi ha mai visto Fino alla fine del mondo. Tuttavia, data la frequenza con cui il titolo di Wenders appare durante interviste e discussioni attorno a Morpheus, pare evidente che dovremo, prima o poi, colmare questa lacuna. Se spesso ci capita di lavorare in modo abbastanza trasparente con suggestioni e citazioni provenienti dal cinema o dalla musica (esempi, a tal proposito, sono la frase al centro di Dead Commercials, estratta dallo script di Diary of the Dead di Romero o il titolo del lavoro Just Like Arcadia preso in prestito da un brano degli Psychic TV), in questo caso l’idea dei sogni è il risultato di una riflessione rispetto ai temi trattati in How Things Dream (di cui Outdoor Media Action/Morpheus fanno parte): il capitalismo della sorveglianza (tema tra l’altro approfondito in maniera rigorosa nell’omonimo libro pubblicato nel 2018 da Shoshana Zuboff) e nello specifico il ruolo centrale giocato dalle immagini nel processo di colonizzazione delle menti dei consumatori. Fino a che punto la natura manipolativa ed estrattiva del capitalismo può spingersi? È per provare a rispondere a questa domanda che abbiamo così toccato il tema del sogno, l’ultimo baluardo della privacy rimasto oggi, sul quale, oltretutto, non siamo in grado di esercitare alcun controllo. Ci siamo così trovati a pensare non solo a una corporate in grado finalmente di accedere a questo El Dorado, ma anche al fatto che verosimilmente i consumatori, oramai completamente integrati nei meccanismi del semiocapitalismo, ne sarebbero profondamente eccitati. In fondo è evidente che, rispetto alla grande narrazione del tardo capitalismo, siamo tutti vittime e carnefici. Per quanto riguarda la formalizzazione di queste suggestioni, abbiamo deciso di lavorare per sottrazione, che tradotto vuol dire che ci siamo concentrati principalmente sulla comunicazione e promozione di Morpheus, lavorando a livello grafico e testuale e operando così sulla suggestione piuttosto che sullo svelamento dei possibili contenuti di Morpheus. In fondo, provare a dare forma a sogni immaginari di utenti immaginari non avrebbe avuto alcun senso. Quello che abbiamo fatto, invece, è stato confondere il mondo di Morpheus con il reale, attraverso le pubblicità che citate, ma anche con dei questionari anonimi che possono essere compilati sia online che durante le mostre di How Things Dream. I risultati ottenuti sono certamente interessanti.

MIRKO > Ci interessava molto affrontare il tema del sogno attraverso questo progetto, in quanto crediamo che sia la prossima frontiera del capitalismo. Abbiamo visto come i meccanismi di produzione e consumo siano veicolati attraverso il controllo del desiderio e delle pulsioni inconsce e come questi meccanismi siano sempre più invasivi, per cui ci sembra abbastanza logico (e i recenti sviluppi tecnologici ce lo confermano) prevedere un interesse sempre maggiore da parte del sistema socio-economico verso l’attività onirica. L’aspetto a mio avviso più interessante e controverso di Morpheus è, infatti, l’ambiguità legata all’operazione dei questionari. Se da una parte questa operazione è virtuale e funzionale alla meta-narrazione di AURA, dall’altra parte stiamo costruendo un vero e proprio archivio di sogni reali, dove tutte le immagini di questi sogni sono presentate solo testualmente. Dopo ripetuti esperimenti, infatti, abbiamo deciso di non visualizzare i sogni, in quanto abbiamo realizzato che l’immaginazione è molto più potente di qualsiasi immagine fatta e finita. Ad esempio, per restare in ambito cinematografico, nei film thriller o in certi horror l’effetto più intenso si raggiunge quando non si vede mai il “mostro” ma si percepisce soltanto la sua presenza e la sua pericolosità. Quando invece il mostro si vede l’effetto è solitamente sempre posticcio.

