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Metafotografia (2). Le mutazioni delle immagini | BACO, Bergamo

L’ambiziosa mission di questo progetto è quella di mostrare ciò che la fotografia non ha ancora ‘fotografato’, perché sfuggevole, ambiguo o semplicemente sconosciuto. Nella mutevolezza del contemporaneo, il linguaggio fotografico ha  assorbito forse più di altri mezzi espressivi la capacità di adattamento a sempre nuove forme di comunicazione. Ospitata dal 19 settembre al 31 ottobre […]

Metafotografia. Dentro e oltre il medium nell’arte contemporanea (2019) – Metafotografia 2. Le mutazioni delle immagini (2020)

L’ambiziosa mission di questo progetto è quella di mostrare ciò che la fotografia non ha ancora ‘fotografato’, perché sfuggevole, ambiguo o semplicemente sconosciuto. Nella mutevolezza del contemporaneo, il linguaggio fotografico ha  assorbito forse più di altri mezzi espressivi la capacità di adattamento a sempre nuove forme di comunicazione.
Ospitata dal 19 settembre al 31 ottobre 2020, la mostra “Metafotografia (2). Le mutazioni delle immagini” è curata da Sara Benaglia e Mauro Zanchi, autori anche del libro “Metafotografia. Dentro e oltre il medium nell’arte contemporanea” (2019) – edito da Skinnerboox –  che sarà presentato in occasione dell’opening.

Esiti di un lungo periodo di ricerca, la mostra e il libro raccontano la scena fotografica italiana grazie ad una selezione mirata di talenti fotografici. In particolare, la mostra ospita, nella sede di BACO_Base Arte Contemporanea Odierna a Bergamo alta (Via Arena 9), le opere di Fabrizio Bellomo, Claudio Beorchia, Federico Clavarino, Ezio D’Agostino, Discipula, Teresa Giannico, IOCOSE, Silvia Mariotti, Luca Massaro, Filippo Minelli, Francesco Pozzato, Alessandro Sambini ed Emilio Vavarella.
Mediante una lunga lista di negazioni – “non” – i due curatori cercano di definire il concetto di ‘metafotografia’, e nello stesso tempo, di mettere a fuoco l’ambiguità che da sempre connota la fotografia, che proprio negli ultimi decenni sembra aver esacerbato lo stesso contenuto che rivela.

“Metafotografia non è un movimento artistico. Non è nemmeno una forma tardiva di avanguardia. È il nome modificabile che è stato dato a un processo aperto, a una ricerca iniziata nell’ambito della fotografia italiana a cavallo tra il primo e il secondo decennio del Duemila.
Mauro Zanchi e Sara Benaglia hanno aperto un dialogo con ciascun/a artista, al fine di dare voce a ognuno/a, evitando di sovrascrivere e di sovra-determinare.
La direzione esplorativa è la distinzione disciplinare tra fotografia e arti visive, per cui sono state privilegiate quelle ricerche che rendono sempre meno netto questo confine.
La distinzione tra fotografia e immagine si fa ogni giorno più sottile.
Metafotografia non è solo un testo che non parla di fotografia, ma è anche una pubblicazione che vuole immaginare come si possa costruire un coro a più voci per raccontare come stia cambiando oggi il modo di fare e pensare l’immagine, dentro e oltre i mezzi che le producono. Si è dato spazio, senza manometterlo, al modo di pensare dell’artista, aprendo con lui/lei/loro una riflessione sul modo di lavorare.
Metafotografia non è il catalogo di una mostra collettiva, ma piuttosto è un tentativo collettivo di ripensare insieme i termini, i limiti e le logiche con cui scriviamo la fotografia e avanziamo sconfinamenti da essa.” (da CS)

Ricordiamo che Metafotografia (2) è stato selezionato come migliore progetto fra i 48 partecipanti da tutta Italia a Exhibit program 2020, il bando elaborato dal Ministero dei Beni Culturali per incentivare le buone pratiche e la qualità delle mostre d’arte contemporanea in musei pubblici e spazi no profit.

Claudio Beorchia, Once they told me I could be anything (2020)
Discipula, HTD_Morpheus, OMA Ad 02 (2018)
Filippo Minelli, What things are not (2016)

