Lunga conversazione con Vincenzo De Bellis per capire meglio la struttura di un fiera che, grazie a scelte mirate (e azzeccate) è cresciuta in soli tre anni in modo esponenziale. Lo confermano i numeri, le presenze internazionali e, non ultime (anzi), le vendite. Leggete fino in fondo, per scoprire anche un aneddoto divertente che, a quanto pare, a portato fortuna a De Bellis!
ATP: Questo è il tuo terzo anno come direttore del Miart. Come hai vissuto questi tre anni?
Vincenzo De Bellis: Partiamo dal presupposto che essendo un curatore e quindi venendo dal mondo delle istituzioni d’arte, anzi avendone fondata una, ho inteso estendere il mio approccio a quello della fiera con l’idea che Miart potesse diventare una strana e ibrida istituzione. Cioè configurandola come un collettore di ambiti, strutture ed esperienze variegate, un punto e un momento d’incontro in cui le diverse professionalità legate all’arte contemporanea, e non solo, si incontrano e dialogano. Per fare questo ovviamente ci sono stati tre anni di lavoro intensissimo. Come sai, ricostruire è più difficile che costruire da zero. Ogni anno è stato diverso, per sviluppare un progetto che avesse una continuità: il primo è stato l’anno della ricostruzione, nuovo team di lavoro, grande cambio generazionale, nuovo format della fiera, nuova immagine, nuove idee, nuove sezioni e la necessità di convincere tutti (sia le gallerie, sia la città) che era una sfida che potevamo affrontare e vincere. Dopo aver raggiunto questo, il secondo anno è stato quello della spinta internazionale: inserimento di partecipazioni davvero importanti, un lavoro più intenso con i musei e le altre istituzioni della città, come la costituzione della settimana dell’arte (The Spring Awakening); il terzo anno è quello un po’ della consacrazione: qualità delle gallerie molto alta che la rendono già il punto di riferimento dell’arte in Italia e nel panorama internazionale, il rafforzamento delle collaborazioni cittadine e il legame con Expo. Sono tre anni di corsa, tre anni complicati, complessi e difficili ma sopratutto tre anni fantastici di grande lavoro e grande crescita anche personale.
ATP: Cosa differenzia, a tuo parere, Miart dalle altre fiere?
VDB: Secondo me è un mix di internazionalità e nazionalità. E’ una fiera che vuole mostrare il meglio dell’Italia e al tempo stesso collocare questo “meglio” in un ampio contesto internazionale. Ho pensato che era impossibile e sbagliato copiare modelli globali di espansione territoriale, così ho provato a rincorrerne altri. Ho pensato fosse meglio “creare” qualcosa che fosse in tutto e per tutto simile a quanto la gente si aspetta da una fiera e “focalizzarmi” su quanto di speciale può offrire la città nella quale ci troviamo: Milano è il luogo e la città più contemporanea d’Italia, dove la creatività trova spazio nel design, nella moda e nell’arte. La città delle accademie, del mercato e delle gallerie. Ma è pur sempre moderna e modernista. La città dei grandi artisti come Lucio Fontana, Piero Manzoni, Enrico Castellani; la città di fantastici architetti e designer, penso a Giò Ponti e Piero Portaluppi, Franco Albini i fratelli Castiglioni e tanti altri.
Partendo proprio dalla fusione tra moderno e contemporaneo (tra arte design) abbiamo creato il nostro trademark. In tre modi: primo, non nascondere e anzi valorizzare quello che per tanti puristi del contemporaneo è stato ritenuto il male assoluto ovvero ilsecondo mercato e le grandi gallerie che lo rappresentano; poi, attraverso la creazione di una sezione dedicata al design sia storico che contemporaneo; terzo e molto importante secondo me, la creazione di una fortissima sezionecuratoriale, in cui presente e passato, moderno e contemporaneo possano entrare in rapporto non solo concettuale ma anche allestitivo. Mi riferisco a THENnow, sezione composta da 9 booth condivisi ognuno da due gallerie nelle quali simettono a confronto due artisti di generazioni diverse accoppiati secondo l’idea di influenza, diretta o indiretta.
ATP: Cosa “ ti aspetta” dopo questa terza edizione?
