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Lucy McKenzie, La Kermesse Héroïque | Intervista con il curatore

[nemus_slider id=”65916″] “L’intimo spazio della Fondazione Bevilacqua La Masa si rende ospite e ambasciatore di contrasti armoniosi: l’opposizione della scultura di esterni con quella di interni, come quella di arte grafica e pittura.” Protagonista è Lucy McKenzie nella mostra La Kermesse Héroïque, ospitata negli spazi di Palazzetto Tito fino al 10 settembre (Dorsoduro 2826, Venezia). Aperta al […]

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L’intimo spazio della Fondazione Bevilacqua La Masa si rende ospite e ambasciatore di contrasti armoniosi: l’opposizione della scultura di esterni con quella di interni, come quella di arte grafica e pittura.” Protagonista è Lucy McKenzie nella mostra La Kermesse Héroïque, ospitata negli spazi di Palazzetto Tito fino al 10 settembre (Dorsoduro 2826, Venezia). Aperta al pubblico nelle frenetiche giornate pre-Biennale, la mostra è a cura di Milovan Farronato e ha il sostegno, oltre che della Fondazione Bevilacqua La Masa, di Fiorucci Art Trust.
Come ci racconta nell’intervista che segue il curatore, la McKenzie si ‘accorda’ con la città di Venezia proponendo una serie di opere che approfondiscono svariate tematiche. Scorrevole e puntuale, ma al tempo stesso elusivo (e suggestivo) Farronato ci introduce nella ricerca dell’artista inglese, raccontandoci non solo il progetto che porterà a Venezia, ma anche soffermandosi in altri ambiti del suo lavoro, come le collaborazioni della McKenzie con Lucile Desamory, Laurent Dupont e Beca Lipscombe; con quest’ultima ha fondato il marchio di moda Atelier E.B.
Continua il curatore:I quadri in mostra rappresentano una collezione di immagini che le piacciono, di suggestioni e tracce raccolte tra l’aeroporto di São Paulo e le stazioni ferroviarie delle città dell’Est Europa, registrate dalla stessa McKenzie o inviatele da qualcuno. Attraverso l’appropriazione di materiale iconografico Lucy sa raccontarci l’importanza della storia e dei suoi reperti, pur senza toglierli all’umanità.”

Segue l’intervista con Milovan Farronato —

ATP: Hai già lavorato in passato con Lucy McKenzie. Ricordo la vostra collaborazione in occasione del Progetto “Evil Under the Sun”, per la terza edizione di Volcano Extravaganza nel 2013. Ora presenti l’artista in una mostra legata alla pittura. Mi introduci come la McKenzie indaga il linguaggio pittorico soprattutto in relazione alla scelta di utilizzare tecniche grafiche commerciali come il trompe-l’oeil, lo stencil e la produzione di insegne?

Milovan Farronato: È vero che la mostra si inscrive, come tu dici, in una serie di esposizioni dedicate alla pittura in tutte le sue molteplici sfaccettature, che anche Lucy McKenzie interpreta. Ne La Kermesse Héroïque McKenzie finge pitture pre-esistenti in ogni stanza di Palazzetto Tito, murales con mappe e scene riprese e variate da dipinti esistenti in luoghi pubblici, come aeroporti o stazioni dei treni. Luoghi dove un tempo si iscrivevano narrative che a un pubblico generico dovevano infondere e trasmettere un’idea di piacevolezza, di bello? Ora questi luoghi e i loro decori valgono solo per la loro intrinseca funzionalitá. Lucy ne ha ripresi alcuni e li ha ovviamente variati. Un solo murales astratto, per di più vandalizzato: lei dice: “se dipingo una pittura astratta, mi interessa il ‘danno’!”. Abbiamo poi la mappa dell’Europa e il suo bacino con i relativi confini, il Nord Africa, i mari, le isole, alcuni contornati d’oro, altri no, che si offre come illuminazione dell’atrio d’ingresso. Le città principali infatti, a sua discrezione, in posizioni verosimili (ma dubito che il Cairo sia effettivamente dove è stato indicato, ma forse lei intendeva Gaza) sono indicate da una costellazione di varie conchiglie estradossate rispetto alla superficie del quadro. Ognuna nasconde un piccolo LED, mentre sul lato destro della tela, tutta dipinta a stencil per ricreate l’effetto ‘terrazzo’ (piú foglia d’oro), vi è un piccolo interruttore di ottone per accendere la magia dell’inaspettata illuminazione. La pittura nella mostra diventa anche scultura tratta da un monumento pubblico esistente (per esterno), questa vola restituito in marmo chiaro, chiarissimo, per interno.
L’intimo spazio della Fondazione Bevilacqua La Masa si rende così ospite e ambasciatore di contrasti armoniosi: l’opposizione della scultura di esterni con quella di interni, come quella di arte grafica e pittura. Quella stessa pittura che diventa poi leotard nel rivestire i manichini, rinforzandone la presenza scenica, come anche nel caso del tavolino che accoglie scatole di cioccolata e sigarette. Tra questi emblematici orpelli tipici della decorazione d’interni, alcuni fingono di essere reali mentre altri vengono posti su un piedistallo, presentandosi quindi come attori della storia del design, piuttosto che storia della pittura.

