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All writing is pigshit — Teatrino Palazzo Grassi

Nell’appuntamento di venerdì 20 novembre al Teatrino di Palazzo Grassi Christopher Lyon (autore di Nancy Spero: The Work) ed Elisabeth Lebovici (giornalista e storica dell’arte) presentano il Codex Artaud e trattano la vita della sua autrice, Nancy Spero, offrendo al pubblico diversi spunti per considerare i parallelismi tra l’opera e le vicissitudini dell’artista. Il Codex è infatti […]

Nancy Spero,   All writing is pigshit
Nancy Spero, All writing is pigshit

Nell’appuntamento di venerdì 20 novembre al Teatrino di Palazzo Grassi Christopher Lyon (autore di Nancy Spero: The Work) ed Elisabeth Lebovici (giornalista e storica dell’arte) presentano il Codex Artaud e trattano la vita della sua autrice, Nancy Spero, offrendo al pubblico diversi spunti per considerare i parallelismi tra l’opera e le vicissitudini dell’artista. Il Codex è infatti un processo, non un traguardo cui giunge Spero; Lyon racconta dell’artista trentenne che torna dall’Europa negli Stati Uniti, e qui vive in prima persona la tensione socio-politica derivante dalle contestazioni dei movimenti per i diritti civili, dai primi movimenti femministi e dalla controversa gestione dell’affaire Vietnam da parte del governo americano.

L’attivismo femminista stimola l’artista, profondamente disturbata dalle atrocità commesse dai militari in guerra: Nancy cerca di parlare a un pubblico che però non ha, agli spettatori che non guardano e non trattano il suo lavoro.  All’inizio degli anni sessanta è perciò un’artista frustrata e ossessionata dalla potenza dei suoi stessi lavori, una forza che Spero percepisce ma che non riesce ad essere ascoltata da alcuno; i suoi lavori sembrano muti per il resto del mondo: non è ancora il momento giusto per opere figurative tanto quanto aggressive come quelle proposte da una donna ribelle in ogni ambito.

Lyon proietta intanto immagini dei quadri di cui parla: Chinese bomb and victims, Great mother birth, At their word (The sick woman).

A metà degli anni sessanta Nancy inizia a valutare troppo rigido e convenzionale il linguaggio della pittura: è il punto di svolta, un’intuizione forte quanto una necessità, che in una manciata di anni la porta alla produzione di uno dei masterpiece che la renderanno famosa al grande pubblico.  Nel 1969 scopre infatti i testi di Antonin Artaud; si identifica immediatamente nell’uomo poliedrico e appassionato, nella sua pratica artistica pionieristica e totale, nella sua storia e nella sua rabbia. Da quel momento dedica due anni a concepire il Codex Artaud, una serie di 33 pannelli, principalmente verticali (alti due metri per 30 centimetri di base), realizzati su carta, dove scrive e riporta, taglia e incolla, sovrappone e affianca le parole del commediografo e scrittore francese.

Nancy vuole andare oltre, pervasa dal fuoco sacro, e, come mostrano altre immagini di tavole del Codex spiegate da Lyon, si concentra sul linguaggio degli spazi vuoti: studia all’interno dei pannelli la disposizione delle parole e la loro distanza nella lunga lingua bianca di carta su cui le colloca: introduce poi elementi quali forme geometriche, figure androgine, teste decapitate da cui escono lingue falliche, serpenti e animali di molteplici mitologie, simboli e figure funerarie.

L’immedesimazione con Artaud è tale per cui Spero elabora l’idea del doppio, del J’assiste à Antonin Artaud firmando lei stessa un proprio disegno col nome del francese. Il Codex diventa il tramite per riprendere così i temi rimasti invisibili e muti fino ad allora, la storia si presta a strumento di denuncia nel tentativo di penetrare l’arte: un campo, quello dell’arte, di cui Nancy vuole far parte aprendo la via alla Donna finora esclusa o relegata a ruoli secondari, sovente umiliata dalla storia stessa scritta dagli uomini. L’influenza del movimento per i diritti civili, che aveva portato la Spero a rifiutare il vittimismo concependo invece un atteggiamento attivo della vittima, si riflette del Codex in alcune tavole in cui l’autrice si scaglia contro il legislatore esacerbando perciò il proprio odio per la passività e per i limiti da esso imposti: “[…] e ora mangia la tua legge”. L’intera serie di pannelli accoglie poi riflessioni, domande e invettive contro temi caldi ancor oggi come allora: l’angoscia che porta al suicidio, l’incapacità di comunicare e il conseguente senso di paralisi e prigionia, la religione ammorbata dal fanatismo, la società basata sulla materialità e vincolata dalle sue convenzioni, l’atto d’amore svuotato del suo significato dall’imposizione rigorosa e ossessiva di un morboso bisogno di pudore, l’ipocrisia di una guerra per la pace.

Codex Artaud si pone in sintesi come un processo di elaborazione, scaturito dall’accumularsi di non-comunicazione della sua creatrice e divenuto un crocevia di questioni al centro del quale l’uomo non può più nascondersi. E’ un flusso di pensieri, contraddizioni e irrisolti che contraddistinguono l’essere umano di ogni tempo, cui Nancy Spero già si rivolgeva in gioventù, ma che non le hai mai prestato orecchio: oggi, di fronte ai trentatré pannelli, è finalmente possibile ascoltare la voce dell’autrice, la voce di Artuad, la voce di ognuno, come di fronte a uno specchio che, imperturbabile, attende da tempo di riflettere.

Nancy Spero,   At their word
Nancy Spero, At their word
Nancy Spero,   Chinese Bomb and victims
Nancy Spero, Chinese Bomb and victims