VDB: Una vacanza di solo una settimana nel mio sud e poi subito al lavoro! Stiamo già lavorando su Miart2016 e stiamo mettendo le basi per la sua continua crescita e consolidamento. Io continuo anche con tutti i miei progetti curatoriali che negli ultimi anni ho ridotto un po’ numericamente e ho concentrato ma che non ho mai interrotto. Nella seconda parte dell’anno, ho una mostra importante di Betty Woodman al Museo Marino Marini di Firenze che poi girerà in Europa; un’importante mostra con oltre 50 artisti dal titolo Ennesima alla Triennale di Milano, si tratta di un progetto molto complesso che tocca gli ultimi 50 anni d’arte e un’altra a San Francisco nel 2016.
ATP: C’è un fiera internazionale a cui ti sei ispirato? Perché?
VDB: A posteriori dico Fiac di Parigi. Come ti dicevo ho sempre pensato che la fiera e le fiere debbano un po’ rappresentare la città in cui si svolgono. Alla fine noi tutti ci muoviamo con il circo dell’arte e se non trovassimo qualcosa di speciale in ogni città in cui andiamo, sono sicuro che non ci muoveremmo più. Parigi, fatte le dovute differenze, ha molti aspetti di similitudine con Milano: l’architettura della città ma anche l’influenza della moda del design. Però Parigi è Parigi e Milano è Milano cosi come Fiac è Fiac e Miart è Miart.
ATP: Quali sono le novità di questa terza edizione?
VDB: Gavin Brown, Sadie Coles, The Modern Institute, Johann Koenig, Pilar Corrias, Michael Werner, Stefania Bortolami, Christian Stein, bastano solo questi nomi per rappresentare la novità più importante dell’anno perchè se le aggiungiamo alle tante altre come Massimo De Carlo, Kaufmann Repetto, Giò Marconi, Lia Rumma, Zero e tanti altri, testimoniano il grandissimo livello dell’edizione 2015. Dal punto di vista contenutistico le novità di una fiera non sono mai tali, fino a quando la fiera non inizia, perchè dipendono molto dalle proposte e dai progetti delle gallerie. Posso dire che quest’anno ci sono tantissimi progetti molto belli. Spinte anche dalla presenza del premio Herno che valorizza proprio il layout espositivo, molte gallerie presenteranno delle vere e proprie mostre.
Poi ci sono i progetti di THENnow che quest’anno sono ancora più precisi e puntuali. Ne cito alcuni che credosaranno davvero degli highlights: MAX BILL, Lorenzelli Arte, Milano – ULLA VON BRANDENBURG, Pilar Corrias, London; LYNN HERSHMAN LEESON, Bridget Donahue, New York – OLIVER PAYNE, Gavin Brown Enterprise, New York; KIKI KOGELNIK, Simone Subal, New York – TALIA CHETRIT, kaufmann repetto, Milano – New York; JANNIS KOUNELLIS, Christian Stein, Milano – TONY LEWIS, Massimo De Carlo, Milano – London; MARISA MERZ, Monica De Cardenas, Milano – Zuoz -JORINDE VOIGT, Johann König, Berlin; GIORGIO MORANDI, Galleria d’Arte Maggiore G. A. M., Bologna – PALOMA VARGA WEISZ, Sadie Coles HQ, London.
ATP: Ci sono delle relazioni tra l’EXPO e Miart. Quali?
VDB: Una per tutte: l’apertura del padiglione Arte di Expo alla Triennale di Milano con la grandissima mostra “Arts and Food” di Germano Celant nella settimana di Miart. “Arts and Food” infatti apre mercoledi 8 Aprile, esattamente il giorno prima di Miart che inaugura giovedì 9 aprile. La mostra quindi si carica di un doppiosignificato perchè oltre alla portata intrinseca al valore del progetto, rappresenta anche il vero battesimo di Expo 2015.
ATP: Quali iniziative propongono le gallerie e i musei in risposta o come corollario alla fiera?
Di una abbiamo già parlato, in generale come ti dicevo dallo scorso anno la settimana di Miart che anticipa quella del salone del mobile, si è trasformata in una vera settimana dell’arte e questo ha effetti benefici su tutti coloro che operano nel settore e per gli appassionati.
