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Untitled (Coming back to Rome) è una luce verde verticale che esce da una fessura all’angolo della parete. Una costruzione che avviene allo stesso tempo tra due spazi e sul loro confine. Evidenzia quel preciso punto tra il nostro spazio e l’atro, nascosto, escluso e inaccessibile. Rende stabile quel veloce momento in cui il sole, prima di sparire sotto l’orizzonte, crea una fascia luminosa verde-azzurra che dura solo pochi istanti. Le opere di Marco Strappato sembrano basarsi su questo preciso meccanismo, che è poi quello più in generale della rappresentazione: in uno spazio ne percepisco un altro altro che è oltre un oggetto definito. Se poi questo avviene attraversando una superficie limitata e piatta il meccanismo è ancor più chiaro e classico. La finestra – il quadro – lo schermo. Over Yonder – titolo della mostra ospitata fino al 13 febbraio a The Gallery Apart – potrebbe facilmente essere definita come una raccolta di considerazioni sui massimi sistemi dell’arte passando attraverso la visione, il paesaggio, la cultura di massa e altro, ma quanto veramente indaga e maggiormente interessa è la questione dello spazio uno e trino: la realtà – la rappresentazione e l’infinito di cui questa vuole parlare e ne è traccia.
Questa è una ricerca che avviene tramite specifiche preposizioni di cui prima tra tutte è certamente l’utilizzo dello schermo. Una scelta esplicita con l’uso dei monitors, Ipad e computers, come in Untitled(Galaxy) in cui uno schermo verticale è accesso a una galassia; sia indiretta, come nelle stampe di paesaggi Over Painted ESO#1 – 2 – 3 alle quali si sovrappone uno strato di spray nero che raggiunge le cornici e sembra indicare quella barriera al di là della quale accade la visione. Ci sono poi opere come Untitled(Gate), in cui un vetro coperto di pittura spray nera lucida è allo stesso tempo elevazione e imitazione dello screen.
Altro aspetto importante è sicuramente la struttura multipla e per livelli delle opere sia per quanto riguarda la scelta dei materiali – dal cemento, al marmo, allo specchio, al monitor – sia nella sovrapposizione di immagini in un continuo rapporto ambiguo tra naturale e artificiale, reale e virtuale. In questo senso la struttura di internet è sicuramente quella a cui Strappato si riferisce maggiormente. Con questo non intendo dire che internet è usato come citazione ma piuttosto come modello narrativo. Di citazioni non si può parlare, nemmeno quando sembrano referenze dirette, come il film The Wild Blue Yonder di Werner Herzog (2005) o l’album Mondi Lontanissimi di Franco Battiato (1985). Meglio considerarli come degli indizi sul metodo di lavoro: Herzog tratta infatti di fantascienza con un approccio scientifico-documentaristico alterando quindi i normali rapporti tra significato e significante, mentre Battiato narra della conquista di un’altra dimensione partendo dalla descrizione di dati sensibili e la definizione di sentimenti precisi.
Mi pare che Strappato voglia parlare in modi diversi della stessa conquista, o meglio, del racconto del suo conquistare perché non c’è un vero obiettivo, se non la contemplazione di questi meccanismi. E per questo mi trovo qui, a credere di guardare Derek Jarman e Yves Klein spiare il suo desktop wallpaper. E ora viaggio da sola: Derek Jarman, Yves Klein, Marco ed io surfiamo insieme a Mavericks.