Il titolo è derivato da una reazione chimica che avviene in natura, dove degli enzimi, a contatto con l’ossigeno, danno vita a processi di bioluminescenza. Con l’opera Luciferasi, Alberto Tadiello ha vinto l’edizione 2022 di ALA Art Prize, un progetto di ALA For Art. L’opera di Alberto Tadiello – selezionata dal Comitato Scientifico composto da Giovanni Carmine, Eugenio Viola e Alessia Volpe – è stata presentata negli spazi dell’azienda ALA Spa lo scorso 15 settembre. Per questa occasione abbiamo posto alcune domande all’artista in merito alle intuizioni che hanno dato vita all’opera, il suo funzionamento, il rapporto con i processi che avvengono in natura e, non ultima, la sua fondamentale relazione con i meccanismi digitali e logistici della stessa azienda.
Elena Bordignon: Ho sempre pensato che il tuo lavoro sia il frutto di un’intuizione viscerale sommata ad una lunga elaborazione tecnica. Indagando molti aspetti effimeri – il suono, la luce, la natura stessa nella sua complessità e mutabilità – trovo affascinante il percorso che ti porta a formalizzare le tue opere. In merito a Luciferasi, mi piacerebbe che mi raccontassi la prima intuizione, il livello zero da cui sei partito per questa opera.
Alberto Tadiello: Il livello zero di questo progetto è proprio una manifestazione luminosa, tanto semplice quanto complessa, che intercetto ogni inizio estate appena dietro il mio studio. Al limitare di un torrente, in maggio-giugno all’imbrunire, sciami di lucciole popolano e invadono il sottobosco ad altezza uomo. Sono uno spettacolo incantevole e meraviglioso. L’impressione visiva è simile a quella di un’allucinazione di natura emicranica, punteggiata di fosfeni, che attraversa il campo visivo come in preda a una vertigine.
EB: Luciferasi – titolo dell’opera – è mutuato da un processo naturale legato alle lucciole o dei girasoli. Concretamente come hai trasformato la poetica luminescenza delle lucciole in un’opera?
AT: Luciferasi, in biochimica, è il nome di un enzima coinvolto nei processi di bioluminescenza, presente in diversi organismi viventi. La produzione di luce è ottenuta per ossidazione, in presenza di ossigeno, di una sostanza chiamata luciferina. L’esempio più conosciuto è quello delle lucciole, dove anche le larve, le ninfe e talvolta le uova sono luminescenti, ma è fenomeno presente anche in alcuni batteri, pesci, molluschi…
Molto suggestivo è il fatto che l’energia liberata dalla reazione chimica si trasforma interamente in luce, senza alcun spreco di energia in calore. È una luce fredda, pura. Le lucciole utilizzano questo sistema di emissioni intermittenti in modo estremamente preciso: il maschio emette un lampo di luce ogni 5 secondi e 8 decimi, la femmina da qualche stelo o a terra, risponde esattamente con un lampo dopo 2 secondi e 1 decimo. Tale precisione evita la confusione nello sciame, non essendovi alcuna differenza di colore.
È impressionante come per un occhio umano questo sfarfallio indistinto sia in realtà uno scambio continuo, un dialogo intenso e amoroso, mosso da una tensione vitale, da un desiderio, da una prossimità all’altro.
Per un attimo ho pensato a questi punti di luce intermittenti come a un alfabeto ridotto ai minimi termini, un’unità on/off non lontana da un segnale informatico basato su una lettura di bit.
Per quanto visionario, futuribile o ancestrale, è di fatto un codice binario.
EB: L’opera ha un forte nesso con il luogo che la ospita – la sede dell’azienda ALA Spa – in particolare con il procedimento del ‘flusso di dati’. Mi spieghi di cosa si tratta?
AT: ALA è un’azienda che si occupa di servizi di logistica e di distribuzione di componenti per l’industria aeronautica e aerospaziale, molte delle attività lavorative vengono svolte online. Mi interessava tentare di rivelare attraverso una modulazione luminosa questo flusso di dati.
Volevo che questa luce raccontasse l’andamento in tempo reale, di tutto ciò che entra ed esce dai cablaggi, dai computer, dalle caselle di posta… è una profusione incessante e altalenante di informazioni che scorrono, un brulicare stipato di immagini, un fermento di parole, frasi, messaggi, codici, bit. Tutto questo flusso di dati si può leggere come un elettrocardiogramma, un elettroencefalogramma, un’attività sintetizzabile in un vero e proprio grafico con momenti di picco e di down. Ho collaborato con un programmatore per la realizzazione di un dispositivo che, connesso alla rete dell’azienda, fosse in grado di rilevare ogni 60 secondi l’andamento del traffico dei dati in entrata e in uscita e li traducesse in una rispettiva intensità luminosa andando così ad animare due sculture: una relativa ai dati in entrata e una relativa ai dati in uscita.