Mercoledi 8 Aprile Hangar Bicocca – divenuta ormai una mecca per i cultori e gli appassionati d’arte contemporanea internazionale – apre “Double Bind & Around”, la prima mostra personale in Italia dedicata a Juan Muñoz, a cura del Direttore Artistico Vicente Todolí. In HangarBicocca sarà riallestita la sua opera più importante, Double Bind, realizzata nel 2001 per la Turbine Hall della TateModern di Londra e mai esposta al pubblico successivamente, ma anche numerose tra le opere più significative di Juan Muñoz. Contestualmente sempre ad Hangar si potrà ancora visitare la mostra personale di Celine Condorelli che ha aperto in dicembre.
Venerdi 10 è protagonista Milano con una Gallery Night che segna l’apertura straordinaria di tutte le sue gallerie. In questo caso citerei le mostre di Elad Lassry da Massimo De Carlo; Nicola Martini e Andrea Kvas da Kaufmann Repetto (dove si potranno anche vedere le mostre di Nicolas Party e Diana Molzan aperte poche settimane prime); Pietro Roccasalva da Zero; Linda Fregni Nagler da Monica De Cardenas, Gary Hill da Lia Rumma e tante, tantissime altre.
Sabato 11, poi, apre al pubblico il nuovo progetto della Fondazione Nicola Trussardi che quest’anno presenta Wheatfield: un’opera di Land Art dell’artista Agnes Denes. L’opera, letteralmente un campo di grano, come dice il titolo, si estende per 5 ettari [50.000 metri quadrati –12 acri] nel parco di Porta Nuova.
Poi ci sono altri progetti importantissimi come Growing Roots che celebra i 15 anni del premio Furla aPalazzo Reale con una mostra di tutti i vincitori del premio dalla sua primaedizione all’ultima; la mostra di Medardo Rosso alla Galleria D’arte Moderna; David Bailey al PAC e un bellissimo progetto dal titolo Le Regole del Giocoorganizzato dalla Triennale presso lo Studio Castiglioni in cui 17 artisti sono stati invitati a confrontarsi con il grande designer milanese.
ATP: Cosa consiglieresti ad un giovane collezionista?
VDB: Consiglierei di documentarsi tanto prima di iniziare la propria collezione. Penso che ogni collezione debba avere un suo perchè ed essere molto personale. In questo momento la frenesia del mercato può essere cattiva consigliera. L’arte va vista su tempi lunghi e i valori (artistici e di mercato) si consolidano nel tempo. Quindi documentarsi e consigliarsi con persone fidate.
ATP: Un avvenimento, legato alla fiera, che ricordi (o racconti) più di altri? O che ti piace ricordare.
VDB: Ce ne sono tanti. Però sono molto legato a un episodio del mio primo anno di direzione.
Come sai, sin dal primo anno Miart e Fondazione Nicola Trussardi hanno intessuto stretti legami di collaborazione con due progetti co-prodotti e co-curati da Massimiliano Gioni e da me: Liberi tutti, un festival di performances al Teatro Arsenale nel 2013 e Cine Dreams, tre notti di proiezioni al Planetario Hoepli nel 2014. La prima serata di Liberi Tutti era dedicata ai Gelitin con una performance che si chiamava “Analytic Portraits”. Loro non volevano dirci di più. Ci avevano chiesto il palco, i pennelli, unsistema di video camere e altre cose che ora non ricordo. Ma di più non sapevamo. Oddio, probabilmente Massimiliano sapeva, ma non mi aveva detto nulla… Era tutto organizzato per la serata (inizio ore 22) ed era anche il giorno dell’opening di Miart (la mia prima, e quindi per me era tutto nuovo). Verso le 18 mi chiama l’ufficio stampa di Fondazione, Lara Facco che ora collabora anche con me e mi dice: ha chiamato Massimiliano che purtroppo è bloccato in Siberia (era in giro per preparare la Biennale) per via di una tormenta di neve: devi presentare tu stasera.
Io arrivo al teatro alle 21.45 (Miart chiudeva alle 21.30) e ancora non sapevo cosa avrei dovuto dire…poi Florian dei Gelitin mi dice: sali sul palco con noi e capirai….Si apre la sala, loro salgono sul palco e iniziano la preparazione della performance, solo in quel momento ho realizzato che cosa volesse dire il titolo “Analytic Portraits”, e che tutto il lavoro stava nella prima parte della parola Analytic. Erano letteralmente dei ritratti da fare al pubblico con i pennelli tra le natiche… e io dovevo presentarlo. Ci sono le foto che documentano la mia reazione.