ATP DIARY

Manifesta 14 — Prishtina, Kosovo

Testo di Aurelio Andrighetto — La quattordicesima edizione di Manifesta ha luogo a Prishtina capitale del Kosovo (fino al 30 ottobre 2022). La biennale europea itinerante di arte contemporanea investiga e promuove cambiamenti sociali coinvolgendo gli abitanti della città ospite. Con la scelta di location inconsuete i promotori della manifestazione artistica si prefiggono di restituire […]

Heroinat, memoriale dedicato alle donne di etnia albanese, che hanno dato il loro contributo durante la guerra in Kosovo. Il memoriale, che ricorda anche il crimine di stupro perpetrato dall’esercito serbo durante l’ultima guerra, è composto da 20.145 medaglie. Sullo sfondo il Grand Hotel Pristina con veduta parziale dell’intervento artistico When the sun goes away we paint the sky, 2022 di Petrit Halilaj

Testo di Aurelio Andrighetto

La quattordicesima edizione di Manifesta ha luogo a Prishtina capitale del Kosovo (fino al 30 ottobre 2022). La biennale europea itinerante di arte contemporanea investiga e promuove cambiamenti sociali coinvolgendo gli abitanti della città ospite. Con la scelta di location inconsuete i promotori della manifestazione artistica si prefiggono di restituire l’immagine di un’Europa variegata e mutevole, nel caso di questa edizione portando alla luce i cambiamenti politici, economici e sociali conseguenti alla disintegrazione della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia e alle guerre balcaniche degli anni ’90.

Il programma comprende mostre, eventi, performance, conferenze, laboratori e interventi nello spazio urbano. È possibile esplorare i luoghi della città accompagnati da mediatori culturali con i quali si può interagire sperimentando nuove forme di narrazione collettiva. Manifesta 14 è pervasa dallo storytelling: “it matters what worlds world worlds: how to tell stories otherwise” è il concept enunciato dai “mediatori creativi” della manifestazione (l’espressione sostituisce il termine “curatori”, rappresentati da Catherine Nichols e dall’agenzia internazionale di design e innovazione Carlo Ratti Associati di Torino, che si è occupata della parte di analisi e risignificazione urbana). 

Gran parte del processo di riqualifica degli spazi urbani è affidato alla narrazione. Raccontare storie diverse e la storia in modo diverso è diventato un imperativo dell’arte contemporanea. La mostra The Grand Scheme of Things, che occupa il Gran Hotel Prishtina dal terzo al nono piano, mette in discussione gli schemi narrativi nei quali siamo intrappolati attraverso degli sguardi che richiedono un supplemento di attenzione. Entrando nell’edificio si è accolti dalle fotografie di Majlinda Hoxha, che dal 2016 scava nella storia del paese e della società attraverso un dialogo con gli spazi dell’hotel e con le persone che lì hanno lavorato. L’opera di Hoxha mette in relazione due sguardi, quello dell’artista e quello del visitatore, che guarda gli ambienti dell’hotel e poi li ri-guarda attraverso le fotografie. Il secondo sguardo è contrassegnato da uno scarto temporale e prospettico, una differenza alla quale Elio Grazioli ha dedicato il saggio Duchamp oltre la fotografia. Strategie dell’infrasottile (Johan & Levi, Monza 2017). Come gli oggetti convertiti in readymade gli ambienti si rivelano leggermente diversi attraverso un “supplemento di attenzione […] un secondo sguardo, separato dal primo” (p. 65). 

Majlinda Hoxha, Mustafa Ahmeti, ritratto 2022, intervista 2016
Majlinda Hoxha, dalla serie Grand Hotel Prishtina, 2022

Salendo di piano in piano si possono visitare le sette sezioni della mostra: on transition, on migration, on water, on capital, on love, on ecology, on speculation, dove gli artisti raccontano storie sociali, politiche, economiche ed ecologiche.

