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La nebbia come metafora | Nebula – Fondazione In Between Art Film a Venezia

Dopo un ambiguo elemento atmosferico come la ‘penombra’, i due curatori della mostra Alessandro Rabottini e Leonardo Bigazzi, hanno scelto la ‘nebbia’ come metafora - o filo rosso - per tracciare una coerente costellazione di opere video che raccontino esperienze, vissuti, impressioni ed espressioni del vivere contemporaneo. 
Basir Mahmood, Brown Bodies in an Open Landscape are Often Migrating, 2024 in “Nebula”, Fondazione In Between Art Film presso Complesso dell’Ospedaletto, Venezia, 2024. Courtesy dell’artista e Fondazione In Between Art Film. Foto: Lorenzo Palmieri
Basir Mahmood, Brown Bodies in an Open Landscape are Often Migrating, 2024. Video a tre canali, colore, suono 5.1, 25’. Commissionato e prodotto da Fondazione In Between Art Film, con il supporto aggiuntivo di Mondriaan Fund, per la mostra Nebula, 2024. Courtesy dell’artista e Fondazione In Between Art Film

Un regista che più di altri ha fatto della dimensione temporale una delle sue cifre stilistiche è senza dubbio Andrej Tarkovskij (1932-1986), visionario poeta delle immagini che ha scritto pagine memorabili di storia del cinema. Tra i suoi grandi meriti c’è quello di aver gestito la materia ‘tempo’ con un taglio non solo fortemente poetico ma anche trascendentale. La dimensione temporale nella sua lunga carriera è sempre stata connessa con le dinamiche dello spazio all’interno dell’inquadratura. Tra i suoi film più noti, una delle dimensioni più sviscerate è quella legata all’acqua: nebbia, pioggia, torrenti, laghetti e pozzanghere, zone anfibie e paludi. Trasformata dalla rara sensibilità del regista, l’acqua, nelle sue molteplici forme, da elemento in armonia con la natura, diventa metafora di sofferenza esistenziale, ma anche pittorica espressione della memoria e del ricordo. La nebbia, su tutti, avvolge i personaggi di Nostalghia, immersi nelle acque delle Terme Vignoni a San Quirico d’Orcia. La nebbia tarkovskijana assume nei suoi film una pesantezza metafisica, intellettuale ed esistenziale; esaspera, molte volte, la gravezza delle situazioni, accentuandone l’ambiguità. 

Questa doverosa introduzione mi serve da cornice per una delle mostre più originali del contesto espositivo veneziano, da poco avviato in coincidenza della Biennale di Venezia. Mi presto a raccontarvi le mie impressioni su Nebula, la seconda mostra presentata dalla Fondazione In Between Art Film, negli spazi del Complesso dell’Ospedaletto. Dopo un altrettanto ambiguo elemento atmosferico come la ‘penombra’, i due curatori della mostra Alessandro Rabottini e Leonardo Bigazzi, hanno scelto la ‘nebbia’ come metafora – o filo rosso – per tracciare una coerente costellazione di opere video che raccontino esperienze, vissuti, impressioni ed espressioni del vivere contemporaneo. 
Dieci le video installazioni site-specific commissionate dalla Fondazione a otto artisti: Basel Abbas e Ruanne Abou-Rahme (1983, Cipro/1983, USA), Giorgio Andreotta Calò (1979, Italia), Saodat Ismailova (1981, Uzbekistan), Cinthia Marcelle e Tiago Mata Machado (1974, Brasile/1973, Brasile), Diego Marcon (1985, Italia), Basir Mahmood (1985, Pakistan/Paesi Bassi), Ari Benjamin Meyers (1972, USA) e Christian Nyampeta. 
Il progetto parte da due interrogativi: può una visione parziale o offuscata generare nuovi significati? Può l’incertezza aprire spazi inediti di comprensione reciproca? 
Essere immersi nella nebbia, per chi l’abbia vissuto quotidianamente – penso ad esempio a tutti coloro che abitano nel basso Veneto – è un’esperienza a volte estrema: si è avvolti da un alone biancastro che modifica le nostre percezioni; non vediamo, spesso, da distanza vicinissime. Una sorta di cecità – come non pensare al noto libro di Saramago – ci assale e ci rende fragili e confusi. 
Da questa dimensione di disorientamento, parte la narrazione delle otto opere in mostra, installate in stretto dialogo con l’architettura che le ospita. Lo studio 2050+, fondato da Ippolito Pestellini Laparelli, ha studiato con estrema cura tutti i nessi e riverberi che le opere potevano avere con i luoghi del Complesso dell’Ospedaletto. Come risultato si è dato vita ad un’esperienza sensoriale decisamente suggestiva, dove i visitatori sono immersi in modo totalizzante in percorsi, materiali, luci e orchestrazioni sonore.

