Untitled, 2010
Frame da Never Sleep with a Strawberry in Your Mouth, 2010
***
Ho visto per ben due volte il film di Andro Wekua presentato al Castello di Rivoli nella sua mostra Neon Shadow, curata da Andrea Bellini. La prima visione di ‘Never Sleep with Strawberry in Your Mouth’, è stata un pò distratta, ho cercato di memorizzare i dettagli, i personaggi, le atmosfere. Nella seconda, invece, mi sono concentrata sul narrato. Un ragazzo/a si muove in un appartamento. Incontra dei personaggi, li sfugge. Atmosfere cupe, quasi terrorizzanti che, inevitabilmente, ricordano dei film horror, sia per montaggio che per i colpi di scena. Anche in quest’opera ci sono le tracce indelebili del passato dell’artista. C’è la sua città, ci sono i suoi ricordi, le sue ossessioni e drammi. Senza contare che già il titolo (Mai dormire con una fragola in bocca), suona come un monito… per qualcosa di grave che deve accadere. Il film visualizza il risveglio dopo aver dormito e ingoiato la fragola o invece, visualizza un sogno fatto avendo il frutto sulla lingua?
L’artista ambienta il film nella sua citt à, Suhumi (Georgia), ex-cittadina balneare, distrutta dopo la guerra e tutt’ora mezza abbandonata e fatiscente. L’artista sublima il luogo reale per trasformarlo in un teatro onirico, in un palco dove ritorna non per inscenare i suoi drammi ma per amplificarli, sublimarli. L’eterno ritorno al suo passato, fa si che Wekua tutte le volte tenti una nuova prospettiva con cui ricostruire momenti dolorosi, mai del tutto smaltiti. Morte, oblio, distruzione vengono visualizzati con colori cupi, primi piani paranoici e suoni improvvisi.
Dividerei il film in due parti, quasi come se fosse composto da due storie differenti. Il primo ha protagonista una figura androgina che, dopo aver osservato un bellissimo tramonto sul mare, rientra in casa e impaurito si muove nello spazio, cercando o scappando da qualcosa. Il secondo inizia con lo stesso protagonista intrappolato da personaggi/manichini in una stanza. Ad un certo punto entra una sorta di mostro (che poco c’entra con tutto il resto), compie alcune movimenti che, magicamente, fanno scomparire tutto. Svuotato lo spazio, il mostro si avvia verso il terrazzo per ammirare sempre un bellissimo tramonto che però, ospita anche degli strani delfini volatanti su delle piattaforme.
Come le opere su carta, Wekua sviluppa anche in questo film la tecnica del collage, sommando e incastrando quelli che nel tempo sono diventati i suoi archetipi visivi: stanze vuote semi al buio, manichini, oggetti di design demodè, colori saturi (rosso, viola, grigio, nero), ragazzi/e dall’età indefinita spesso mascherati o il cui volto e alterato.
Ho trovato questo film molto intenso e perfettamente coerente con il resto delle opere dell’artista. Unico appunto: il video è un po’ sacrificato sul monitor (forse era meglio una proiezione) ed è installato in una parete della stanza che non agevola la visione.
Il resto delle opere (un pò pochine…) fanno pendant con il video, che resta il pezzo forte dell’intera mostra.
Se siete a Torino, la mostra merita una visita… senza contare che, sempre al Castello di Rivoli, c’è la mostra di John McCracken: una delle più coinvolgenti mostre che ho visto ultimamente. Installata benissimo, ricostruisce con opere fondamentali il percorso dell’artista, rivelando la sua immensa capacità di visualizzare la parte più spirituale e trascendentale della materia-colore.
L’artista ambienta il film nella sua citt à, Suhumi (Georgia), ex-cittadina balneare, distrutta dopo la guerra e tutt’ora mezza abbandonata e fatiscente. L’artista sublima il luogo reale per trasformarlo in un teatro onirico, in un palco dove ritorna non per inscenare i suoi drammi ma per amplificarli, sublimarli. L’eterno ritorno al suo passato, fa si che Wekua tutte le volte tenti una nuova prospettiva con cui ricostruire momenti dolorosi, mai del tutto smaltiti. Morte, oblio, distruzione vengono visualizzati con colori cupi, primi piani paranoici e suoni improvvisi.
Dividerei il film in due parti, quasi come se fosse composto da due storie differenti. Il primo ha protagonista una figura androgina che, dopo aver osservato un bellissimo tramonto sul mare, rientra in casa e impaurito si muove nello spazio, cercando o scappando da qualcosa. Il secondo inizia con lo stesso protagonista intrappolato da personaggi/manichini in una stanza. Ad un certo punto entra una sorta di mostro (che poco c’entra con tutto il resto), compie alcune movimenti che, magicamente, fanno scomparire tutto. Svuotato lo spazio, il mostro si avvia verso il terrazzo per ammirare sempre un bellissimo tramonto che però, ospita anche degli strani delfini volatanti su delle piattaforme.
Come le opere su carta, Wekua sviluppa anche in questo film la tecnica del collage, sommando e incastrando quelli che nel tempo sono diventati i suoi archetipi visivi: stanze vuote semi al buio, manichini, oggetti di design demodè, colori saturi (rosso, viola, grigio, nero), ragazzi/e dall’età indefinita spesso mascherati o il cui volto e alterato.
Ho trovato questo film molto intenso e perfettamente coerente con il resto delle opere dell’artista. Unico appunto: il video è un po’ sacrificato sul monitor (forse era meglio una proiezione) ed è installato in una parete della stanza che non agevola la visione.
Il resto delle opere (un pò pochine…) fanno pendant con il video, che resta il pezzo forte dell’intera mostra.
Se siete a Torino, la mostra merita una visita… senza contare che, sempre al Castello di Rivoli, c’è la mostra di John McCracken: una delle più coinvolgenti mostre che ho visto ultimamente. Installata benissimo, ricostruisce con opere fondamentali il percorso dell’artista, rivelando la sua immensa capacità di visualizzare la parte più spirituale e trascendentale della materia-colore.