Presso la biblioteca Hivzi Sylejmani, trasformata nel Center for Narrative Practice, cuore pulsante e permanente della manifestazione, Story Lab ha allestito un laboratorio creativo per nuove generazioni di scrittori di fantascienza in Kosovo, con lo scopo d’immaginare il futuro attraverso un filtro di testi letterari in cui appaiono “robot, astronavi, hacker, apocalissi ambientali, realtà multiverso, utopie e distopie, esplorazioni nel potenziale della mente, ruminazioni sullo spazio e sul tempo”. Nello stesso luogo l’artista Anna Bromley dà voce ad etnie che parlano lingue minoritarie, e Sami Mustafa trasmette alle nuove generazioni i racconti “paramisija” della tradizione orale rom, rivisitandoli in rapporto alle attuali problematiche sociali (conflitti generazionali, questioni di genere, diritti umani…). Anche gli oggetti raccontano, in un laboratorio allestito nella Stanza delle cose al primo piano della biblioteca, mentre in una sala attigua la galleria in miniatura OGMS, che si aggrappa come un parassita a musei, fiere d’arte e altre gallerie, scompiglia le dinamiche dei modelli curatoriali e mercantili in uso.

The Room of Things, biblioteca Hivzi Sylejmani / Ivan Moudov [with Lana Čmajčanin, Zoran Giorgiev, Shelbatra Jasharj, Maria Nalbantova, Bernd Oppl], OGMS, 2010/2022

Il Center for Narrative Practice risponde all’esigenza di riscrivere la storia della città e della regione riqualificando lo spazio pubblico, che è stato abbandonato all’incuria o privatizzato nei modi affrettati del turbo-capitalismo. Corruzione e crimine organizzato hanno vandalizzato il territorio approfittando del vuoto politico e giuridico lasciato dal crollo del socialismo jugoslavo e dalle successive guerre balcaniche.

Tell me your Story, 2022 © Chiharu Shiota. Photo © Manifesta 14 Prishtina, Majlinda Hoxha

A Prishtina, i resti dell’architettura ottomana (tra i quali l’hammām del XV secolo, che ospita l’installazione Tell me your Story di Chiharu Shiota) si alternano a nuove costruzioni, spazi abbandonati, architetture brutaliste e vernacolari, come le addizioni incoerenti che stravolgono l’assetto originario degli edifici. Alban Muja porta l’attenzione sul collasso del sistema abitativo socialista, che in teoria garantiva una casa a tutti, ricostruendo sopra gli ex grandi magazzini Germia una delle tipiche superfetazioni architettoniche.

Alban Muja, Above Everyone, 2022, installazione site-specific : Superfetazione architettonica a Prishtina

L’artista Cevdet Erek interviene con un’installazione grafica, sonora e luminosa in uno spazio del Palazzo della Stampa Rilindja, esempio di architettura brutalista, ora divenuto un centro notturno per la musica elettronica. L’installazione site-specific rievoca la turbolenza politica che ha determinato i cambiamenti nell’aspetto, nella funzione e nell’identità dell’edifico. Brutal times è un ambiente immersivo nel quale un ritmo sonoro e luminoso trasporta il visitatore lungo la storia di Rilindja. Dal piano interrato, attraverso delle lunghe aperture sul pavimento si leva un ritmo roboante e ipnotico, che evoca quello delle rotative tipografiche, mentre un fascio di luce rossa spazza il sottosuolo. Il piano terra è libero ad eccezione di uno schermo elettronico sul quale passano i numeri del quotidiano Rilindja stampato nell’omonimo palazzo, scandendo il tempo della storia con un ritmo visivo che s’innesta in quello sonoro e luminoso. Un’installazione site-specific titanica di grande effetto. 

Cevdet Erek, Brutal times, 2022, installazione site-specific

Il Palazzo della Stampa Rilindja, la biblioteca Hivzi Sylejmani, l’ex fabbrica di mattoni riutilizzata dal collettivo raumlaborberlin come Centro di apprendimento urbano ecologico, una parte di un tratto ferroviario dismesso e ora trasformato in Green Corridor, il Grand Hotel Prishtina, simbolo del declino del sogno jugoslavo, sono alcune sedi della manifestazione, che in totale ne conta 26, in diversi casi luoghi abbandonati o decadenti o utilizzati in modo improprio, che Manifesta 14 recupera e trasforma attraverso interventi urbani e artistici. L’esperimento di urbanistica open source e l’uso dell’intelligenza artificiale per l’analisi dello spazio pubblico, un metodo utilizzato dalla Carlo Ratti Associati a Prishtina per la prima volta, hanno permesso di individuare questi spazi urbani e sociali, alla rivitalizzazione dei quali partecipano i cittadini, non sempre con successo: il corridoio verde mostra già alcuni segni di abbandono e degrado, mentre il centro di apprendimento eco-urbano sembra avere esaurito la sua spinta propulsiva. 

