ATP DIARY

Il Manichino della Storia — MATA, Modena

[nemus_slider id=”48087″] —  Testo di Annalisa Malavolta Una vecchia canzone di Francesco Baccini esaltava la bellezza e l’intraprendenza delle donne di Modena e sembra che a distanza di tanti anni in questa cittadina del nord Italia non solo il gentil...

[nemus_slider id=”48087″]

— 

Testo di Annalisa Malavolta

Una vecchia canzone di Francesco Baccini esaltava la bellezza e l’intraprendenza delle donne di Modena e sembra che a distanza di tanti anni in questa cittadina del nord Italia non solo il gentil sesso abbia deciso di far parlare di sè. Tra le innumerevoli opere di ristrutturazione che hanno coinvolto il centro urbano modenese, rendendolo da qualche mese un vero e proprio cantiere a cielo aperto, una in particolare è salita agli onori della cronaca creando nuovi e importanti fermenti culturali.

Il vecchio complesso della Manifattura Tabacchi nasce nel 1513 come monastero per poi subire nel corso dei secoli numerosi reimpieghi come ospedale, magazzino di salnitro ed infine come fabbrica adibita alla produzione del tabacco. Tra la seconda metà del XIX secolo e il secolo successivo la manifattura fu una delle realtà industriali più sviluppate del territorio grazie a nuovi interventi strutturali che permisero di installare impianti di illuminazione e ventilazione e di creare spazi nuovi come l’infermeria, il refettorio e un asilo ante litteram. Dal 2002 la produzione si fermò e il disuso rese per molto tempo l’edificio fatiscente e muto fino al 2011 quando un’importante riqualificazione ha donato alla città nuovi spazi aggregativi e potenzialmente sfruttabili dal punto di vista culturale.

Al termine dei lavori di restauro, l’edificio presenta esternamente una grande piazza nella quale primeggiano al centro la grande ciminiera e il cavallo di bronzo di Mimmo Paladino dando all’ignaro flâneur il senso di essere catapultato in una piazza dechirichiana. Sulla facciata, invece, sono state collocate la fontana “Idolo della voglia” realizzata nel 1992 da Enzo Cucchi e la scultura in bronzo “Solitario” del 1988 di Sandro Chia. Le tre opere racchiudono gli intenti che si celano dietro al MaTa e alla sua prima mostra. La fontana rappresenta la dea madre, la terra che da vita ed energia, il cavallo è simbolo del passaggio, del continuo scambio tra passato e futuro e del valore del lavoro che trasforma il pensiero in tecnica ed infine la scultura del “Solitario” a raccontare la sofferta libertà dell’artista che mescola e reinterpreta la storia così come fa con la materia ed i colori.

E’ significativo, quindi, che la prima mostra che inaugura presso il neonato MaTa sia una carrellata di opere che provengono da grandi collezionisti modenesi a sottolineare non solo la passione che questa città ha per l’arte, ed in particolare per quella contemporanea, ma anche la volontà di andare oltre alla semplice mostra d’arte fatta di correnti mainstream e manipolazioni critiche. “Il Manichino della Storia. L’arte dopo le costruzioni della critica e della cultura” raccoglie nelle sale del complesso 88 opere tra dipinti, sculture, fotografie e installazioni realizzati fra gli anni Ottanta e i nostri giorni da alcuni dei protagonisti della scena artistica nazionale e internazionale. Jean-Michael Basquiat, Alighiero Boetti, Salvo, Nan Goldin, Shirin Neshat, Luigi Ontani, Cindy Sherman e Franco Vaccari sono solo alcuni degli artisti presenti in mostra che testimoniano l’importanza del collezionismo locale e permettono al grande pubblico di apprezzare le opere di alcuni esponenti dei più importanti movimenti contemporanei. Dal concettualismo alla Transavanguardia, dall’Arte Povera all’Iperrealismo passando per tutta la schiera di correnti artistiche che si stanno sviluppando in questi ultimi decenni, il curatore della mostra Richard Milazzo ha inteso questa esposizione come un momento di riflessione sul ruolo dell’arte e degli artisti oggi. Non a caso il rimando al manichino del titolo della mostra (ripreso da un quadro di Goya) è un chiaro riferimento a quanto l’arte oggi sembra non rivestire un ruolo attivo ma sia più dedita all’apparire e a subire le mode e le correnti del momento lasciandosi trascinare da una serie di convenzioni legate piuttosto al mercato e ai capricci curatoriali e museali. Un pensiero forte che apre uno scenario di riflessioni su quanto si sta facendo veramente per l’arte e quanto invece sia solamente “burocrazia culturale” e arte legata alle mode da passerella.

Dal 18 settembre 2015 al 31 gennaio 2016

www.mata.modena.it

Artisti in mostra: William Anastasi, Donald Baechler, Jean-Michel Basquiat, Carlo Benvenuto, Ross Bleckner, Alighiero Boetti, Jake and Dinos Chapman, Sandro Chia, Franceso Clemente, Gregory Crewdson, Enzo Cucchi, Gino De Dominicis, Nicola De Maria, Urs Fischer, Nan Goldin, Felix Gonzáles-Torres, Andreas Gursky, Peter Halley, Jenny Holzer, Mark Innerst, Alex Katz, Anselm Kiefer, Louise Lawler, Annette Lemieux, Robert Longo, Allan McCollum, Malcolm Morley, Vik Muniz, Takashi Murakami, Shirin Neshat, Luigi Ontani, Mimmo Paladino, Richard Prince, Thomas Ruff, David Salle, Salvo, Mario Schifano, Julian Schnabel, Andres Serrano, Cindy Sherman, Kiki Smith, Haim Steinbach, Philip Taaffe, Wolfgang Tillmans, Franco Vaccari, Meg Webster, Chen Zhen.