Ari Benjamin Meyers, Marshall Allen, 99, Astronaut, 2024 in “Nebula”, Fondazione In Between Art Film presso Complesso dell’Ospedaletto, Venezia, 2024. Courtesy dell’artista e Fondazione In Between Art Film. Foto: Lorenzo Palmieri
Christian Nyampeta, When Rain Clouds Gather, 2024 in “Nebula”, Fondazione In Between Art Film presso Complesso dell’Ospedaletto, Venezia, 2024. Courtesy dell’artista e Fondazione In Between Art Film. Foto: Lorenzo Palmieri
Giorgio Andreotta Calò, Nebula, 2024 in “Nebula”, Fondazione In Between Art Film presso Complesso dell’Ospedaletto, Venezia, 2024. Courtesy dell’artista e Fondazione In Between Art Film. Foto: Lorenzo Palmieri

Il viaggio inizia nella chiesa di Santa Maria dei Derelitti con la video installazione site-specific Basir Mahmood, Brown Bodies in an Open Landscape are Often Migrating (2024). L’artista utilizza con l’espediente metalinguistico applicato al linguaggio video, i viaggi che migranti irregolari intraprendono attraverso vasti territori. Sui tre canali video, il cui riverbero rende l’ex-chiesa una sorta di scrigno vibrante, scorre una narrazione non-lineare dove al racconto esperienziale di queste masse migranti, si alternano parti di video realizzati dagli stessi migranti. L’artista ha montato i nuovi filmati in modo da creare scene poetiche nelle quali, tuttavia, solo le condizioni della loro realizzazione sono visibili. Alcune schermate dei video originali appaiono talvolta sui fogli della sceneggiatura, mentre alcuni estratti vengono guardati sui telefonini della troupe. 
Dalla grande sala un piccolo argentato corridoio ci porta a scoprire il video di Ari Benjamin Meyers, Marshall Allen, 99, Astronaut (2024). Le immagini in movimento ci mostrano Marshall Allen – musicista di free jazz e di jazz d’avanguardia, attuale leader del leggendario gruppo Sun Ra Arkestra di cui è membro fisso dal 1958 – nell’intimità della sua residenza di Philadelphia, l’Arkestral Institute of Sun Ra. A momenti in cui si vede il musicista suonare, seguono inquadrature che mostrano la casa che, come un fitto palinsesto, mette in mostra la storia ricca e le attività eclettiche della Sun RaArkestra attraverso arredi scenici futuristici e immagini di antiche cosmologie. Nelle ultime scene del video, Alle si dissolve come fosse una costellazione: la figura del musicista diventa metafora del potere della musica di aggregare e al tempo stesso sublimare molte vicende dell’esistenza. 
Anche il video di Christian Nyampeta per molti versi è incentrato sulla necessità di riflettere su come le persone cooperano per dar vita a progetti comuni. Il film When Rain Clouds Gather (2024) ritrae tre amici- l’artista e documentarista Maliyamungu Gift Muhande, l’artista e ricercatrice Akeema-Zane e Christian Nyampeta – immersi in un dialogo incentrato sulle piccole seccature della vita quotidiana di fronte a un mondo incendiato da guerre ingiuste e stermini crudeli. Attraverso l’improvvisazione e la collaborazione con lo sceneggiatore e regista teatrale Adrian Alea, la loro conversazione trae spunto dalle opere e dalle idee di scrittori e registi neri e africani, che hanno trattato i temi dell’esilio, della vita sociale e dell’urgenza di un’azione culturale nella società del loro tempo. 
Decisamente più intimista è l’atmosfera che serpeggia nel video di Giorgio Andreotta Calò, che ha l’omonimo titolo della mostra, Nebula, ed è stato ambientato negli spazi del Complesso dell’Ospedaletto, un tempo casa di cura in cui il padre dell’artista ha lavorato negli anni ’80. Protagonista del video una pecora che, tra lo sperduto e il curioso, si aggira negli spazi vuoti e fatiscenti dell’ex-ospedale. Da un iniziale visione agreste in cui un gregge di pecore scalpita tra fango ed erba, la narrazione continua tra gli spazi del complesso che, piano piano, vengono immersi da masse lattiginose di densa nebbia. Il video termina con un lungo monologo di una donna che tra il saggio e il delirante, ci racconta la sua visione della vita e della morte; un assolo toccante per la lucida follia con cui, senza riserve, ci svela la disarmante umanità delle sue opinioni ed esperienze. L’opera di Andreotta Calò, quasi alla lettera sembra esprimere il concetto stesso della mostra, tra realtà e sogno, lucidità e ambiguità, tra i chiaroscuri – inevitabili – del vivere. 