Sono due sculture pensili in continuo aggiornamento e in un stato di permanente calibrazione, tese a rivelare un’energia diversa a seconda del livello di lavorio che succede tra gli uffici.
Volevo un lavoro che per quanto fisso non fosse mai uguale a se stesso e trovavo affascinante che fosse proprio tutto il personale di ALA a divenire artefice e autore della vitalità della struttura.
EB: Formalmente quest’opera mi ricorda le opere Untitled, 2021 fatte di filo di ferro modellato su dei volti informali. C’è un nesso tra queste due opere? Cosa ti attrae nel lavorare con una linea malleabile e duttile?
AT: Formalmente il lavoro ha preso la plasticità di due disegni di luce, che potremmo interpretare come rizomi, parassiti, falene, fiori, alveari, sinapsi, neuroni, debitori dell’elegante decoro tardo liberty esistente, che segna il parapetto delle scale e del grande fregio a soffitto. La sensualità di queste linee ben lavora con le ortogonalità dell’architettura fascista. Ho individuato, al centro dell’edificio, uno spazio vacuo e arioso che potesse permettere di fruire le sculture da diverse angolazioni e quote. Le due sculture pensili si intravedono così dal basso, incombono sulle teste mano a mano che si sale e poi si misurano al fianco durante la salita al piano superiore. Si raccontano e si mostrano spazialmente nella stessa misura in cui si accordano a livello energetico. Il cablaggio a vista, dichiarato, esplicito, sfacciatamente industriale, è un’identità estetica che di nuovo parla di una connessione, di un fare e di un comunicare a cui siamo quotidianamente subordinati, interfacciati. Le sculture sono fisicamente realizzate con filo di ferro zincato, profilati in alluminio, strisce led ad alta luminosità. Sono linee e materiali duttili e malleabili, che hanno una particolare prossimità al disegno e una vocazione a delineare forme e ingombri. Pur mantenendo una spiccata vacuità, incastrano lo sguardo dentro una complessità non immediatamente decifrabile e per quanto sintetica estremamente dettagliata.
Sono sempre anatomie filiformi, porose, permeabili, spettrali.
EB: Da sempre sei sensibile alle tematiche legate alla natura, sia perché la vivi da vicino in prima persona (è risaputa la tua passione per le arrampicate), sia perché sei un sensibile osservatore di fenomeni naturali dove la materia si muove e si trasforma. Come leghi questa propensione con l’aspetto altamente tecnologico delle tue opere?
AT: Il mio pensare e guardare è indissolubilmente legato all’alpinismo, il modo di leggere una parete in Dolomiti o la facciata di un palazzo, l’idea di interpretare la salita di uno strapiombo o la rampa rovescia di una scalinata, l’idea stessa di sospensione, di altezza… Penso anche allo sguardo teso verso la corda rinviata al compagno di cordata o il cavo elettrico disegnato con un certo lasco. Gli appunti si accumulano ogni giorno, dalle gocce di resina dei larici, alla totalità di un ambiente silente.
La montagna e la natura sono matrici del mio progettare, ma la Natura, come dice Herzog è sia ordine limpido che caos violento: “Esiste un’armonia in natura. L’armonia di un immenso assassinio collettivo.”
Credo che la tecnologia sia pensabile oggi come una sorta di seconda Natura e che il suo procedere ed evolversi stia in un rapporto mimetico con la Natura. È una questione molto articolata, ancora tutta da studiare, ma ogni modello e ogni paradigma tecnologico è una forma in naturale divenire.
Penso a termini come “algoritmi genetici”, “design morfogenetico”, “complessità emergente” e anche al concetto stesso di “virus”, così recente e urgente.
Sempre più la tecnologia guarda alla natura, sia in termini di design evolutivo che di evoluzioni in termini di design. Guardando a strutture cellulari, modelli di crescita delle piante, proprietà dei materiali organici si nota una crescente integrazione di processi biochimici vitali in edifici, corpi, campi semantici e linguistici.
È in atto un processo di sintesi di industria e natura in cui siamo tutti irreparabilmente immersi.