HTD – Morpheus, Outdoor Media Action – Ad 03 (Corso Buenos Aires), 148 x 85 cm Courtesy MLZ Art Dep Trieste
HTD – Morpheus, Outdoor Media Action – Ad 02 (Teatro Piccolo), 148 x 85 cm Courtesy MLZ Art Dep Trieste
HTD – Morpheus, Outdoor Media Action – Ad 01 (via Farini), Digital Print on paper, 200 x 100 cm Courtesy MLZ Art Dep Trieste

MZ / SB: In questa nostra indagine sulle possibilità potenziali dell’oltrefotografia quali strategie di appropriazione e manipolazione della retorica e dei meccanismi propri del linguaggio pubblicitario avete messo in campo? 

MARCO: Tutta la ricerca di Discipula ha come obiettivo quello di svelare o quanto meno fare emergere e ribaltare i meccanismi che hanno permesso alle immagini di frapporsi fra noi e il reale, andando così a sostituire in una certa misura il reale stesso. Guidati dal lavoro dei soliti noti, Flusser, Baudrillard, Virilio, ecc., abbiamo di volta in volta smontato, ricontestualizzato e riprogrammato immagini, originali e/o trovate. In How Things Dream ci sono almeno 3 diverse tipologie di lavoro sulle immagini: 

– Imitazione e sabotaggio: In The Communication Series (2016-Ongoing) lavoriamo con immagini originali, scattate da Tommaso, che diventano successivamente parte di sistemi significanti complessi, in cui le immagini stesse, oltre ad essere pesantemente manipolate, vengono messe in dialogo con testi ed elementi grafici nella creazione di messaggi pubblicitari.

– Documentazione: Con Outdoor Media Action (2017) abbiamo realizzato, grazie al supporto del collezionista Simone Sacchi e dell’agenzia M4, una sorta di performance pubblica, dove testi pubblicitari di Morpheus sono stati proiettati su schermi LED in giro per Milano, nell’arco di 3 settimane. Il lavoro è stato documentato e “restituito” sotto forma di fotografie, generalmente di grande formato, che illustrano il passaggio delle pubblicità in questione. Queste, tra l’altro, sono tra le fotografie concettualmente più semplici che abbiamo mai realizzato con Discipula, pura e semplice documentazione.

– Sottrazione: Come accennato nella risposta alla prima domanda, all’interno della storia di How Things Dream, Morpheus (2017-Ongoing) rappresenta una tecnologia che permette di visualizzare estratti dei propri sogni. In questa fase del progetto abbiamo deciso di operare eliminando quelle che WJT Mitchell chiamerebbe pictures in favore di images mentali, un immaginario che cerchiamo di proiettare nella testa del pubblico soprattutto attraverso l’utilizzo di slogan pubblicitari. L’idea qui è di evocare una dimensione sublime del capitalismo, dove sublime va inteso nell’accezione gotica del termine: una forza astratta in grado di penetrare e soverchiare l’uomo e la sua volontà.  

MIRKO > Da un punto di vista puramente formale, per la costruzione dell’immaginario di AURA siamo partiti inizialmente da una semplice imitazione del reale (soprattutto l’immaginario new-age corporate della Silicon Valley) per poi spingerci verso immaginari possibili, ispirati soprattutto al surrealismo, alle esperienze dell’Internazionale Situazionista, al Whole Earth Catalog, ad Atrocity Exhibition di Ballard e a Victor Burgin, per poi arrivare a una identità unica e personale. La sfida è stata rimanere in bilico tra la visionarietà dei contenuti soft sci-fi e una certa rigidità formale che serve a mantenere credibile la mimesi con la realtà corporate.

