
Testo di Matteo Carli —
In Ed è proprio così, contenuta nell’album In memoria di, Giorgia Pietribiasi in arte Lamante canta:“ed è proprio così/ Che tutto quello che proviamo un giorno / Finisce (…) Come se avessimo alle spalle un mare di tempo”
Talvolta l’opera d’arte ci permette di spiare dal buco della serratura, d’intravedere in maniera confusa il rapporto tra creazione artistica e biografia del creatore o della creatrice. Alle volte invece questa relazione è manifesta, esplicita; in rare e preziose occasioni, ed è questo il caso di 20.12.53 – 10.08.04, il riferimento biografico si fa motore del procedimento creativo.
20.12.53 – 10.08.04 è un progetto costruito da Moira Ricci nel corso di più di vent’anni (esposto fino al 20/12 alla galleria Laveronica). Esposto molte volte nel tempo, pubblicato all’interno di fanzine e trasformato in volume per Corraini Edizioni nel 2023, il lavoro può essere definito come un album fotografico in continuo divenire.
Quando nel 2004 viene improvvisamente a mancare la madre, l’artista ventisettenne si rifugia in quegli album di fotografie che tutti abbiamo nelle nostre case, alla ricerca di dimenticati scatti materni. Da questo accesso al passato nasce il progetto, la costruzione di un nuovo e impossibile album di famiglia: Moira seleziona fotografie precedenti la sua nascita in cui la madre è protagonista e modificandole si inserisce al loro interno. Attraverso un meticoloso procedimento tra lo stage fotografico e il fotomontaggio, comprensivo di studi su ambienti, abiti, luce, coincidenze spaziali, l’artista si materializza nelle istantanee: Fidanzati, Mamma cucina, Mamma innaffia, Mamma sulla motoretta di nonna sono i titoli di alcune delle fotografie, scritti in un corsivo elementare al di sotto di ogni scatto, funzionali a descrivere nulla più di ciò che vediamo. Mentre la madre è intenta a svolgere azioni d’ogni giorno, l’intrusa futura la osserva, come se fosse sempre sul punto di agire e sussurrarle qualcosa di estremamente importante (Autoritratto), con uno sguardo che suggerisce un ruolo non ben definito tra messaggera, protettrice e fantasma. Infatti, al di fuori dello scatto inedito (senza titolo) presentato per la prima volta a Laveronica, in cui la post-produzione va ben oltre il rendere invisibile il fotomontaggio e aumenta la portata epifanica della presenza dell’artista, il lavoro di mimesi e la sapienza tecnica sono indirizzati a nascondere l’operazione falsaria, per venire poi traditi e smascherati dallo sguardo fisso e intenso che la creatrice intrusa concentra sulla madre.



In Mamma con maestra, ad esempio, vediamo la madre bambina ed una compagna in posa assieme alla maestra che le cinge a sé con le braccia; tutte e tre ovviamente hanno lo sguardo fisso in camera mentre Moira, vestita e pettinata alla moda anni degli anni, si pone dietro alla madre, guardandola dall’alto. Proprio nello sguardo, Silvia Mazzucchelli, in un articolo del 2023 riguardante la pubblicazione del volume edito da Corraini, ha notato uno degli aspetti più suggestivi di questo lavoro: “l’atto del guardare non si esaurisce nel cogliere la realtà visiva, ha a che fare con il salvare, il proteggere, mettere in guardia davanti al pericolo. E questa funzione, nel sentire comune, viene affidata alle divinità, ai Lari, ai cari defunti, che appunto ci guardano da lassù. L’atto d’amore della figlia per la madre si rivela nell’inversione dello sguardo, nella figlia che veglia e protegge, con la sua presenza muta e costante, la figura della madre. Il ruolo di cura che la natura ha attribuito alla madre e che la natura stessa ha estirpato, viene così accolto e fatto proprio dalla figlia”.
Così si susseguono i momenti, ora condivisi, di una vita, in un procedimento che si fa rituale, elaborazione del lutto e ancora contenimento della memoria che la perdita fa violentemente riaffiorare. Perdere qualcuno ci materializza all’improvviso in bilico tra passato e futuro, investiti da ricordi e al tempo stesso desiderosi di un tempo che non potremo più avere, un imperativo che Moira prova a sconfiggere muovendosi in direzione opposta. Chiaramente, si tratta di un tempo qualitativamente differente: non è fisico, carne, senso ma pensiero, anima, coscienza. Negata la sua linearità, il tempo diviene comunque inedito; se infatti la madre è scomparsa, è pur vero che Moira era assente al momento dello scatto. Dunque l’operazione si fa cura profonda, nella realizzazione di un incontro impossibile, in uno spazio-tempo che non esiste se non nelle mani di chi lo crea. Di più: l’artista si affianca ad una donna che non era ancora sua madre, riscopre chi non era ancora legato a lei, svelando un luogo troppo spesso ignorato, dove possiamo conoscere chi ci è caro prima ancora che lo diventi. La fotografia si fa, da Peirce, impronta, indice, “certificato di presenza”, più fermo realtà che fermo immagine e quindi dimensione attraversabile. Al di là dell’aldilà, nel presente di chi osserva, la dimensione temporale è ora stravolta, madre e artista condividono un quotidiano mai esistito, familiare a noi e a loro.