ATP: A cosa fa riferimento il titolo “La Kermesse Héroïque” (Il Carnevale Eroico)?

MF: Per la prima volta, ne sono al corrente. Ma non te lo posso dire. I processi di McKenzie si schiudono da una situazione all’altra, sino a che il punto di partenza e la fine diventano inscindibili. Diciamo che il Carnevale è un bel concetto e che poi, trovandosi a Venezia, diventa appropriato, quasi pleonastico. In una città così dice Lucy: “non potevo che concepire una mostra sul piacere degli occhi”. Sarà comunque un travestimento? 

ATP: Nella ricerca di Lucy McKenzie si evince la notevole rilevanza delle arti applicate. Oltre all’aspetto pratico, c’è anche un aspetto concettuale a cui l’artista ambisce? Mi riferisco alla sua esplorazione delle arti applicate come veicolo per enunciare “una storia alternativa alle narrative dominanti”.

MF: Una delle idee di Lucy rispetto alla pittura è che il mezzo pittorico in quanto tale sia una forma di réclame. Questa concezione include anche la pittura astratta, in quanto percepita come istigatrice, nello spettatore, di una brama per quell’elemento che è il dipinto di per se come oggetto. Paradossalmente, la conclusione del ragionamento è che la pop art sia l’unico tipo di pittura che non è pubblicità, dal momento che essa stessa si focalizza sull’advertising. Ma mi sono perso! Diciamo che McKenzie crea quella che è appunto una tradizione alternativa, inventando un non-stile tutto suo e ampliandolo attraverso collaborazioni, come nel caso de “The Girl who follows Marple”: un film breve che sponsorizza, sulla falsa riga di una pubblicità informativa a episodi, un particolare marchio di coppa mestruale e che esplicita determinate tipologie di sostegni commerciali attraverso una formalizzazione familiare, quella dei thriller fatti per la televisione e la connivente dimensione voyeuristica, implicata dalla collaborazione con Richard Kern. Ancora una volta questo lavoro diventa in parte vetrina per il marchio Atelier E.B.. Pertanto, credo che il contesto di un’istituzione artistica intesa come department store, piuttosto che l’utilizzo delle arti applicate o delle tecniche grafiche tradizionalmente impiegate in contesti commerciali, abbia perfettamente senso in termini di narrativa alternativa. Valevole di menzione in questo senso la sua mostra tutta in vetrina, su tre piani, presso il museo d’arte contemporanea di Oostende (il cui edificio era precedentemente un department store).

Lucy McKenzie, Gent Sint Pieters Oil on canvas 2017 All photos by: Kristien Daems Courtesy of the artist
Lucy McKenzie, Gent Sint Pieters, Oil on canvas 2017 – Photos by Kristien Daems – Courtesy of the artist

ATP: L’artista ha fondato – con Beca Lipscombe – il marco di moda Atelier E.B.. Ci sono delle analogie o degli aspetti di questa sua attività che si ritrovano anche nelle sue opere? C’è, a tuo parere, una visione inscindibile tra i due ambiti?

