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Zeitwirdknapp / Non c’è più tempo – Retrospektive 1977-2019 | Le fotografie di Miron Zownir al Centro Internazionale di Fotografia, Palermo

Testo di Marta Acciaro — Il Centro Internazionale di Fotografia e il Goethe-institut Palermo presentano la mostra Zeitwirdknapp / Non c’è più tempo – Retrospektive 1977-2019 con fotografie di Miron Zownir, a cura di Gaetano La Rosa, visitabile al Centro...

© Miron Zownir
NYC 1982 © Miron Zownir

Testo di Marta Acciaro —

Il Centro Internazionale di Fotografia e il Goethe-institut Palermo presentano la mostra Zeitwirdknapp / Non c’è più tempo – Retrospektive 1977-2019 con fotografie di Miron Zownir, a cura di Gaetano La Rosa, visitabile al Centro Internazionale di Fotografia diretto da Letizia Battaglia ai Cantieri Culturali alla Zisa di Palermo fino al 31 luglio 2021.

Gli spazi dalle tinte oscure del Centro fotografico, hanno tramezzi labirintici che bene si offrono alla presentazione delle fotografie – circa settanta – di Zownir, il “poeta della fotografia radicale” come lo definì lo scrittore Terry Southern. La scena punk e gay di Londra e New York mischiata al mondo decadente dell’unione sovietica moscovita tra senzatetto, moribondi e cadaveri. L’autore si sposta su più piani e più mondi: il vitalissimo mondo omosessuale e transessuale, tra trasgressione, autoerotismo, pratiche bdsm, travestitismo, si scontra con il putrido del mondo comunista sgretolante. A unire i due fronti: le marchette e le prostitute che ritroviamo in parte delle città delle sue fotografie.

Ci si chiede, guardando tutte le foto e percorrendo il percorso prestabilito, che tipo di vita abbia potuto fare questo artista. Non vi è solo bravura tecnica a trapelare dal suo lavoro, ma la cattura di quella fierezza di una popolazione di reietti, mendicanti, tossici che i borghesi benpensanti rifiutano continuamente di vedere, tendendo al confine. Zownir invece vuole vedere costantemente e fruire le sue opere significa anche aprire un immaginario sugli ambienti da lui frequentati, le serate passate, la fiducia che è riescito a instaurare con queste persone.
Tramite uno scatto scelto, il fotografo è riesce a riformulare la veritatività di queste persone, ricostituendo una storia non più “della massa che non vuole vedere”, ma singolare/individuale e al contempo condivisa da tutte quelle persone tenute ai margini.

Usando delle categorie barthesiane (da “La camera chiara”, Einaudi, 1980), davanti all’obiettivo il soggetto diviene contemporaneamente:
Quello che crede di essere
Quello che si vuole che si creda che si sia
Quello che il fotografo crede che egli sia
Quello di cui il fotografo si serve per esprimere la sua arte
Questa struttura conoscitiva fotografica è assolutamente visibile, seppur nella fotografia ritrattistica in generale, soprattutto in opere come quelle di Zownir. Emblematica è la foto dal ragazzo, leggermente sudato, che con ancora la siringa attaccata alla vena non stacca gli occhi dall’obiettivo.

Istanbul, Sept 2019 © Miron Zownir
Berlin 1980 © Miron Zownir
Berlin 1980 © Miron Zownir

Le sue [dell’artista] “esplorazioni urbane e suburbane” (cit. La Rosa) riflettono l’angoscia di non poter stare né fermi né zitti davanti a tanta marginalità, a tanta verità di vita. Molta parte delle opere riflettono sesso ed erotismo, spogliato da romanticismo e ideologia, preso nella sua brutalità animalesca, nella sua vera sostanza. “Niente è più omogeneo di una fotografia pornografica. È una foto sempre ingenua, senza secondi fini e senza calcolo. […] la foto pornografica è interamente costituita dall’ostensione di una sola cosa: il sesso: in essa non vi è mai un oggetto secondo, intempestivo, che venga a nascondere in parte, a ritardare o a distrarre” (p. 42 Barthes).

E non possiamo non pensare anche al punctum (un’altra categoria barthesiana, che è ciò che aggiungo all’immagine pur essendo già nell’immagine) di queste fotografie. Chi sono queste persone oltre la loro posa fotografica? Riusciamo a svincolarci, come fruitori, da un immaginario borghese colmo di desiderio negato e contraddizioni in termini, razzismo, omofobia, transfobia? Riusciamo a immaginare la vita di queste persone che mangiano, dormono, scopano, parlano, al di là delle loro provocazioni, al di là del loro essere davanti l’obiettivo? Il fatto che l’artista abbia anche solo per un momento visto e vissuto quello che a noi è negato è ciò che più si rimpiange una volta terminata la fruizione dell’esposizione, che vede esposte foto tutte in bianco e nero, incorniciate in nero in tre dimensioni diverse.

“Potremmo vedere le foto di Miron Zownir, e spesso l’occhio ci induce a farlo, come una panoramica su una comunità socialmente disperata, depressa, dolente e malata.
Ma possiamo e dobbiamo invece guardare ogni singolo scatto come alla monade di una drammaturgia istantanea, in cui l’occhio dello spettatore è ricondotto a vivere l’esperienza vissuta del soggetto, ancorché del fotografo che l’ha scattato.
In ognuno di questi scatti, a colpirci, è sempre la teatralità del gesto, accompagnata dalla potenza della grazia e dalla fragilità di un’umanità residuale, reietta, disturbante e disturbata”
(cit. La Rosa). 

L’aspetto più controverso della mostra rimane la fotografia dei cadaveri.
Rimando alla scoperta della conferenza “Corpse Magic” di Taussig.

NYC 1987 © Miron Zownir
Miron Zownir, Berlin 2020 © Nico Anfussi