Il volume Public After All della Carlo Ratti Associati sottolinea l’aspetto pubblico e partecipativo del progetto, rivolto però a una comunità multietnica divisa da settarismi etnico-religiosi. La maggioranza albanese della popolazione del Kosovo è prevalentemente mussulmana e così anche le minoranze bosniache, gorani, turche e alcune comunità rom. La minoranza serba è principalmente ortodossa. Una piccola percentuale cattolica è composta da Albanesi e Croati.

Al quarto piano del Grand Hotel Prishtina sono proiettati i video Sin (2004) e Sin 2 – Dialogue in the dark (2022) di Driton Hajredini. Nel 2004, quando studiava arte a Münster, l’artista è entrato in un confessionale cattolico ponendo la domanda: “che peccato devono aver commesso gli Albanesi del Kosovo per essere immancabilmente puniti? L’essere nati in Kosovo potrebbe essere peccato sufficiente da meritare l’esclusione dall’Unione Europea e la restrizione di movimento?”. Nel 2022 Hajredini pone la stessa domanda riscontrando la circolarità di una narrativa che definisce claustrofobica. Una miscela infiammabile di religione e politica continua a spandersi nella regione. Presso il Center for Narrative Practice, l’artista Genc Kadriu, in residenza a Prishtina, sta componendo il quinto inno di una serie dedicata al canto bizantino, inteso come forma di riflessione spirituale e filosofica collettiva. Il Kosovo conserva la memoria di culture religiose diverse, che hanno accompagnato le trasformazioni sociali e politiche, dall’impero bizantino a quello ottomano, che ha lasciato la traccia più vistosa. 

La maggioranza mussulmana è composta da Sunniti di rito ḥanafita, ma anche da Bektashi, spesso confusi con gli Sciiti, tanto che la Repubblica Islamica dell’Iran ha fatto opera di proselitismo. Manifesta 14 sfiora i problemi posti dalla composita identità religiosa della comunità kosovara, in parte accantonati da una secolarizzazione che ha relegato l’esperienza spirituale a fatto privato anziché pubblico. 

Tra le pratiche di recupero e di riattivazione degli spazi pubblici inutilizzati o abbandonati potremmo inserire anche quel luogo che gli Ishrāqīyūn iraniani del XII secolo introdussero nella cultura islamica. Si tratta di uno spazio che non è situato perché di per sé situativo, un luogo intermedio tra il mondo dei sensi e quello dell’intelletto nel quale vivono come corpi sospesi le Immagini o le Forme immaginali. È il mundus imaginalis al quale lo  storico delle religioni e studioso di cultura islamica Henry Corbin ha dedicato il saggio Corpo spirituale e Terra celeste (Adelphi, Milano, 2002). Indipendente sia dall’occhio fisico che raccoglie le informazioni sensibili, sia dall’intelletto che le organizza in rapporto ai concetti, la facoltà immaginale genera visioni aperte sul futuro. Queste hanno un rapporto privilegiato con l’arte e la poesia.

Nel saggio I principì della forma (Einaudi, Torino, 2011, p. 184), Giuseppe Di Napoli segnala un legame di parentela tra il mondo immaginale “in cui può esistere la totalità delle forme e delle immagini” e il “mondo intermedio” di cui scrive Paul Klee in Diari, 1898-1918 (Il Saggiatore, Milano 1984, p. 161). Il luogo dal quale artisti e poeti traggono immagini e forme ha un rapporto con quello che gli Ishrāqīyūn introdussero nella cultura islamica e con i meccanismi simbolici di rinvio che fanno “apparire un segno in ogni sura” (Abdol-Karīm Gilī, Il viaggio dello straniero e il colloquio con Kheżr, in Corpo spirituale e Terra celeste, p. 165)?