MF: Facciamo mente locale. Lucy firma anche delle opere pittoriche con Beca: degli screen, o paraventi, con cui divide gli spazi nei pop-up shop dove solitamente vengono presentate le collezioni dell’atelier. Sono delle mostre? Direi di sì. Alla Fondazione Bevilacqua La Masa, come ti dicevo, ci sono anche dei gioielli. Insieme, firmano i vestiti, mentre alcuni dipinti sono firmati solo da Lucy, che porta avanti delle collaborazioni anche con Lucile Desamory: per un suo passato film, ABRACADABRA (2013) aveva realizzato e dipinto alcune scenografie, oltre che recitato, nel ruolo del fantasma. Di nuovo sarà attrice nel prossimo film di Desamory, ora in produzione. Inoltre ha collaborato recentemente in alcune mostre con Laurent Dupont per cui, semplicisticamente detto, ha costruito delle strutture portanti: tavoli, colonne, isole con ripiani sulle quali lui ha poggiato oggetti di design, quali candelabri, ciotole, vasi dipinti a colori vivaci. L’atelier E.B. è parte inscindibile del lavoro di McKenzie. Rispetto ad altre collaborazioni ha preso molto più spazio e piede. Quasi fosse una tipologia di intervento che continua a seguire e che ha avuto un inizio, uno sviluppo, una continuazione… così come forse, o forse no, avrà una conclusione. So che Lucy sta preparando una mostra per il prossimo anno dove l’Atelier ed i suoi concetti fondanti, che includono anche riflessioni sul display, scenografia e sceneggiatura, verranno messi in luce.

ATP: Spesso l’artista, con le sue opere, ha mosso delle critiche al sistema dell’arte contemporanea. A cosa fa riferimento e cosa non condivide?

MF: Non so esattamente a cosa fai riferimento tu, a quali critiche ti rivolgi. Faccio delle ipotesi. Pensi magari che le esclamazioni impresse sulla rotonda del Padiglione Italia della Biennale di Bonami nel 2003 fossero una critica? Io so solo che Lucy non era riuscita neppure ad arrivare a Venezia e che quel murales fu dipinto da Enrico David (e che, in ritorno, lei dipinse proprio nel merito dell’edizione di Volcano Extravaganza che co-curammo nel 2013, appunto il murales che Enrico David non riuscì a fare perché non arrivò in tempo a Stromboli). I murales sono ora parte fondamentale della pratica di McKenzie, e quindi forse andrebbero visti come punto di partenza più che critica. Anche nel contesto della Fondazione Bevilacqua La Masa alcuni lavori simulano di essere dei murales, aderendo come una seconda pelle alla parte e alcuni murales vengono addirittura dipinti a ridosso di altri, in un trompe-l’œil, una mise en abyme…

Pensi che sia stata polemica a rifiutare – si dice più di una volta – il Turner Prize? L’ho letto da qualche parte, non lo so per certo. O forse invece era troppo giovane e non voleva essere over esposta.

Certo credo sia vero che Lucy abbia preferito per molto tempo gli spazi alternativi, indipendenti, i contesti empatici più che le burocrazie di certe istituzioni. L’ho invitata su un’isola remota, l’ho invitata ad esibire nel gabinetto dei maschi del George&Dragon per l’anniversario del White Cubicle, ora la invito ad esibire in un’istituzione storica: la nostra collaborazione cresce e si struttura.

In un suo quodlibet realizzato pochi anni fa, Quodlibet XXVI (Self Portrait), Lucy ha dipinto una fina, illusoria lastra di sughero dove, come un appeso, manifesto e autoritratto, se ne stava un’email che lei scrisse ai due curatori (i cui nomi sono stati cancellati) di una mostra all’ICA e dove introduce uno statement che fa luce sulla sua posizione, sempre per il principio del dire non dicendo, attraverso l’espressione di disaccordo rispetto ad una situazione di appropriazione che vedeva l’artista protagonista (censurato anche lui) intenzionato ad utilizzate degli scatti dove Lucy appare nuda.

“ […] Il fotografo Richard Kern mi ha scritto di recente che un artista di nome XXX l’ha contattato per chiedergli alcune delle sue riviste porno che contengono sue foto di me, per usarle in un lavoro su di me e Cosey, per una mostra con voi a XXX. Questo artista non ha contattato me, e Cosey, quando l’ho chiamata, non ne sapeva nulla. Non ho un suo contatto email quindi mi rivolgo direttamente a voi in qualità di curatori de XXX. Anche se queste foto sono di pubblico dominio, e certo non mie ‘opere’ per cui potrei aspettarmi un avviso rispetto al loro utilizzo in una mostra, mi sento tuttavia nella posizione di poter dire qualcosa. Il suo desiderio di appropriare le immagini è chiaramente ispirato dal fatto che anche io sono un’artista. La connessione tra Cosey, Richard e me è qualcosa che abbiamo creato noi, e non una sua scoperta. Se la faccenda andrà avanti, queste foto pornografiche del mio corpo con il loro indiretto collegamento a Cosey saranno messe a servizio di un artista maschio che aggira le donne coinvolte per avere solo a che fare con il pornografo. Questo sarebbe di conseguenza un esempio dell’inerente sessismo e adesione di facciata ad un ‘discorso’ contro il quale io mi posiziono. […] “

Lucy McKenzie, Painted boxes Oil on canvas, oil on wood 2016/ 2017 All photos by: Kristien Daems Courtesy of the artist
Lucy McKenzie, Painted boxes, Oil on canvas, oil on wood 2016/ 2017 – Photos by: Kristien Daems Courtesy of the artist

ATP: In merito ai dipinti in mostra al Palazzetto Tito, l’artista espone delle opere caratterizzate da diversi stili e dimensioni. Mi spieghi come varia la tipologia dei quadri che presenta?

