In occasione della sua prima mostra personale negli spazi della galleria MONITOR a Roma, Lucia Cantò presenta una serie di opere site-specific composte da doppi, che riflettono sì sul dualismo intrinseco alla coppia, ma soprattutto sul rapporto tra quelle coppie e la realtà sociale ed emotiva che le circonda, fatto di quei coinvolgimenti e rimandi che fanno parte della struttura stessa della relazione.
Un dualismo fatto di tensioni tra alto e basso, tra verticalità e orizzontalità, tra il peso e la grazia come li definisce Cecilia Canziani, curatrice indipendente e storica dell’arte, nel suo testo critico che accompagna la lettura della mostra.
Fragilità e concretezza, delicatezza e insieme matericità sono gli elementi che costituiscono le Riserve (2021) di Lucia Cantò, che introducono i tempi della mostra e in qualche modo segnano il punto prima che i visitatori lasci gli spazi. Realizzati in alluminio a partire da una scansione 3D i fiori di buganvillea sono colti dall’artista prima che appassiscano del tutto. Sono caduti dall’albero, sono estremamente fragili e allo stesso tempo congelati in quel momento, poco prima della loro fine, mediante l’uso dell’alluminio che ne restituisce una forza che resta incastonata nel tempo. Resta come una delicata manciata di bellezza, fermata nel tempo con un ricordo.
Quelle tensioni che Lucia Cantò ha reso protagoniste delle sue opere sin da subito tornano nel dualismo delle grandi installazioni Tre accoppiamenti e Atti certi per corpi fragili.
Nella prima tre coppie di gru si tengono per mano assumendo sembianze antropomorfe, si muovono in una danza di contorsionismi, si torcono pur di restare attaccate. Devono piegarsi o elevarsi, devono allungare o accorciare il proprio braccio portante affinché l’altro resti all’interno di questo dualismo, affinché la coppia non si spezzi. L’oggetto industriale in quanto tale scompare: resta la sua essenza materica, resta il suo peso specifico a gravare sul pavimento con la sua forza di gravità, resta la sua pesantezza. L’essere noi è una condizione di passaggio, talmente precaria a volte da rendere necessario un continuo impegno, un coinvolgimento, un compromesso: se una delle due gru sta per cadere l’altra farà in modo di sostenere il peso di entrambe, ma non potrà farcela da sola senza l’aiuto del proprio tu. Al di fuori del noi ci sono i terzi, gli altri da sé che guardano le cose da fuori, che sostano nello spazio di pausa lasciato dalle gru come luogo dedicato a chi legge la coppia dall’esterno. Non è tanto verso l’io e tu che è rivolta l’attenzione dell’artista, quanto a quelle persone altre che danno titolo alla mostra che inevitabilmente sono implicati nella coppia pure non facendone parte.
Lo stare insieme aperti alla vita / Implica la fuoriuscita di un terzo / solo.
La spiega bene Lucia Cantò quella presenza di altri che sostano negli spazi vuoti lasciati liberi in un mondo fatto di collettività di coppie, osservatori di coloro che si sono scelti e dei quali si possono osservare punti di forza e di debolezza, fragilità che non possono essere nascoste al mondo esterno.
Una tensione verticale che si contrappone all’orizzontalità di Atti certi per corpi fragili, un coro di coppie di vasi, ognuna delle quali è stata realizzata da una diversa persona invitata dall’artista che ha scelto i due elementi, li ha uniti e dopo averli coperti di argilla li ha sigillati fra loro. Sono entità distinte fra loro, eppure autosufficienti da chi li circonda. Sono forme autosufficienti, legate fra loro in un equilibrio almeno apparente come quei corpi industriali che gli fanno da contraltare in una dimensione poetica da togliere il fiato.
I terzi restano all’esterno, non possono che guardare, osservare, spiare.
Ai terzi è offerto uno spazio esterno per guardare e uno spazio interno per comprendere.
Fino al 4 giugno 2021, MONITOR, Via Sforza Cesarini 43A, Roma