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Marie Matusz — FALL | Istituto Svizzero, Milano

Testo di Sofia Cisotto — Cinque grandi teche nere e delle voci metalliche accolgono il visitatore all’ingresso della nuova mostra inaugurata all’Istituto Svizzero di Milano. Fall è il titolo che l’artista, Marie Matusz, ha scelto. Fall come autunno e Fall come caduta, spiega la curatrice Gioia Dal Molin.  È sufficiente fare qualche passo in più, […]

Marie Matusz, All systems create the conditions of their own demise, 2022, acrylic glass, 60 × 80 cm (10 platforms, stacked version). Installation view of Fall at Istituto Svizzero, Milano, 2022. Photo by Giulio Boem

Testo di Sofia Cisotto

Cinque grandi teche nere e delle voci metalliche accolgono il visitatore all’ingresso della nuova mostra inaugurata all’Istituto Svizzero di Milano. Fall è il titolo che l’artista, Marie Matusz, ha scelto. Fall come autunno e Fall come caduta, spiega la curatrice Gioia Dal Molin. 

È sufficiente fare qualche passo in più, infatti, immergersi nell’ambiente espositivo ed osservare con più attenzione ciò che Marie Matusz sottopone al nostro sguardo: noteremo come l’autunno, la caduta, così come la perdita, il deperimento e, infine, la morte abitino lo spazio circostante, si rivelino gradualmente, in silenzio. Le superfici delle cinque teche nere pensate dall’artista sono, infatti, caratterizzate da un certo grado di trasparenza, tale da consentirci di scoprire cosa si cela al loro interno. Mazzi di fiori secchi avvolti in panni di organza e appoggiati inermi come dei cadaveri, lo scheletro della bocca di uno squalo, una struttura composta da fredde barre di metallo e da catene d’acciaio, due telai di pianoforte appoggiati a terra e intersecati tra loro, casse che alternano dialoghi di voci graffiate al suono di un pianoforte: ecco cosa si cela all’interno di queste grandi scatole scure.
Oltre ad essere semi-trasparenti, le pareti delle teche fungono anche da specchi. Camminando all’interno dello spazio espositivo, passando da una teca all’altra, la nostra immagine ci segue, non ci lascia via di scampo. Ecco che vediamo il nostro volto all’interno della bocca di uno squalo e il nostro corpo a confronto con una struttura ibrida in metallo e con degli scheletri di pianoforte. L’incontro diretto con noi stessi ci rende fragili, ci costringe a porci delle domande. Qual è il mio ruolo qui? Cosa sono questi oggetti per me e cosa sono io per questi oggetti? 

Il nome che Marie Matusz sceglie per questa prima installazione è Long Ago, Tomorrow [Tanto tempo fa, domani] (2022): molti degli oggetti esposti, infatti, provengono da esposizioni precedenti, mentre altri vedranno un utilizzo in installazioni future; oltre a ciò, però, questo titolo rimanda alla transitorietà della nostra esistenza, allo scorrere incessante del tempo: i fiori ormai secchi ci parlano di un passato e di un presente, i telai di pianoforte rimandano a una melodia che non c’è più, il teschio di squalo evoca la morte. Nel testo critico, Gioia Dal Molin, riporta una citazione emblematica dell’artista: “Penso a un suono che non suona, a un pianoforte muto e a fiori che non profumano”. Marie Matusz espone il declino, la fugacità della vita. 

Marie Matusz, Everybody feels the wind blow, 2022, shark jaw (Charcarinus obscurus), mirror, acrylic glass, 45 x 18 x 45 cm. Installation view of Fall at Istituto Svizzero, Milano, 2022. Photo by Giulio Boem.

La mostra prosegue nella stanza adiacente, buia e spoglia, alcune sedie e un grande telo bianco su cui viene proiettato un video. The Lying Oaths [I falsi giuramenti] (2022) è il nome della videoinstallazione realizzata da Matusz per quest’occasione. “Più ci avviciniamo, meno vediamo” scrive Gioia Dal Molin e, in effetti, il video è un continuo alternarsi di zoomate, messe a fuoco, dissolvenze. Il nostro sguardo viene messo in difficoltà. Le inquadrature sono sgranate, di bassa qualità. I soggetti ripresi sono eterogenei: una foglia durante un acquazzone, un palazzo di vetro, la fronda di un albero, una via con alcuni passanti. I rumori legati all’ambiente ripreso si alternano a suoni metallici, aspri, ostili. E, infine, un testo: una sorta di monologo interiore trascritto a mo’ di sottotitoli, un flusso di coscienza. 

La personale di Marie Matusz si conclude con un’ultima installazione: All systems create the conditions of their own demise [Tutti i sistemi creano le condizioni della propria fine] (2022). Si tratta di una scultura rettangolare in vetro acrilico posizionata al centro di un ampio spazio bianco e vuoto. La scultura, in particolare, vede la sovrapposizione di dieci lastre vitree di forma rettangolare. Tutte sono accumunate da una leggera incisione, anch’essa rettangolare ma di perimetro inferiore, posta al centro della lastra stessa: ancora una volta il rimando a qualcosa che non c’è più, alle tracce di un passato ormai terminato. 

Concludo con una poesia, capace di racchiudere in poche righe la riflessione creativa che accompagna tutta la mostra. La poesia è di Samuel Beckett, poeta a cui Marie Matusz si rifà durante tutta la stesura del progetto:

silenzio così che ciò che fu
prima non sarà mai più
dal bisbiglio lacerato
d’una parola senza passato
per avere troppo detto non potendone più
giurando di non tacere più.

La mostra Fall è visitabile fino al 19 novembre 2022.
Marie Matusz è attualmente protagonista anche della mostra Lonely Daters presso la Galleria Clima di Milano (23.09.2022 – 18.11.2022).

Marie Matusz, There is no document of civilisation that is not a document of barbarism, 2022, cast iron piano frames, 140 × 105 cm, 140 × 125 cm. Installation view of Fall at Istituto Svizzero, Milano, 2022. Photo by Giulio Boem.
Marie Matusz, The Lying Oaths, 2022, video, stereo channel, 21’53’’. Installation view of Fall at Istituto Svizzero, Milano, 2022. Photo by Giulio Boem.
Marie Matusz, Long Ago, Tomorrow, 2022, plexiglass showcases, variable dimensions. Installation view of Fall at Istituto Svizzero, Milano, 2022. Photo by Giulio Boem