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“Sei un mammone, svegliati” | MOTHERBOY — Gió Marconi, Milano

Testo di Chiara Zonta — Motherboy è il titolo della mostra collettiva a cura di Stella Bottai e Gray Wielebinski nella Galleria Giò Marconi di Milano e in corso fino al 17 febbraio 2024.  L’atemporale condizione di “mammone” è inaugurata nell’indecifrabilità dell’orologio di Bruno Zhu Are you ok??!???? in cui la fittizia trama delle note […]

MOTHERBOY Curated by Stella Bottai and Gray Wielebinski 23.11.2023 – 17.02.2024 Gió Marconi, Milan Photo: Fabio Mantegna

Testo di Chiara Zonta

Motherboy è il titolo della mostra collettiva a cura di Stella Bottai e Gray Wielebinski nella Galleria Giò Marconi di Milano e in corso fino al 17 febbraio 2024.  L’atemporale condizione di “mammone” è inaugurata nell’indecifrabilità dell’orologio di Bruno Zhu Are you ok??!???? in cui la fittizia trama delle note musicali offusca la lettura dei numeri cancellandone la loro funzione informativa.
Brevi finestre sulla vita sono le opere di Sophia Al Maria in cui ritagli di adolescenza escono da accumuli di cianfrusaglie che rivendicano la visibilità persa negli spigoli bui dei cassetti: cellulari di vecchia generazione, cerotti persi nella tasca di una borsa, una toppa di Monella Vagabonda, bigiotteria rotta che “poi la aggiusto”, cartoline e adesivi mai staccati perché non finissero. We’re Closer to Diamonds than to Lovers e The Sun Can’t Humiliate Our Teen Spirit riportano sulla sommità della cornice due piccolissimi oggetti scampati alla prigionia del vetro: una minuscola radio e un impercettibile lingotto d’oro. La radio permette un’autonomia di scelta comprensiva di accensione, spegnimento e selezione del canale, mentre l’azione principale di ascolto è passiva e senza possibilità di arbitrio; l’oro del lingotto rappresenta un metallo di transizione tenero, duttile e malleabile: il carattere di un adolescente. Radio e Oro sono la tolleranza intelligente di una madre sull’emotività imprevedibile di un giovane figlio.
Gaetano Pesce traduce i colori e le fattezze della Venere di Willendorf nella “donna-poltrona”, una scultura irregolare posta a lato della stanza e volta verso lo spettatore, pronta ad accoglierlo nell’abbondanza dei suoi volumi. L’intenzione dichiarata stimola la percezione di una culla su cui potersi abbandonare nell’abbraccio materno di Venere, repentinamente annullato dall’assenza di braccia nella stessa: un profondo sonno interrotto dalla sensazione di caduta nel vuoto. 
Quattro visioni di Motherboy sono proposte dall’erede postumo del realismo magico: Patrizio Massimo. La plasticità dei corpi, le pieghe delle lenzuola e il peso della materia sulle superfici coesistono nella genuina imponenza dei ritratti di famiglia, ad eccezione di Motherboy (Charles), una piccola tela su cui è dipinto il volto di Re Carlo III mentre le lacrime gli rigano il viso. Le dimensioni ridotte dell’opera si oppongono alla   storica spettacolarizzazione della famiglia reale inglese e la tristezza nei lineamenti trapela l’instabilità granitica della monarchia. In Motherboy (Mariella, Alex, Hugo, Luca, Nico), (Mum & Lago), (Francesca, Claudio & Elia) all’opposto le mura di casa si sgretolano scoprendo la tenera intimità nascosta fra le coperte di un letto o fra i cuscini del divano.

MOTHERBOY Curated by Stella Bottai and Gray Wielebinski 23.11.2023 – 17.02.2024 Gió Marconi, Milan Photo: Fabio Mantegna