Basel Abbas e Ruanne Abou-Rahme, Until we became fire and fire us, 2023–in corso in “Nebula”, Fondazione In Between Art Film presso Complesso dell’Ospedaletto, Venezia, 2024. Courtesy degli artisti e Fondazione In Between Art Film. Foto: Lorenzo Palmieri
“Nebula”, Fondazione In Between Art Film presso Complesso dell’Ospedaletto, Venezia, 2024. Courtesy Fondazione In Between Art Film. Foto: Lorenzo Palmieri
Saodat Ismailova, Melted into the Sun, 2024 in “Nebula”, Fondazione In Between Art Film presso Complesso dell’Ospedaletto, Venezia, 2024. Courtesy dell’artista e Fondazione In Between Art Film. Foto: Lorenzo Palmieri

Il percorso espositivo ci porta al piano superiore grazie alla grande scala elicoidale. La prima opera ci accerchia fin dall’imboccatura del lungo corridoio. Basel Abbas e Ruanne Abou-Rahme – Until we became fire and fire us (2023–in corso) – ci immergono in un’installazione multicanale video e audio, stampe a getto d’inchiostro su pannelli d’acciaio e tessuto e stampe digitali su metallo. Il risultato è un percorso frammentario e imprevedibile dove immagini video si fondono con le stampe fotografiche, in un continuo gioco di rimandi contenutistici. La riflessione dei due artisti approfondisce temi quali l’appartenenza e lo sradicamento di un popolo dal suo territorio, in questo caso la Palestina, ma non solo. Utilizzando un vastissimo archivio di immagini e documenti, gli artisti mixano presente e passato, antico e contemporaneo, ma anche umano e vegetale in un connubio molto suggestivo e coinvolgente. 
Un’immagine molto iconica introduce Acumulação Primitiva (2024), il lavoro video di Cinthia Marcelle e Tiago Mata Machado: un grande cumulo di terra, forse una piccola collina, su cui appaiono delle persone, piccole figure nere che si stagliano su un vasto cielo azzurro. A questa immagine è speculare un altro video in cui scorrono immagini diverse che riflettono, mediante allegorie, sulla relazione tra l’esproprio violento della terra, la mercificazione della forza lavoro e la struttura di classe razzializzata che sostiene la riproduzione del capitalismo contemporaneo.
Avanzando nella scoperta delle ultime opere video, cambia radicalmente l’ambientazione espositiva. Quasi suggerendo un percorso propedeutico, lo studio 2050+ la pensato di rivestire tutte le pareti dei corridoi e le relative stanze con un ‘pellicola’ bianca, lattiginosa. Tra riverberi di luce naturale e artificiale, giungiamo all’opera video di Saodat Ismailova installata nell’ex farmacia del Complesso dell’Ospedaletto: Melted into the Sun (2024), un viaggio visivo e poetico nell’eco culturale e politica che si è generata, attraverso secoli e luoghi diversi, dalle idee rivoluzionarie di Al-Muqannaʿ (“Il Velato”) un profeta ambiguo vissuto nell’Asia centro-meridionale dell’VIII secolo. Il video ripercorre le gesta di questa importante figura, che predicava un sincretismo ideologico di Zoroastrismo, Mazdakismo e Buddhismo, e aveva risvegliato le menti dei suoi discepoli “Biancovestiti” mettendo in luce lo status quo della sua epoca, ossia sfidando le pratiche di sfruttamento dei terreni, del potere autoritario centralizzato e della repressione religiosa. 
Il percorso si conclude nella magnifica sala della musica decorata con dipinti illusionistici, con l’opera Fritz (2024) di Diego Marcon. Uno spaccato decadente mostra un ragazzino impiccato fuori da quello che sembra il portico di una cascina. L’ambiente si caratterizza per pochi dettagli: muri scrostati, lo scorcio di una vecchia scala, un portone con l’inserto di ferro battuto e uno stralcio di natura aperta, un prato. Intonato dal Coro Genzianella altoatesino, uno jodel – un canto folcloristico – ci intorpidisce un po’ la mente, mentre ci prestiamo, non senza disagio, ad osservare il piccolo corpo non vivo e non morto, che dondola al cappio. Con i suoi toni malinconico-depressivi, Marcon dà prova di maneggiare con dosata cura il terreno insidioso della melanconica deriva esistenziale degli esseri umani. In questo video, in particolare, gli è mancata però, un po’ di leggera sensibilità per tutti coloro che non possono concepire che si faccia della morte (inconcepibile, poi, quella di un bambino!), la metafora di un’esistenza alla deriva (quella nostra? Quella dell’artista? … forse della società, tutta). 

Cinthia Marcelle e Tiago Mata Machado, Acumulação Primitiva, 2024. Video a due canali, colore, suono 5.1, 16’40’’. Commissionato e prodotto da Fondazione In Between Art Film, e co-prodotto da Cuy Filmes, Ela. LTDA e Cinemari, per la mostra Nebula, 2024. Courtesy degli artisti; Fondazione In Between Art Film; e Galería Luisa Strina, San Paolo
Cinthia Marcelle e Tiago Mata Machado, Acumulação Primitiva, 2024 in “Nebula”, Fondazione In Between Art Film presso Complesso dell’Ospedaletto, Venezia, 2024. Courtesy degli artisti e Fondazione In Between Art Film. Foto: Lorenzo Palmieri
Diego Marcon, Friz, 2024 – “Nebula”, Fondazione In Between Art Film presso Complesso dell’Ospedaletto, Venezia, 2024. Courtesy Fondazione In Between Art Film