Idealmente vorrei tirare un filo invisibile tra due artisti lontanissimi, ma il cui immaginario, nella mia lettura, si sovrappone. La distanza siderale del loro vissuto non è né paragonabile né evidente per tratti comuni. Sono diversi, opposti e inconciliabili, ma uno scherzo visionario me li ha posti uno sopra l’altro per cromie, forme aggraziate e strane distorsioni della figura. Vi svelo come la ricerca espressa nell’ultima produzione di Bea Bonafini (1990), mi abbia ricordato lontani studi di storia dell’arte, portandomi alla mente gli affreschi pirotecnici e scenografici di Gian Battista Tiepolo (1696 – 1770). Un azzardo? Forse.
Ho davanti due opere della giovane artista, Hottest Blood, 2024 e Picnic Lunch, sempre del 2024, esposti nella sua personale Luminescence, ospitata fino al 14 settembre alla galleria Renata Fabbri di Milano. Due opere impegnative per la complessità compositiva, ma non solo, anche per la eterogenea tecnica esecutiva che vede l’artista sperimentare un tipo di pittura sfumata e piena di velature. Simili per formato e tecnica, queste due opere possono essere considerate come speculari, dove la lotta tra una donna e un essere informe fa da riflesso ad un altro tipo di lotta, quella amorosa sempre tra una donna e un’altrettanto ambigua figura sia maschile che animale. Opacità e riverberi, forme frammentate e a incastro, svelano nascondendo, raccontano sottraendo dettagli.
Queste figure astratte – ma intendere etimologicamente come ast-trarre, trarre fuori – sembrano sublimare da una realtà che si perde nella notte dei tempi, dove realtà e narrazione, sembrano inabissarsi in un ideale mare primigenio che svela quanto l’artista attinga tanto da leggende orientali e mediterranee quanto da immagini archetipiche.
E sono proprio queste due opere che mi ricordano la “Caduta degli angeli ribelli” al Palazzo Patriarcale di Udine, dipinto dal Tiepolo attorno al 1728. Ma potrei citare anche le armoniose complessità dei moduli compositivi degli Affreschi della residenza di Wurzburg, più tardi (1746-47). Omologhi per l’ intensità luminosa degli accostamenti cromatici e per un gusto latamente scenografico.
La prorompente vitalità nello slancio delle composizioni, nelle opere di Bonafini si trovano anche piccole sculture. Anche in questo caso l’artista ne espone due, quasi che un concetto affascinate debba essere ribadito – riflesso – due volte per moltiplicare in modo esponenziale ala sua forza.
Eukarya (2024) e How One We Grow (2024) sono due sculture in ceramica che, scopriamo, alludono al racconto di Clarissa Pinkola Estes ‘Pelle di Foca, Pelle d’Anima’. In questo scritto si racconta la profondità del simbolismo della donna-foca. La fusione dell’animale e della donna rappresenta l’anima selvaggia, il contatto con la forza interiore, con la concretezza del mondo, con lo spirito. Ecco che le forme in ceramica descrivo questa fusione e dualità con forme antropomorfe che sembrano sciogliersi alla vista. Piccoli esseri sembra liquefarsi gli uni sugli altri, per dare vita a quella che sembra una grande conchiglia o ad un onda magicamente congelata nell’atto di infrangersi tra gli scogli.
Anche i colori, vanno in How One We Grow, dal blu blu ceruleo a una carta da zucchero, mentre le tonalità di Eukarya partono dal un rosa scusa per sfumare verso giallo arancio. Le gradazioni esaltano piccoli volti a volte appena tratteggiati a volte più evidente.
La stessa fusione di corpi, la ritroviamo anche nel collage a parete su sughero Soulskin (2024), dove le figure ibride sembrano precipitare nel rosso-arancio di un liquido amniotico. Come piccole formelle di medioevale memoria (misurano 25 x 25 cm), i due dipinti su sughero che chiudono simbolicamente la mostra sono Ama (2024) e Ablaze (2024) che mostra, immersi un un fluido magmatico rossoarancio, una serie di corpi intrecciati dove nell’armonia dei muscoli testi, potremmo vedere un aggrovigliarsi di budella e organi pulsanti. Intrecci e sovrapposizioni sono rappresentati attraverso quelli che sembrano tocchi veloci di pennello, striature appena accennate di blu, viola azzurro e giallo.
Visionaria e colta, controllata ma anche propensa verso un’istintiva capacità segnica, Bea Bonafini da prova, anche in questa mostra di possedere uno stile e un repertorio iconografico fortemente originali. Aiutano in queste sue rappresentazioni magico simboliche le ricerche sperimentali dell’artista indirizzate vero tecniche ibride, vicine all’artigianato manuale che l’artista scopre nelle sue continue e approfondite ricerche.