Maia Ruth Lee nasce il 28 gennaio 1983 a Busan, in Corea del Sud; durante l’infanzia affronta innumerevoli traslochi vivendo fra Kathmandu e Seoul, nel 2011 si stabilisce per nove anni a New York e nel 2020 si sposta a Salida, in Colorado. Gli innumerevoli traslochi a cui è costantemente sottoposta sono una mina latente esplosa nella serie di lavori Bondage Baggage: colonne di biancheria, vestiti usati, giochi e scatoloni intrappolati nella corda come pesci nella rete. Gli strati sono il mare su cui navigare negli accumuli di una vita, la corda è la griglia che permette di leggere la mappa. La compulsione umana alla narrazione permette all’esperienza di sopravvivere nel linguaggio: l’artista in Obangsaek Skin adopera l’inchiostro di china per creare un tappeto di tracce su cui un nuovo lessico si traduce nell’archivio di chi ha avuto un’esistenza precaria e senza radici. 
La costante addizione di esperienze memorizzate e testimoniate nelle opere di Maia Ruth Lee è in antitesi alla negazione di Fraternity #1 e Fraternity #2 di Gray Wielebinski, il cui il simbolo matematico + si inclina di 45° e si tramuta in x: simbolo di moltiplicazione, ma soprattutto di eliminazione. Le opere presentano due buste d’asporto, di quelle date nei negozi a 0,10€, aperte chirurgicamente secondo l’anatomia delle pieghe. L’oggetto progettato per contenere si appiattisce nell’eliminazione del suo dovere pur continuando ad esistere in una sorta di “tradimento di immagine” Magrittiano, in cui l’opera sopravvive assoggettata alla funzione di accogliere il vuoto. 
Il primo piano dell’edificio è occupato prevalentemente dai lavori di Leigh Ledare, regista e co-protagonista di un repertorio materno anticonformista. L’autore esibisce il corpo nudo e provocatorio della madre annientando l’illibatezza dello stereotipo, frutto di una cultura popolare religiosa aggrappata all’immagine della Vergine Maria. In Mom with hand on bed la madre posa mostrando i seni scoperti con indosso della lingerie provocante; l’immaginario evocato dalla parola “mamma” è annientato dall’erotismo incombente della stessa, al contempo la sensualità della donna è a sua volta in conflitto con l’ambientazione casalinga nello sfondo generando un circolo di incongruenze senza fine. Come, Let’s Talk è uno spaccato di testo in cui la madre di Ledare si racconta nella sua giovinezza, mentre lui ascoltando sbircia furtivamente nello scollo della sua veste rendendosi reo di un istinto amorale; il racconto prosegue nel bagno dove la donna, ora nuda, dimentica volontariamente la porta socchiusa legittimando lo sguardo del figlio. La narrazione non si carica mai di allusioni sessuali esplicite ma la somma finale fonda le basi di uno scenario a luci rosse. 

MOTHERBOY Curated by Stella Bottai and Gray Wielebinski 23.11.2023 – 17.02.2024 Gió Marconi, Milan Photo: Fabio Mantegna

La sfrontatezza libertina delle opere incontra l’apice in Francesco (Child’s Drawing #11): la madre giace su un letto in totale nudità, eccetto autoreggenti e tacchi, con aria disinibita espone crudamente il suo sesso all’obiettivo. La rappresentazione lasciva è disturbata dall’impulsività tracciata da pastelli colorati sulla superficie della foto: l’intervento grafico è mano di un bambino di 3 anni, il candore del suo gesto è contaminato dalla pornografia sottostante. La teoria di Freud si basa sulla perversa sessualità degli infanti prima del sesto anno di vita secondo cui in questa fascia di tempo svilupperebbero forti impulsi all’incesto, spesso con il genitore di sesso opposto. L’opera di Ledare si connette alla teoria freudiana lasciando il bambino libero di agire sul corpo fotografato, i disegni sono una costellazione di linee e macchie sull’anatomia della donna il cui genitale resiste libero al colore. 
Abbandonando Ledare proseguiamo nella casa neon Simmer di Jonathan Lyndon Chase. L’ambiente ricreato presenta le caratteristiche di uno spazio privato e pubblico abitato da sagome dai tratti africani che presenziano in tutta l’installazione. Un uomo-pupazzo ci saluta frontalmente, la parte inferiore del suo corpo è concepita di profilo, le sue gambe sono pronte ad allontanarsi ma i piedi mozzati lo costringono alla cordialità. Dietro il fantoccio un carrello della spesa e lo scaffale di una macelleria ricolmo di finta carne, sul pavimento la sagoma frettolosa di una rosa caduta da un dipinto su cui un uomo nero ci volta le spalle, ha i pantaloni abbassati e tiene in mano una busta di plastica contenente i fiori; sulla composizione cola macabramente la scritta “Where Did you go?”. Il fiore caduto è la trappola di una domanda inquisitoria che svergogna l’uomo ostentando le sue natiche in primo piano, le rose che porta sono la risposta al quesito. Sul fondo della sala irrompe una parete completamente gialla arredata da una cucina assolutamente gialla, il pavimento è ricoperto di una texture a scacchi gialli e blu, nei quadrati gialli sono impressi disegni di rose: il colore giallo è simbolo di allegria e buonumore, la rosa gialla è simbolo di invidia e gelosia. La cucina zampilla di dettagli, i comuni utensili sussistono in forma reale quanto in forma di disegni sbrigativi. Nei profili degli arredamenti, mai sulle facciate, si dichiarano scritte a pennarello invisibili agli sguardi più superficiali: “foot steps to feeling this was for the first time” è sussurrato sull’anta del lavandino; una chiamata in attesa imprime sui tasti del telefono “up all night” mentre l’uomo che attende risposta, nudo con un grembiule, stringe fra le mani il frutto della tentazione, una mela. Sulle pareti dell’abitacolo uomini neri sono ritratti su tela, mentre nudi preparano con amore l’amore in cucina. 

“Sei un mammone, svegliati”. Sei figlio maschio di madre.

MOTHERBOY Curated by Stella Bottai and Gray Wielebinski 23.11.2023 – 17.02.2024 Gió Marconi, Milan Photo: Fabio Mantegna