Testo di Davide Pirovano —
Matthias Bitzer si insinua delicatamente nello sguardo, nello spazio e nella mente. Lo ha sempre fatto utilizzando medium differenti, sviluppando così una discorsività trasversale e profonda. Quando si entra in A little image-shrine for the roadside alla Galleria Francesca Minini, quinta mostra dell’artista tedesco in galleria (visibile fino al 7 novembre), ci si addentra in uno spazio totale, dove opere e spazio espositivo ci stimolano a un’unica riflessione ed esperienza. Ogni elemento è un’opera singola, ma nelle sue mostre diviene centrale il dialogo tra i lavori, in un’ottica narrativa unica.
In occasione della mostra milanese, l’artista non solo presenta le singole opere, ma interviene fisicamente sullo spazio, dipingendo direttamente sulle pareti e posizionando alcuni elementi che richiamano le altre produzioni anche prima di entrare nello spazio espositivo, alla ricerca di una diretta continuità tra interno ed esterno. Le opere esposte sono quasi tutte frutto del periodo di quarantena, esperienza che ci ha visti obbligati a una reclusione necessaria. In merito alle opere pre-esistenti, qui diventano profondamente attuali, se inserite in questa riflessione e utilizzate per far comprendere maggiormente le dinamiche di questo momento storico.
In Bitzer la parola poetica e la potenza visiva si fondono per un unico linguaggio e riflessione, sia grazie all’utilizzo delle parole in alcune delle opere esposte, ma anche per la natura fortemente narrativa della mostra. Faccio riferimento a I believe you; but I would also believe the opposite, if you could convince me (2020) e All that you call world is the shadow of that substance which you are (2020) di grande profondità e delicatezza. Non trattano in modo diretto ed esclusivo del virus, quindi della pandemia, ma di una riflessione più generale sul nostro presente. Per esemplificare, in The creation of a storm (Allegories of a perfect storm) (2020), l’episodio che ne ha stimolato la produzione è stata l’uccisione di George Floyd.
La riflessione sull’attuale difficile periodo emerge all’interno delle composizioni visive delle opere, anche attraverso il cambiamento di rappresentazione della figura femminile da parte di Bitzer, da sempre studiata e rappresentata, ma che ora diviene più sfocata, difficile da decifrare, sovrastata dai colori, i quali annegano quasi l’immagine del volto, che in alcune opere si intravede solamente. Come avviene per esempio in La colère (Allegories of a perfect storm) (2020).
Un altro elemento fortemente ricorrente, è quello dello specchio, che rafforza l’immagine e talvolta ne conclude la composizione, come in Nova Povera (2020). In una riflessione più ampia però, sull’evento pandemico, quale ruolo ha ricoperto lo specchio nelle case?
Inserito nell’opera, riflette necessariamente anche la nostra immagine, coinvolta ora nello spazio altro della composizione e spostando la riflessione su una cosmogonia unica di cui tutti facciamo parte. Il dialogo è con l’elemento altro, ma anche con noi stessi.
Completa e da sostanza alla visione il testo redatto per la mostra dal curatore Jens Hoffmann, Le qualità essenziali della bellezza (e dell’arte): una generale riflessione sul concetto di bellezza e di arte, mettendo a confronto il ruolo del soggettivo e dell’oggettivo.
La mostra si compone fondamentalmente di due spazi, il primo dove le opere tendono ad unire figuratività e astrazione in maniera maggiore e in alcuni casi la seconda si appropria di tutta l’opera, il secondo dove permane maggiormente una certa “figuratività”. Tra le prime opere, La promenade des atomes (2020), una tela di 243 x 210 cm, è la rappresentazione di una “passeggiata degli atomi” come esemplificazione di un unico cosmo entro cui ogni soggettività è coinvolta, un destino unico e olistico dove tutti siamo protagonisti e artefici, elementi di un’unica narrazione.
Illuminante è il confronto con un’opera del 2018 dell’artista, esposta in mostra insieme alle nuove creazioni, per la sua potente attualità. La precarietà e precisione dell’installazione Dilemma of relativity (2018), aiuta a riflettere su quanto ogni elemento, seppur differente dagli altri, ricopre pesi necessari a un equilibrio utile al raggiungimento del risultato finale. Sintesi e densità in un’opera che sintetizza e, al tempo stesso, apre l’intera mostra ad un ampio spesso di significati.