Mata,   via della Manifattura dei Tabacchi 83,   Modena
Mata, via della Manifattura dei Tabacchi 83, Modena

Introduzione alla mostra

La mostra Il manichino della storia: l’arte dopo le costruzioni della critica e della cultura pone domande a cui forse non è facile rispondere: come appare l’arte, come si definisce, dopo esser sopravvissuta alle pretese o alle richieste che le sono state fatte dai vari movimenti ‘critici’? Cosa è diventata l’arte dopo essere stata influenzata dal mercato nelle varie forme di aste, fiere d’arte, gallerie commerciali, collezionisti, consorzi aziendali?

Rispetto alle più sottili manipolazioni critiche e curatoriali della cultura, mi riferisco chiaramente ai ‘movimenti’ storici dell’arte oggi predominanti nel mondo dell’arte, come il postmodernismo, il multiculturalismo, il neo-concettualismo. Eppure non è ancora sufficiente per capire se l’arte potrà sopravvivere alle sue varie nomenclature critiche e alle burocrazie culturali, alle sue mode tanto intellettuali quanto commerciali. È una questione dell’arte che diviene, con tutte le sue successive trasformazioni, a ogni generazione o degenerazione, con tutte le nuove mode che orgogliosamente ostenta sulle passerelle del mondo dell’arte, un manichino, la serva stagionale del nuovo?

L’arte è stata trasformata in uno spettacolo, e di conseguenza, dentro questo spettacolo, l’arte è diventata un manichino. In Il manichino di paglia di Goya (1791-92), un fantoccio è lanciato in aria dalle celebranti, quattro ragazze che tengono tirato un lenzuolo. Il pretesto è una festa rurale e rustica, non molto diversa da questa EXPO di Modena o dalla Biennale di Venezia. Se leggiamo questa immagine allegoricamente, la realtà di base è che la figura del manichino-come-arte viene lanciata da tutti quelli coinvolti nella festa, nei giochi o negli spettacoli della critica e della cultura: il manichino è il curatore, il critico, l’artista, il gallerista, il collezionista, il direttore di museo? E chi sono le figure sotto che lo lanciano per aria, le case d’asta, un consorzio di collezionisti o di investitori, gli organizzatori di un’EXPO, di una Biennale di Venezia o una fiera d’arte?

In difesa di se stessa l’arte ha tentato di generare un meta-spettacolo, per contrastare le costruzioni o le macchinazioni della storia? In che modo l’arte si è formulata o concettualizzata non tanto per proteggersi ma quasi per eludere il suo fato, il suo destino come manichino della storia? Stiamo assistendo a un’arte-come-spettacolo o sono quelli che strepitano intorno a essa che stanno trasformando lo spettacolo in una forma di ‘arte’, generando lo spettacolo-come-arte?

L’arte è stata danneggiata e si è danneggiata da sola. Qualcosa è andato perso. Si sente nelle finzioni e affettazioni di quelli che la trattano con arroganza come puro investimento e persino di quelli che credono di muoversi su un più elevato terreno morale. L’arte non è più qualcosa da ammirare; è diventata solo qualcosa da trattare, culturalmente e/o commercialmente. Ma poi, alcuni artisti sono capaci di ripristinare la nostra fiducia, anche se solo momentaneamente, o così vogliamo credere. Alla fine, tuttavia, dobbiamo ironicamente lasciare allo spettatore la decisione: se tutto ciò è vero, se è possibile o meno.

Alex Katz,   Closed Open Closed Open,   2004 olio su tela | oil on canvas  122 x 564 cm Collezione privata | Private Collection,   Modena Photo: Rolando Paolo Guerzoni © Alex Katz by SIAE 2015
Alex Katz, Closed Open Closed Open, 2004 olio su tela | oil on canvas 122 x 564 cm Collezione privata | Private Collection, Modena Photo: Rolando Paolo Guerzoni © Alex Katz by SIAE 2015
Nan Goldin,   Self-Portrait in the Mirror,   The Lodge,   Belmont,   MA,   1988 Cibachrome 69,  5 x 101,  5 cm Fondazione MUSEION. Museo di arte moderna e contemporanea Bolzano. Collezione / Collection Enea Righi  Photo © Antonio Maniscalco
Nan Goldin, Self-Portrait in the Mirror, The Lodge, Belmont, MA, 1988 Cibachrome 69, 5 x 101, 5 cm Fondazione MUSEION. Museo di arte moderna e contemporanea Bolzano. Collezione / Collection Enea Righi Photo © Antonio Maniscalco
Gino De Dominicis,   Ritratto di Alessandra J.,   1997-98 olio su tela | oil on canvas 100 x 100 cm Collezione privata | Private Collection,   Modena Courtesy comitato scientifico Archivio Gino De Dominicis / © Gino De Dominicis by SIAE
Gino De Dominicis, Ritratto di Alessandra J., 1997-98 olio su tela | oil on canvas 100 x 100 cm Collezione privata | Private Collection, Modena Courtesy comitato scientifico Archivio Gino De Dominicis / © Gino De Dominicis by SIAE