Segue una parte del saggio scritto da Mauro Zanchi nel libro Metafotografia 2

Le mutazioni delle immagini nell’oltrefotografia

Dal 1839 (o dal 1826) fino a oggi la fotografia ha documentato – o mostrato su un supporto più o meno durevole – innumerevoli istanti effimeri della vita. È stata, nel caso di autori di rilievo, un segreto dentro a un segreto. Ha reso visibili cose e aspetti che nessuno riesce a cogliere prima che vengano fotografati. Ha saputo dividere la vita umana in una serie di attimi, ognuno dei quali ha rappresentato in sintesi il valore di una intera esistenza. Ha innescato nuove interrogazioni. Ha dato valore a ciò che è accaduto una sola volta, alla precarietà dell’istante nel tempo. Ha mostrato l’idea e la visione che ogni fotografo ha o ha avuto della realtà. Ha reso visibile ciò che la mente forse già conosceva a priori. In altra declinazione, ha messo a fuoco l’immaginazione. Ha evocato altre dimensioni. Nei casi più riusciti ha visto l’immagine svincolata da ogni sorta di descrizione o interpretazione. Ha fissato l’eternità in un determinato momento, l’ampiezza di un attimo importante vissuto da una persona mortale. Si è alleata alla forza evocativa del silenzio. È stata dentro l’infrasottile. Ha toccato il sublime. Ha comunicato fatti, riprodotto la superficie della realtà, mostrato cose che non esistono più, catturato anche istanti fuori dal tempo. La fotografia è stata un documento attendibile. È entrata (e uscita) nel campo d’azione di altri media. Ha avuto il compito di confondere o di fondere tutte le arti, così come le cose si fondono nella realtà. È servita alle avanguardie. Ha veicolato segreti della luce e dell’ombra. Ha ideato nuovi metalinguaggi. Ha avuto a che fare con l’inconscio tecnologico e con l’inconscio ottico. È stata soggiogata dalle mode e dalla banalità. Ha testimoniato, nel bene e nel male, sia al servizio della verità sia nelle derive della fiction. Ha esagerato, facendo in modo che giornalmente le persone scattassero miliardi di fotografie. Ha conferito momentanee immortalità. Ha vissuto metamorfosi. Ha dimenticato. E chissà quanto altro ancora io mi sono scordato in questo incipit elencativo. Eppure, come per ogni forma in evoluzione, avverranno anche per la fotografia ulteriori trasformazioni, altri tentativi, possibilità, sviluppi, crisi, ritorni, evoluzioni, involuzioni, ripartenze, cambi di rotta. È possibile la nascita o la creazione di una modalità alternativa a quella tradizionale, che potrebbe introdurre una possibilità “altra”? È verosimile che avvenga un ulteriore passaggio verso una percezione multipla (estasi, contemplazione espansa, approccio sinestetico, spostamento spaziotemporale, applicazione delle teorie della fisica quantistica, etc.), in direzione di altre estensioni, aperture, e verso anche l’oltreumano? O è necessario valorizzare e migliorare ulteriormente la mera osservazione di ciò che si può cogliere in una piccola porzione del mondo, in immagini rettangolari bidimensionali, in un determinato istante, in uno stato e in una situazione unici? La fotografia analogica coglieva il cosiddetto “istante privilegiato”, condensava e cristallizzava in uno scatto o in una sequenza la complessità di stati multipli e sovrapposti, insomma il flusso del divenire tra il visibile e il non visibile della natura e della vita. Ma non solo, ovviamente. Qualcosa accadeva anche nella camera oscura, e qualcos’altro era favorito dall’intervento del caso o di chi indirizzava lo sviluppo: mi riferisco a nuove idee e suggestioni nate da errori, riflessi, sovraesposizioni, etc. Prima la fotografia era un documento visivo. Poi è diventata un punto all’interno di una struttura più complessa, stratificata e in continua evoluzione, sia di sistemi fisici sia di elementi concettuali, molti dei quali sconosciuti o indeterminati. 

Alessandro Sambini, La Trattativa, statua 3D bicromatica (2019)
Ezio DAgostino, NEOs, 2018

