E’ il “paesaggio” il tema cardine della mostra che inaugura stasera nell’ ex monastero di Astino a Bergamo del grande maestro della fotografia Luigi Ghirri. In mostra 40 fotografie, soprattutto vintage prints e projects prints, che raccontano “il paesaggio della memoria e della favola, un paesaggio di figure nascoste e di prodigi. E Astino – luogo che senz’altro Ghirri avrebbe amato e scelto per i suoi scatti – rappresenta la sintesi di tutto questo.” Ossessione o attrazione amorosa, Ghirri ha immortalato alcuni luoghi della sua terra in un modo, al tempo stesso, indimenticabile e discreto. Per l’occasione è stato realizzato un catalogo da Silvana Editoriale. Le immagini proposte in questo volume che risalgono soprattutto agli anni settanta e ottanta, formano una sorta di mosaico organico dei tratti principali del lavoro di Ghirri: interni ed esterni, campagna e città, presenza umana e minerale, architetture urbane e luoghi della vita quotidiana, fotografie di fotografie.
Alcune domande a Corrado Benigni e Mauro Zanchi, curatori della mostra.
ATP: State curando la mostra “Luigi Ghirri. Pensiero Paesaggio”, presentata come un progetto dal “percorso inedito”. Premesso che Ghirri è stato consacrato in tantissime mostre, sia monografiche che dal preciso taglio curatoriale, cosa aggiunge o approfondisce questa mostra ad Astino?
Corrado Benigni e Mauro Zanchi: Rispetto alle numerose esposizioni dedicate a Ghirri, in questo progetto abbiamo cercato di mettere in relazione le sue fotografie e il suo immaginario con l’idea del pensiero-paesaggio e dell’arte combinatoria, ovvero con il travaso continuo tra interiorità e mondo, soffermandoci a rilevare nei testi del catalogo da una parte le parentele con la poesia di Andrea Zanzotto e Giacomo Leopardi, e dall’altra la concatenazione di rimandi iconologici con le opere d’arte dei suoi pittori prediletti. Abbiamo provato a immedesimarci nella mente di Ghirri e vedere come il paesaggio del suo pensiero si riflettesse all’esterno, e come la fotografia rappresentasse il punto focale dell’incontro di queste due dimensioni.
ATP: Lo spazio espositivo, l’ex monastero di Astino, è molto pregno di storia e cultura. Come dialogano le foto di Ghirri con lo spazio?
CB / MZ: Il complesso monumentale di Astino testimonia connotazioni e utilizzi diversi nel corso della storia. Dal XII secolo fino alla soppressione napoleonica nel 1797 l’ordine benedettino dei Vallombrosani ha svolto vita monastica. Poi l’ex monastero è stato adibito a ospedale. Successivamente è divenuto manicomio, abitazione di agricoltori e cascina. Negli ultimi decenni era caduto in uno stato di abbandono e degrado, quasi dimenticato in un contesto naturalistico molto pittoresco, fino all’intervento di restauro voluto dalla Fondazione Mia di Bergamo. Lo spirito del luogo è denso di tracce, segni di passaggio, memorie. Le sale dove abbiamo allestito la mostra mostrano ancora tracce del tempo, segni sui muri e sugli intonaci, patine e abrasioni sugli antichi pavimenti in cotto. Queste stanze della memoria sarebbero sicuramente piaciute a Ghirri. Il dialogo tra le sue fotografie esposte e gli spazi che le ospitano avviene in modo naturale. Le fotografie si sono adattate agli spazi e viceversa.
ATP: La mostra ha come tema il paesaggio, topos sviscerato dal fotografo in modo intimo, quotidiano, direi crepuscolare a volte. Sempre nella presentazione della mostra si ipotizza che se Ghirri avesse conosciuto questa località, l’avrebbe amata e resa protagonista dei suoi scatti. Per quale motivo, a vostro parare, Astino gli sarebbe piaciuta?
CB / MZ: Non c’è luogo che non possa dialogare con la fotografia di Ghirri, perché la sua articolata ricerca ha toccato innumerevoli tematiche e temi. La sua opera non ha mai cercato il “bello”, nel senso del pittorico e dell’oleografico, anche se l’ha sempre evocato, ricercandolo invece lì dove si suppone latente, inscritto sul rovescio. Ghirri ha sempre prediletto luoghi familiari, già guardati, ma per la prima volta visti con occhi diversi, dove tutto è sospeso fra passato e futuro, e dove il mondo può essere immaginato come una visione che dà ancora stupore. Questo è il suo pensiero-paesaggio.
ATP: In mostra ci sono 46 scatti, soprattutto vintage prints e projects prints. Avete suddiviso o impostato il percorso espositivo in un modo specifico? Quale?
CB / MZ: Ci sono quattro spazi nella mostra. Abbiamo mantenuto un ordine cronologico. Nelle prime due stanze sono esposte le fotografie vintage degli anni Settanta, dove sono presenti anche sedici immagini selezionate da Luigi Ghirri per Kodachrome (1978), il primo libro pubblicato dall’artista emiliano. Nella terza vi sono scatti riferiti alla natura morta e allo studio di Giorgio Morandi. E nell’ultima grande sala sono raccolti 21 project prints, dove compaiono riferimenti alle molteplici indagini nel paesaggio, nelle campagne e nelle città, con incursioni nei musei, negli interni delle case, nei teatri, negli studi di Aldo Rossi e di Morandi, nelle sale prove dei CCCP, nella reggia di Caserta, nelle spiagge.