When the sun goes away we paint the sky, 2022, © Petrit Halilaj, Photo © Arton Krasniqi

Di che natura sarà la visione che Petrit Halilaj esplicita con la frase: “Kur dielli të ikë, do ta pikturojmë qiellin – Quando il sole se ne andrà, dipingeremo il cielo” composta da un’insegna luminosa (l’artista s’ispira a una frase con la quale una dodicenne di Prishtina esprime la sua poetica visione del futuro)? Halilaj combina lettere esistenti con lettere addizionali, gioca con parole da scomporre e ricomporre e con le stelle del Grand Hotel Prishtina, trasformando un simbolo convenzionale, che indica la tipologia di servizio offerto dalla struttura alberghiera, in una immagine figurativa, in un cielo punteggiato da stelle. Questa immagine però è da sempre stata un simbolo di speranza e desiderio, come suggerisce il termine latino “de-sidere” (dal quale discende il nostro “desiderare”), composto dalla preposizione “de”, che indica il moto dall’alto verso il basso, seguita da “sidere”, ablativo di “sidus – stella”. Nell’opera di Halilaj le immagini s’impigliano nel linguaggio, oscillando tra il loro valore figurativo e quello simbolico, per esprimere il desiderio di un futuro migliore. Quella dell’artista kosovaro è una visione poetica che contribuisce a risignificare lo spazio urbano a Prishtina.

Nel contesto dei numerosi interventi artistici e urbani finalizzati a riqualificare spazi pubblici male utilizzati o abbandonati perché non considerare anche la necessità di rivitalizzare un luogo immateriale, dimenticato come gli altri? Stimolando un’immaginazione diversa da quella comunemente intesa, l’arte contemporanea a Prishtina potrebbe trovare un punto di contatto con un aspetto marginale (e per questa ragione degno di attenzione) della cultura islamica, che concorre a comporre la variegata identità kosovara, nella prospettiva di immaginare in un modo più esteso e complesso lo spazio pubblico e il suo futuro nel Kosovo

Luoghi abbandonati e rovine del socialismo jugoslavo e della controparte borghese, rappresentata dal modernismo, emergono in tutta la loro spettrale evidenza nel video Spider’s Envy / Zilia e Merimangës dell’artista Genti Korini, proiettato al sesto piano del Grand Hotel Prishtina. Nel saggio Labirintet e Modernizmit. Kritika e Estetikës moderniste, pubblicato nel 1978 a Tirana, lo storico dell’arte Alfred Uçi critica l’estetica modernista, che considera un prodotto della cultura borghese, legittimando la dottrina del realismo socialista, con l’inevitabile conseguenza di marginalizzare molti artisti che deviano dai dettami di questa dottrina. Nel video, Korini mette in relazione un file dei servizi segreti, riferito alla denuncia subita da un artista colpevole di non aderire all’estetica del realismo sociale, con la messa in scena neo-noir di un dialogo interiore di Uçi, ambientato in una labirintica rovina modernista. 

L’idea di rovina e fallimento ricorre in molti interventi artistici. L’ellissoide fluttuante che Lee Bul ha collocato nel Palazzo della Gioventù e dello Sport di Prishtina, per ricordare lo Zeppelin tedesco LZ 129 Hindenburg che alle 19:25 del 6 maggio 1937 prese fuoco e venne completamente distrutto, è un simbolo della vulnerabilità del pensiero utopico, di ciò che doveva essere grande e che invece si è rivelato un fallimento, del disastro sociale, politico ed economico di cui lo stesso edificio è testimone. 

Manifesta 14 investiga e promuove cambiamenti sociali, per l’attuazione dei quali i “mediatori creativi” confidano nel “potere trasformativo” che risiede nelle storie e nell’atto della narrazione stessa: “it matters what worlds world worlds: how to tell stories otherwise”, un gioco di parole (il sostantivo “world” è usato come un verbo) che si può tentare di tradurre con “quali mondi nascano dal mondo ha un mondo d’importanza: come raccontare storie in modo diverso”.

Willing to Be Vulnerable – Metalized Balloon  V4  2015, 2020 © Lee Bul. Photo © Manifesta 14 Prishtina, Ivan Erofeev