I fisici quantistici hanno messo in discussione le certezze di chi utilizza la luce – materia prima fondamentale per quanto riguarda la fotografia, che nell’etimo è “scrittura di luce” – per documentare qualcosa che è accaduto. L’esperimento della doppia fenditura ha svelato che la luce non è soltanto un’onda ma possiede al tempo stesso sia le qualità di un’onda sia di una particella. E un altro esperimento ha rivelato che dividendo in due una particella, tenendone una in un luogo geografico e l’altra in un posto diverso, le due metà reagiscono all’unisono anche a notevole distanza l’una dall’altra. Questa possibilità è applicabile anche per quanto concerne le applicazioni nella fotografia del futuro? Oltre a mantenere una similarità a distanza longitudinale e di latitudine, le due metà della particella avrebbero memoria l’una dell’altra e resterebbero connesse anche se spostate nel tempo, una nel passato e una nel futuro? Secondo il mondo quantico, il tempo potrebbe scorrere anche all’indietro o in modi più articolati e complessi; le misure, le distanze e altre componenti potrebbero appartenere solo alla proiezione illusoria o essere impossibili da legittimare e dimostrare; le particelle starebbero simultaneamente anche in due o più luoghi; la probabilità sembrerebbe essere l’unica certezza. Secondo questa visione la fotografia convenzionale per certi versi non sarebbe più un documento veritiero ma qualcosa che mente sempre, che dà poche certezze, se non inquadrare una determinata piccola porzione del mondo. Nelle fotografie quantiche dominerebbero l’indeterminatezza, gli universi paralleli, le probabilità, l’incertezza, ma anche una ulteriore portata evocativa, un allargamento di possibili letture, un ampliamento spaziotemporale. Nell’universo quantico subatomico, l’uomo che salta sopra una pozzanghera nella celebre immagine giovanile di Henri Cartier-Bresson, Derrière la Gare Saint-Lazare (1932), potrebbe atterrare più in avanti, o il suo salto tornare indietro, o stare in sospensione, insomma sottostare alle questioni delle probabilità. Tutto potrebbe accadere in una dimensione dominata dall’indeterminatezza, con innumerevoli “momenti non decisivi”. Le macchine quantiche del futuro (o tecnologie scientifiche più evolute, che ora non riusciamo ancora a immaginare) cosa coglieranno? Secondo Fred Richtin, la fotografia del futuro potrà “esplorare e delineare universi in cui operano principii multipli, e in cui l’esistenza è al contempo solida e illusoria. Evocherà il concetto di stati energetici condivisi che collegano persone, animali, spiriti, esseri, oggetti, potenzialità: connessioni che il prisma newtoniano non era altrettanto in grado di prendere in considerazione. La fotografia non fermerà né catturerà il tempo ma ne riconoscerà piuttosto la plasticità spazio-temporale e ne traccerà la tortuosa evoluzione.
Frammenterà di meno e ingrandirà di più, immaginando la storia e il presente come non lineari e dotati di una complessa stratificazione” (Dopo la fotografia, Torino 2012,  pp. 200-201). L’oltrefotografia prende in considerazione anche il principio di complementarità di Niels Bohr, il dualismo onda-particella, i due aspetti corpuscolare e ondulatorio come complementari, e riprende le suggestioni derivate dal principio di indeterminazione di Heisenberg, avendo ben presente che i due fenomeni non possono essere osservati contemporaneamente, perché il tipo di esperimento determina il comportamento delle particelle osservate: il moto ondulatorio e corpuscolare hanno la stessa validità, ma se si vede uno non si vede l’altro, e viceversa. Anche la filosofia, ancora prima delle scienze moderne, aveva ben inteso che il tempo è argomento difficile da comprendere e spiegare. Nelle Confessioni (libro XI, 14), Agostino da Ippona imprime una svolta alla concezione del tempo, che diventa psicologica: “Che cosa è […] il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se dovessi spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so”.  Esistono tempi diversi e l’“essere nel tempo” è un’esperienza difficile da pensare e da concepire, come testimonia anche Martin Heidegger in Essere e tempo (1927). In Metafotografia. Dentro e oltre il medium nell’arte contemporanea (2019), per gioco ho immaginato la possibilità di ricordare il futuro e di riuscire a fotografare in anticipo accadimenti che accadranno più in là nel tempo. Mi ero spinto con la fantasia per forzare qualcosa che ora pare impraticabile. L’idea è collegata alla capacità di coloro che hanno doti di preveggenza e sanno vedere in anticipo eventi che avverranno. Mi chiedevo, e ancora ora mi chiedo, se sia possibile realizzare fotografie o filmati di eventi che in futuro potrebbero risultare pericolosi per l’umanità, per una comunità o per un singolo individuo.

Emilio Vavarella, The Digital Skin Series (Foto n.318) (2016)
Silvia Mariotti, Volumi notturni (2018 -2019). Courtesy Galleria Bianconi, Ph. Bruno Bani
Luca Massaro, Parola (2011)

