Testo di Matteo Carli
Il destino di ogni essere è la metamorfosi. Venire al mondo, attraversarlo, condividerlo, lasciarlo, è metamorfosi. L’arte stessa nella sua creazione e nel suo continuo farsi dialogo tra passato e presente, originario e originale, copia e invenzione, è metamorfosi. La ricerca, l’indagine, l’archiviazione di storie, immagini, parole, sono metamorfosi del nostro io e dei luoghi in cui nasciamo, che ci accolgono e respingono. E di metamorfosi, ma anche d’incontro e appartenenza, narra Un vuoto che non ha luogo, personale di Diego Cibelli esposta negli spazi della galleria Alfonso Artiaco di Napoli fino all’11 gennaio 2025.
Il percorso di sei sale nell’universo chimerico dell’artista napoletano, originario di Scampia dove ancora opera, inizia con un video. Un bambino trasporta in processione festosa una cornucopia, simbolo di fertilità e creazione, e ci introduce simbolicamente al sentiero immaginifico della mostra. Nella prima installazione, intitolata È nato Generosity, cinque sculture in porcellana dialogano con antiche immagini stampate su legno. In mezzo alle figure secolari, tra anfore, bestie e divinità dai molteplici passati, prendono vita le virtuose creazioni scultoree: l’uomo muta in pesce, il coniglio, il gatto e la volpe emergono da nidi di volatili, il felino minaccioso si ricopre di piante e fiori. La porcellana stessa, materiale ricorrente nel lavoro di Cibelli, ha un aspetto insolito e ci invita all’osservazione ravvicinata: è densa, porosa e malleabile, lontana dalla tradizionale apparenza lucida e delicata.
Il vuoto, che non ha luogo, appare così fiabesco, onirico e surreale, prime impressioni confermate dai mutanti organismi eterogenei che popolano i disegni e le sculture in ceramica di Metamorfosi. Qui numerosi sono i riferimenti all’abisso marino, onnipresente vicino partenopeo, tra spugne, coralli, meduse, invertebrati d’ogni specie che si incrociano e attraversano in mutazioni complesse.
Il mare è indagato da una prospettiva scientifica, strettamente legata a Napoli. Come osserva Sylvain Bellenger, infatti, «ad essere incorporato nella sua poetica non è tanto il paesaggio marino, ma i misteri ispirati dai disegni di ciò che non era mai stato visto prima degli straordinari schemi di uno dei grandi apostoli del darwinismo, Ernest Haeckel, maestro di Anton Dohrn, che nell’ambito della Stazione Marittima di Napoli cercò di trovare l’origine della vita nelle acque del Golfo di Napoli».
Il culmine scenografico della mostra è raggiunto con Storie per farlo dormire, carillon fantastico composto da centinaia di figure sospese, nuovamente resuscitate dai passati remoti di cui si nutre Cibelli: un antico tutt’altro che scontato, raro e personale, fatto di mostri dei bestiari medievali, classicità grottesche e pagane, rivisitazioni settecentesche. Naturali campi di ricerca dell’artista sono qui le collezioni museali napoletane, Capodimonte e MANN su tutte, rapporti che testimoniano una relazione profonda tra l’artista e il suo territorio, evidente anche nella frequente collaborazione con le maestranze artigianali locali.
Gli episodi scultorei di Enigma e Beata fragilità, anticipano l’installazione finale che dà nome alla mostra, Un vuoto che non ha luogo, in cui due vigorose figure maschili si lanciano abbracciate in un vaso etrusco. È la fine di un viaggio in cui i piani si confondono e sovrappongono, il contemporaneo si mischia all’antico, l’invenzione al recupero e ci ritroviamo come ospiti inattesi nel sogno altrui, ad esaminare con sguardo fanciullesco innesti, contrazioni e dilatazioni di entità sovrannaturali. L’illusione si distende senza soluzione di continuità, siamo catturati dalla narrazione, abbandonati al cambiamento, alla metamorfosi.
Cover: Diego Cibelli, Un vuoto che non ha luogo, veduta parziale della mostra, novembre 2024, photocredit: Luciano e Marco Pedicini