Testo di Erica Rigato —
Da qualche tempo Genova sta offrendo una serie di mostre che, nel loro insieme, paiono essere accomunate da un unico filo conduttore: la gestione del rapporto tra l’arte (e l’artista) e alcuni aspetti, anche problematici, del mondo attuale, nonché della nostra reazione ad essi. Su ATP infatti abbiamo parlato di mostre che affrontavano il tema dei confini, delle migrazioni, della funzione dell’arte, e anche della questione della condizione dell’artista, in particolare di quello emergente. In tutte, non si proponevano solo eventi espositivi, ma veri e propri progetti, ovvero tutto era sorretto da un impianto propositivo molto concreto.
E questo sta succedendo proprio nel capoluogo ligure, che, pur nella sua dimensione periferica, evidentemente, sta permettendo, in maniera più o meno consapevole, l’emergere di questo bisogno, da parte del comparto artistico, di fronteggiare con il linguaggio dell’arte gli aspetti critici della nostra esistenza.
È questo nuovamente il caso della mostra in corso presso la Pinksummer di Genova dal titolo “www.thyself.agency “ dell’artista milanese Luca De Leva.
www.thyself.agency, oltre a essere il titolo della mostra, è un’agenzia di viaggi fondata dall’artista stesso, che, come recita il sito corrispondente, “organizza viaggi nell’ignoto, dove (si) pratica la maieutica attraverso specifici esercizi”. Il viaggio è nella vita di un’altra persona, della quale, per un determinato periodo di tempo, si vivrà la vita, in ogni dettaglio. La pratica consiste quindi in uno scambio di esistenze. Tuttavia, come spiega De Leva, essa è una vera e propria opera d’arte “che è fatta con la vita reale per sviluppare un diverso tipo di consapevolezza dentro noi stessi”. Un progetto, quindi.
Partendo da un momento di crisi, di riflessione su sé stesso, De Leva ha immaginato questa agenzia in cui si cerca il senso della nostra vita attraverso le esperienze di chi partecipa al progetto. Questa opera, dice l’artista, è uno strumento che ambisce ad aiutare la ricerca di chi siamo veramente.
Condivisione e linguaggio sono gli elementi chiave in questo processo. Vivere la vita degli altri, mettersi nei loro panni, porta alla creazione di un mondo generato dalla condivisione, un mondo in cui si esce dalla propria soggettività, dalla propria singolarità. In questo modo, quindi, sviluppiamo una nuova consapevolezza, che è quella di vivere in un’unità in cui la co-esistenza è fondamentale per “conoscere il profumo delle cose in sé”. Si tratta, quindi, di una vera – e già esistente- , forma di ecologia, di cui, spiega De Leva, dobbiamo solo prendere coscienza.
Cosa c’entra l’arte in questo? Essa ci viene in aiuto col suo linguaggio specifico che con la sua gratuità mette in atto un’azione e la sua restituzione. Luca De Leva, partendo dal presupposto secondo cui non si può prescindere dal linguaggio, spiega che “l’arte è un atto di fede, verso l’umano e verso il linguaggio”.
Una delle opere d’arte esposte in galleria è l’esempio di una cosiddetta “Persona Lists”, ovvero un esercizio proposto a chi partecipa al progetto, che consiste nel redigere una pre-compilata lista contenente l’elenco di alcuni aspetti caratterizzanti la propria vita quotidiana che poi verrà consegnata ai partecipanti del progetto di scambio di esistenze. Quella esposta è la lista di Luca stesso e della sua fidanzata Emma con cui ha scambiato la sua vita. (“Lista Persona_Emma”, 2023).
Una volta entrati negli spazi della galleria, veniamo immersi nell’audio della voce proveniente da alcune casse posizionate in sala che spiega il funzionamento del progetto in tutti i dettagli. (“Thyself Agency_audio”, 2023) Ci sono poi, appesi al muro, una serie di distributori dei comunicati stampa e di altro materiale cartaceo relativo al progetto. Si tratta di borse e cartelle da ufficio appesi o appoggiati a forme antropomorfe, o a un naso di maiale. (“Distribuzione “, 2023)
La sala è disseminata da tracce di vita, come uno zaino appoggiato a terra o dei pantaloni appesi uno di seguito all’altro al varco tra una stanza e l’altra della galleria. (“Thy”, “Tenda di Pantaloni”, 2023).
Proprio dietro quest’ultima opera, si raccolgono, in un’intimità eloquente, una serie di disegni fatti con carboncino, gessetti, pastelli e grafite su carta, ritraenti sempre uno stesso soggetto, femminile, che scopriamo avere il nome di Fiammetta. Si tratta di ritratti molto intimi e coinvolgenti, dal tratto quasi fotografico ma tuttavia opaco e quasi sfocato che pare riflettere potentemente l’impianto concettuale della serie. Fiammetta, infatti, è la sorella dell’artista, affetta sin da piccola da una sindrome debilitante, che porterà, il corpo e la mente della donna, a una trasformazione continua. Proprio in questa mutevolezza, Luca De Leva trova il senso dell’intero progetto. Fiammetta e la sua esistenza, nella loro costante instabilità corporale e intellettuale, ci ricordano che tutto è possibile perchè siamo in un flusso in cui la trasformazione, se lo vogliamo, può essere continua.
Proprio come lei e come la sua posizione all’interno del percorso della mostra, anche noi possiamo essere al di fuori del tempo, o, come recita il foglio di sala, “al di fuori di qualsiasi narrazione”.