MF: Prendo in prestito le parole di Martin McGeown, direttore della galleria Cabinet a Londra, che rappresenta il lavoro di Lucy: “Con un’artista come Lucy tutto è progetto concettuale: pertanto, lo stile cambia costantemente ed è proprio questo trasformarsi che rappresenta al meglio la sua pratica, questo muoversi attraverso i campi di rappresentazione, i linguaggi differenti della pittura e della presentazione, del contesto e delle specifiche del luogo in cui opera. È infatti tale questione tra mezzo pittorico e contesto che distingue il lavoro di Lucy, dal momento che la pittura viene tradizionalmente guardata come qualcosa di trascendente, mentre penso che Lucy la ritorni sempre al suo ruolo materico, sociale, storico e commerciale. Che poi è la ragione per cui mi sento di dire che il suo lavoro è così importante.” Dal mio canto aggiungo che i quadri in mostra rappresentano una collezione di immagini che le piacciono, di suggestioni e tracce raccolte tra l’aeroporto di São Paulo e le stazioni ferroviarie delle città dell’Est Europa, registrate dalla stessa McKenzie o inviatele da qualcuno. Attraverso l’appropriazione di materiale iconografico Lucy sa raccontarci l’importanza della storia e dei suoi reperti, pur senza toglierli all’umanità (e quindi copiando un’estetica, non comprandola, non esiste nessuna fiera antiquaria, alcun gabinetto delle curiosità, quanto una pletora di ispirazioni). Nell’appropriazione ovviamente ci sono degli interventi, vandalismo volontario o licenza poetica, se ne potrebbe parlare a lungo… però ora soprassiedo, dato che non me lo hai chiesto…

ATP: Oltre ai dipinti ci sono anche delle installazioni: dei manichini dipinti a mano, le cui teste sono state sostituite dai busti di Donatello raffiguranti Giovanni Battista e ‘vestiti’ grazie al trompe-l’oeil con aderenti tute da ginnastica. Mi racconti come nascono queste opere e il loro significato?

MF: Un atteggiamento di Lucy è quello di lasciarsi dietro delle tracce pur rimanendo elusiva: le piace il giallo, come anche comprovato nel suo portare elementi della letteratura di Agatha Christie a Stromboli nel 2013, nel corso dell’edizione di Volcano Extravaganza già abbondantemente menzionata (Evil Under the Sun). Le piacciono i processi e le soluzioni alternative ai casi irrisolti. Lei stessa ha scritto un libro noir. Per rispondere alla tua domanda, rimango a mia volta elusivo per rispettare questo suo analogo temperamento, l’arte del dire, non dicendo. Forse allora potrei dirti che Lucy McKenzie voleva semplicemente restituire a Giovanni Battista la sua testa? O forse stave semplicemente riflettendo sull’idea di display, dato che si è parlato di arte e arti applicate e il manichino fa senza dubbio parte della storia del display… e lei non fa display qualunque. Inizialmente i manichini dovevano essere vestiti ma ora indossano solo gioielli di Atelier E.B. – e i loro vestiti sono dipinti. Saranno forse quelle stesse uniformi che McKenzie dipingeva per le sue atlete poco dopo aver finito l’accademia? Olimpiadi Monaco 1976, team Russo? Sembrerebbe proprio, almeno uno dei due, il battista con testa e seno e nella versione più adulta (sempre generosamente offerta un tempo che fu da Donatello).

Lucy McKenzie, Map with shells Oil and gold leaf on canvas stretched on wood, shells, lights 2017 All photos by: Kristien Daems Courtesy of the artist
Lucy McKenzie, Map with shells, Oil and gold leaf on canvas stretched on wood, shells, lights 2017 – Photos by Kristien Daems Courtesy of the artist
Lucy McKenzie, La Kermesse Héroïque - Installation view, Palazzetto Tito, Venice 2017 - Foto Markus Proschek
Lucy McKenzie, La Kermesse Héroïque – Installation view, Palazzetto Tito, Venice 2017 – Foto Markus Proschek