Efficacy Testing Stream, photogram’s details from Video
Promise Areas #04 – Hong Kong, laser engraving on Conclad, enamel, 100 x 70 cm Courtesy MLZ Art Dep Trieste
TRASMISSIONE, Live performance at Galleria Civica di Modena, May 2018

MZ / SB: Dopo la vostra esperienza-opera e le campagne pubblicitarie di AURA come immaginate ora il “mondo post-democratico caratterizzato dall’assoluta imposizione di un regime globale e corporate-centrico” (ovvero un mondo in cui sorveglianza e controllo sono totalmente accettate e integrate nella progressiva commodificazione del quotidiano)? Che ruolo ha il medium fotografico in questo spostamento spaziotemporale, che lega l’immaginazione presente a quella del futuro?

MARCO: Il progetto nasce da una visione fosca del futuro e dal desiderio di esplorare questo futuro a partire dai semi che sono già ben piantati nel presente. A quattro anni dalla nascita di How Things Dream direi che il mondo continua sempre a sorprenderci in negativo. Per quanto riguarda il medium fotografico, mi sembra evidente che sia uno degli strumenti principali attraverso cui il potere traccia la traiettoria delle nostre vite. Dalle riflessioni di Benjamin fino alla fusione tra reale e digitale realizzatasi appieno nel XXI secolo, la forza delle immagini si è fatta progressivamente più schiacciante e in grado di operare a un livello sempre più profondo nella psiche delle persone. Questo tipo di riflessione è uno dei punti alla base di How Things Dream. Detto questo, ragionando in termini di cultura di massa, mi pare che, piuttosto che aiutare ad allacciare il presente a futuri possibili, le immagini vomitino nel presente un’idea di futuro posticcia e illusoria. Questo crea un enorme intasamento sensoriale, che porta a una notevole perdita di orientamento e che rende difficile poter anche solo immaginare un futuro altro rispetto a quello che ci viene dato in pasto. L’unica alternativa possibile sembra essere solo la catastrofe, il collasso della nostra specie. Uno dei compiti principali di un artista oggi credo sia quindi invitare il proprio pubblico a trovare la forza e gli stimoli per costruire immagini che non siano surrogati di una visione imposta dall’alto, ma che, piuttosto, aiutino a prefigurare realtà altre.

MIRKO > Secondo me ci siamo trovati negli ultimi anni a un punto di svolta epocale nella storia della fotografia e nel suo potere di veicolare contenuti ideologici. Non credo che la fotografia abbia mai detto il vero, ma è un dato di fatto che per fare una fotografia ci fosse bisogno comunque di un oggetto reale di partenza. Con le nuove tecnologie digitali è possibile produrre un’immagine fotografica da zero senza avere nessun bisogno di un appiglio a qualcosa di reale. Questo rende la fotografia sempre più simile alla pittura nella sua capacità di creare mondi, ma col potere della sua aura di iper-realtà e quindi di credibilità. Un esempio interessante sono i rendering architettonici, sui quali lavoriamo non a caso da anni, e che hanno la capacità di far immaginare non solo uno spazio urbano che non esiste ancora, ma anche come questo spazio vada vissuto, facendo accettare, ad esempio, la privazione sempre più costante della socialità per dar spazio al profitto.

MZ / SB: Avete recentemente pubblicato il libro L’invenzione del buio (2019). Immagini tratte dalla Fototeca della Soprintendenza Archeologica di Bari si alternano a un dialogo tra “Io” e “Lui”, un essere proveniente da un altro mondo. Com’è nata questa pubblicazione? Come sono articolati al suo interno i rapporti tra storia, catastrofe, distopia e fantascienza?