La storia che il memoriale ai Martiri Partigiani della seconda guerra mondiale richiama alla mente è stata offuscata dall’aggiunta (nel 1999) del cimitero dei soldati dell’Esercito di Liberazione del Kosovo e dalla tomba del presidente Ibrahim Rugova. Il memoriale è in uno stato di completo abbandono, nel contesto di uno sviluppo urbano che ricorda la periferia romana nei film di Pier Paolo Pasolini. Sislej Xhafa interviene nel memoriale assemblando una pompa di benzina fuori uso, una sedia, un caricabatterie a pannelli solari, un cellulare e un guardiano stipendiato, con lo scopo di fornire una narrazione alternativa, certamente antieroica. Un contro-monumento? Nel 2007 il New Museum di New York ha organizzato la mostra Unmonumental: The Object in the 21st Century. L’idea che la scultura non monumentale sia espressione di un presente instabile e precario, rappresentato in Unmonumental da opere tremanti e degradate, “non eroiche e [perciò] chiaramente non monumentali”, mostra il rovescio di una concezione convenzionale, riconducibile grosso modo all’idea che il monumento sia un’espressione della retorica visiva in forme iperboliche e celebrative. Il punto è un altro. Il monumento è un segno che assume per la collettività valore monumentale in quanto svolge la funzione di richiamare alla mente una narrazione condivisa. Ci si riappropria dello spazio pubblico (e della memoria riferita al luogo) attraverso delle narrazioni, in questo caso in conflitto tra loro.

Frosted pocket  , 2022 © Sislej Xhafa. Photo © Manifesta 14 Prishtina, Ivan Erofeev

La piazza Adem Jashari è uno di questi luoghi. Il Monumento agli Eroi del Movimento Nazionale di Liberazione della seconda guerra mondiale, qui eretto nel 1961, celebra la fratellanza dei vari gruppi etnici che hanno partecipato alla resistenza. La proposta di rimpiazzarlo con un monumento alla resistenza albanese ha alimentato un dibattito, sul quale l’artista Ugo Rondinone porta l’attenzione rivestendo la struttura in cemento armato e il gruppo di figure stilizzate che sta alla base con una pellicola colorata adesiva. Rondinone evidenzia la contesa, come quando si evidenzia una frase con un colore fluo. L’esperienza sensoriale di forma, colore e massa può contribuire a stimolare una riflessione critica utile a un cambiamento sociale e politico, come lo può fare anche l’ascolto di un canto monodico corale alla Galleria della Facoltà di Arte dell’Università di Prishtina.

Da alcune interviste e dichiarazioni di politici bulgari, Antoni Rayzhekov ha estratto i suoni inarticolati di disagio e incertezza, rimuovendo tutta la parte discorsiva. I resti acustici sono stati rallentati e organizzati ritmicamente allo scopo di ottenere un insieme sonoro che ricorda quello di un coro.

All’incertezza politica si accompagna un disagio sociale, accentuato dall’isolamento in cui si trova attualmente il Kosovo (sono pochi i Paesi nei quali i kosovari possono viaggiare senza richiedere il visto). L’azione Swap Keys ideata da Luz Broto mette in luce la difficoltà per gli abitanti di Prishtina di viaggiare e al contempo sollecita un gesto di fiducia nei confronti dell’altro, invitando abitanti e pubblico a scambiarsi le chiavi di casa (Çelësa Punues, Key Service, Str. Rexhep Luci, 20). L’azione fa parte della serie Mettersi al posto degli altri

Anche l’inadeguato riconoscimento dei diritti della donna contribuisce ad accrescere il disagio sociale nella regione balcanica. Per denunciare la condizione di subordinazione se non di vero e proprio asservimento della donna in questa area geografica, l’artista Šejla Kamerić costruisce delle ragnatele utilizzando la tradizionale tecnica del lavoro ad uncinetto per la realizzazione di centrini, che in Bosnia, Kosovo e Albania fanno parte del corredo di una sposa (il titolo dell’opera “Hooked” gioca sui vari significati del termine, che allude sia a un lavoro fatto all’uncinetto che all’essere affascinati, conquistati, attirati da qualcosa). 

A Prishtina l’arte è socialmente impegnata: investiga e promuove cambiamenti sociali coinvolgendo gli abitanti della città; sconfina nell’urbanistica e nell’architettura, legando la pianificazione urbana alla politica e ai diritti umani; promuove progetti ecosostenibili e processi di riconciliazione nella regione; utilizza lo storytelling come strumento di trasformazione sociale; rigenera il concetto di monumento; genera visioni aperte sul futuro.

Luz Broto, Swap Keys, 2022, azione
Šejla Kamerić, Hooked, 2010-ongoing, serie di lavori ad uncinetto in bianco e nero, installazione (nella sezione on transition al terzo piano del Grand Hotel Prishtina)