Fotografare nel futuro per cercare di lavorare in anticipo affinché gli eventi dannosi o devastanti per il pianeta e per i suoi abitanti non accadano. Ma si innescherebbero altre problematiche, molto probabilmente, forse ancora più complesse. Quasi nessuno capisce veramente la fisica quantistica, e se qualcuno che non appartiene alla corporazione degli scienziati ha afferrato o compreso qualcosa (delle probabilità quantiche, della teoria delle stringhe, dei buchi neri, dei wormhole, dei quark, dei multiversi) preferisce credere ancora nella visione classica del mondo fisico, seguire la versione newtoniana, e vivere dentro l’illusione del tempo lineare, che procede regolarmente dal passato e va verso il futuro. La teoria scioccante dei quanti, a prescindere dal grado di terribilità e dai maggiori pericoli che promette per le anime abitudinarie, potrebbe rispecchiare realmente una visione anticlassica dell’universo o mostrare l’ineffabile o riattivare di nuovo la visione magica e la sorpresa? La fotografia tradizionale (da quella analogica a quella digitale) coesisterà con l’ipermedium (ovvero un medium che ibrida e connette immagini, suoni, odori, testi, sapori, sensazioni tattili, movimenti, attivando ulteriori possibilità, malleabili e in divenire) e anche con l’oltremedium, per documentare, far agire varie forze, esplorare e vivere tutto quello che si muove dall’umano al postumano. Comunque è buona cosa fare in modo che il confine tra fotografia e oltrefotografia possa essere poroso, per far passare dei collegamenti e dei flussi. L’oltremedium presuppone che fotografare implichi anche il non fotografare, così come il dicibile implica anche l’indicibile, la scelta di non dire o di evocare.
Cosa verrà dopo la fotografia o qualsiasi altro medium? Forse un’altra possibilità multimediale, non monolitica, con potenzialità di sinergia. Oppure ancora qualcosa che assomiglia all’esperienza vissuta e narrata dai mistici e dai saggi dell’era arcaica, l’esperienza dell’illuminazione, della visione estatica, della percezione al contempo sensoriale ed extrasensoriale, qualcosa in grado di creare un legame speciale tra ogni essere vivente e il mondo. L’oltremedium allenerà le persone e le inizierà, per comprendere a colpo d’occhio, senza tanti inutili giri di parole e di immagini? Ho sempre pensato che l’oltrefotografia potesse essere utile per mostrare in anticipo eventi che accadranno nel futuro così da poter agire, con più tempo a disposizione e con cognizione di causa, per indirizzare al meglio gli eventi della storia. Qualche sera fa, mentre stavo rivedendo L’arca russa (2002) di Aleksandr Sokurov, sono rimasto colpito da una frase pronunciata dal marchese Astolphe de Custine, nel Palazzo d’Inverno di San Pietroburgo, un tempo residenza degli Zar e oggi museo dell’Ermitage: “Tutti possono conoscere il futuro, ma è il passato che non si conosce mai”. Probabilmente ha ragione lui, in qualche modo, e avrebbe senso utilizzare una nuova e più evoluta strategia d’indagine per andare a riprendere e documentare cosa sia veramente successo nel passato, per comprendere meglio e con più cognizione di causa il flusso, le dinamiche e le complessità della storia. Mi sto riferendo a una ricerca approfondita, che vada anche a scoprire (o a riscoprire) documenti, fatti e questioni, che non sono entrati nei libri di storia, o almeno non in quelli scritti dai vincitori. Senza una coscienza del vero, e se non si conoscono veramente i fatti, le questioni e gli eventi che hanno portato a essere come siamo oggi, come si può comprendere ciò che riguarda il futuro? Chissà come sarà complesso vivere nel tempo in cui tutti potranno vivere salti quantici. Un senso di complessità e di passaggi in mondi paralleli, dove le persone vivono in momenti diversi della loro storia incontrandosi anche in vari periodi della loro vita, è stato ipotizzato recentemente nella serie televisiva Dark (2017-2020). Ma la complessità degli intrecci e il senso di confusione può indurre un desiderio di tornare alla confortante progressione lineare del tempo radicata nel senso comune, un ritorno all’ostinata illusione, che la teoria della relatività ha disgregato. In questa sede l’interesse è rivolto a indagare le derive che le scienze contemporanee hanno prodotto nell’immaginario collettivo. La fantascienza è interessante alla luce di una concezione antropologica dell’immaginario. Rivolgiamo allora la nostra immaginazione verso il tempo. Ma questo tempo lo dobbiamo intendere come un fluire inarrestabile ed eterno inscritto nella matrice dell’universo, o come successione unidirezionale di istanti irreversibili, oppure nelle prospettive individuate dalle scoperte di Einstein e di altri scienziati che stanno ipotizzando ulteriori possibilità interpretative dell’universo? Voi comincereste a viaggiare verso il passato o preferireste prima vedere cosa sta accadendo ora nel futuro? Ma soprattutto verso quale tempo del futuro vi rivolgereste? Forse potremmo partire dal passato, visto che siamo almeno parzialmente già a conoscenza di qualche dato più o meno certo. Ora però è impossibile ipotizzare una macchina in grado di viaggiare all’indietro, per andare a soggiornare nel tempo già accaduto. In questo stato di incertezza lasciamo scorrere e inviamo verso il mondo, sia nello spazio sia nelle tre declinazioni del tempo, le nostre ipotesi costituite da immagini-premonizioni.

Federico Clavarino, Gordon’s Last Dispatch, Da Hereafter (2019)
Francesco Pozzato, The loser standing small (St. Theodore) (2019)
Fabrizio Bellomo, 11 messaggi speciali, Bari (2019)
Teresa Giannico, Lay Out #3 (2015)
IOCOSE, Pointing at a New Planet (2020)