MARCO: Il libro è l’esito di una residenza d’artista curata da Off the Archive, un’organizzazione dedita alla riscoperta e valorizzazione del patrimonio archivistico. La buona intuizione da parte di Off the Archive è stata quella di invitarci a lavorare assieme a Pierangelo di Vittorio, filosofo e membro del collettivo Action 30, con il quale, oltre a una immediata intesa intellettuale, è nata anche una bella e profonda amicizia. Assieme abbiamo esplorato il materiale “grezzo” offerto dall’archivio, foto – bellissime – di documentazione del patrimonio architettonico della provincia di Bari, e cercato fin da subito una strategia per connettere lo stesso materiale con il presente. In questo processo, oltre a riflettere sulle potenzialità del dispositivo archivistico, abbiamo tirato in ballo una serie di passioni condivise che sono poi divenute lo scheletro del lavoro stesso: fantascienza, surrealismo, fiction theory, JG Ballard, Aby Warburg e altro ancora. In particolare, abbiamo lavorato sul concetto batailliano di informe, passando prima in rassegna le visioni proposte da Krauss e Didi-Huberman e poi mettendolo in dialogo con concetti chiave come catastrofe, apocalisse e fine del mondo, che sembrano acquisire una minacciosa consistenza di questi tempi. Il risultato è un racconto scritto da Pierangelo, e accompagnato da una nostra selezione di immagini, che invita a esplorare le fratture e crepe della nostra civiltà come vie di fuga verso un nuovo domani. Un esperimento, un racconto di fantascienza, inteso, nell’accezione deleuziana del termine, come “scrittura ai limiti della conoscenza”.

MIRKO > Nell’editing delle immagini abbiamo deciso di intraprendere un percorso visuale, che parte dal formale (oggetti e architetture ben definite e riconoscibili) e arriva all’informe totale, creando in questo modo una risonanza con il testo che accompagna le immagini. Abbiamo poi deciso di impaginare le immagini sovrapposte ad altre foto e documenti, per mantenere viva la sensazione della vastità dell’archivio e la sua indefinitezza.


MLZ Art Dep
Discipula
Promise Areas
a cura di Francesca Lazzarini
15.02.2020 – 18.04.2020
opening 15 febbraio 2020h 18:30
via Galatti 14, Trieste

Nel solco di una ricerca che da anni indaga il ruolo delle immagini nel rapporto tra ideologia neoliberista e immaginario collettivo, con Promise Areas il collettivo Discipula porta la propria attenzione, e quella del pubblico, sul settore immobiliare di lusso internazionale.


Just Like Arcadia, Installation view: Digital print on soft PVC translucent film, aluminium, 75 x 150 cm each Courtesy Fondazione Francesco Fabbri
HOW THINGS DREAM, Installation view, Centre de la Photographie, Genève, September 2017
HTD Communication (Domotics), Digital print on aluminium, floor stand bracket on wheels, 85 x 190 (variable) cm Courtesy MLZ Art Dep Trieste
Efficacy Testing Stream #1, Inkjet prints on transparent paper (pictorico), series of 5, 40 x 50 cm Courtesy MLZ Art Dep Trieste

Inauguriamo una nuova rubrica di approfondimenti dedicata alla fotografia contemporanea: una serie di interviste di Mauro Zanchi e Sara Benaglia realizzate nel contesto di ricerca riferito alla Metafotografia e alla New Photography, iniziata nel 2018 – approfondita con una mostra presso BACO_BaseArteContemporaneaOdierna (Baco Arte Contemporanea) e una pubblicazione edita da Skinnerboox nell’ottobre 2019 – e tuttora in divenire con ulteriori approfondimenti nelle pagine online di questo sito.
New Photography è un progetto che in una prima fase coinvolge l’avanguardia fotografica contemporanea italiana e in seguito la Nuova Fotografia internazionale. Si pone il quesito di quale sia la natura dell’immagine alla luce di un cambio di paradigma visuale combinato con i cambiamenti sociali e tecnologici che lo hanno accompagnato. Gli algoritmi di correzione dell’immagine, il deep web, l’apertura al non visuale, la codificazione con stringhe di numeri, l’archivio, le corruzioni e gli sviluppi dell’inconscio tecnologico, l’utilizzo delle telecamere di sorveglianza e dello scanner invece di un obiettivo sono solo alcuni dei metodi e delle modalità di ricerca adottati dagli artisti coinvolti.

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