Schivare, riflettere, rimandare. La relazione che negli anni ha costruito Alex Cecchetti con la rappresentazione si è fatta complessa e ambigua. Come risultato una presentazione-performance che si svolgerà in due date (13-15 giugno e16-18 giugno 2017) al Teatro dell’Arte della Triennale di Milano con LOUVRE I e LOUVRE II. Alla base di queste “presentazioni”, come ci spiega Cecchetti nell’intervista che segue, la volontà di far apparire cose della realtà che non ci sono. Come nel linguaggio poetico, potremmo parlare di ‘evocazioni’ (“il precetto per divenire poeti è riuscire a far apparire qui e ora cose che non sono”).
La performance consiste nell’attraversare alcune sale del famoso Museo parigino – rispettivamente quelle dedicate alle antichità greche, etrusche e romane (LOUVRE I) e alla pittura italiana (LOUVRE II) – senza però esserci, restando, invece, nelle sale della Triennale. Citare e raccontare cimeli, suggerire punti di vista, mettere in posa degli spettatori come fossero sculture o bassorilievi… “Il Louvre senza il Louvre vuol semplicemente dire prendere quegli oggetti e usarli come dovrebbero essere usati”. L’artista, più che di coinvolgimento degli spettatori, parla di “di spinte, propulsioni” o, semplicemente di capacità visionaria.
Nei suoi attraversamenti, Cecchetti svela iconografie e agiografie, misteri e scoperte, messaggi divini, a volte, sottintesi maliziosi. “Delle antichità greche e romane racconto la loro non classicità. Della pittura Italiana racconto di come l’alta tecnologia abbracciava lo spirito. Della Mesopotamia mi interessa sapere se è vero che gli scribi camminavano all’indietro.”
Seguono alcune domane ad Alex Cecchetti —
ATP: Nella presentazione della tua pratica c’è un concetto che mi piacerebbe mi spiegassi: l’“arte dell’evasione”. Cosa intendi con questa definizione in relazione alla tua ricerca?
Alex Cecchetti: Arte dell’evasione è il risultato di un tentativo di traduzione da un testo di Yann Chateigné. Doveva essere l’arte di evitare, poi qualcuno ha preferito evasione, altri dello schivare e qualcun altro slittamento. Sono una vittima felice di ciò che si trasforma tra una lingua e l’altra e resta incompreso, malinteso. Se c’è qualcosa da cui tento di evadere è la rappresentazione. Ma se vuoi fuggire di prigione devono almeno avertici messo dentro, per cui continuo a presentare performance, mostre e scrivere libri. Tra evadere e schivare la differenza è grande. Per schivare una prigione devono tirartela addosso. Nella rappresentazione si tratta di fare come se, riflettere e rimandare un’immagine del mondo nel quale siamo. Evadere la rappresentazione ti dà la possibilità di fare altro che il gioco dello specchio. Da quando sono morto, lo slittamento e l’evasione sono diventati arte dell’irrappresentabile, per cui le cose si sono fatte molto più complicate.
ATP: E’ molto affascinante il progetto che presenti al Teatro dell’Arte della Triennale: LOUVRE. Per spiegarlo, in sintesi: “Louvre” è una visita guidata del Louvre senza il Louvre. Mi introduci da dove è nata l’idea per questa (non) performance?
AC: Ero a Londra in residenza a Gasworks, volevo presentare una mia retrospettiva senza opere. Questo perché il precetto per divenire poeti è riuscire a far apparire qui e ora cose che non sono. Almeno così era quando vivevo in Grecia, sono passati quasi mille anni da allora. E così mentre provavo e riprovavo mi sono venuti in mente i ricordi e il tempo passato tra quella gente. Ciò che resta di quel tempo sono caraffe che non servono più da bere, maschere che non sono più indossate, e statue d’oracoli e dei che non parlano più. Il Louvre senza il Louvre vuol semplicemente dire prendere quegli oggetti e usarli come dovrebbero essere usati. Ma sono passati così tanti anni che neanche io ricordo più bene cosa farne. Purtroppo la logica del museo, guardare e non toccare, e leggere per capire, ha influenzato molta arte contemporanea. Viaggiare dalla Grecia antica ad oggi non è così difficile e improbabile come sembra. Esistono tante altre cose ma non il tempo, l’unico tempo che esiste è quello buono o quando piove.
ATP: Questa singolare “visita guidata” prevede anche la partecipazione del pubblico. In cosa consiste questa collaborazione?
AC: Non soltanto gli artisti dovrebbero essere visionari, ma anche tutti gli altri. Non dico tutto il tempo, la mia performance dura solo due ore. Non so se tra i visionari c’è collaborazione, si tratta forse più di spinte, propulsioni, e altezze. Spesso si vola sempre in posti diversi.
ATP: Antichità greche, etrusche e romane, pittura italiana, ma anche antichità orientali (LOUVRE III, prevista per l’autunno 2017): questi gli “attraversamenti” nella storia dell’arte previsti per il tuo progetto. Con quale criterio hai scelto queste aree tematiche?
AC: Ci sono dei veri e propri esseri viventi in quelle sale, ma restano completamente invisibili. Con così tante cose da vedere, e capolavori uno dietro l’altro, il rischio è restarne ciechi, o peggio, credere d’aver visto tutto. Le opere sono esseri viventi che raccontano storie di vita, amore e follia. Tra di loro, appesi ai muri del Louvre e davanti agli occhi di tutti, si nascondono rivoluzionari impenitenti, maniaci erotico compulsivi e dissidenti. Il San Francesco di Giotto per esempio, è un’opera di un valore politico importantissimo. Perché in fondo nessuno ha voluto continuare l’utopia realizzata di Francesco, ma Giotto ci credeva, lo dice nella sua tavola in forma di raggi sottilissimi. Pochi sanno leggere quei raggi oggi, ma a quelli che vengono al Louvre senza il Louvre è svelato il messaggio rivoluzionario che viene dagli angeli. Di sottile, ci sono anche le provocazioni erotico metafisiche di Leonardo, come il Battista che ci invita all’amore contro natura che si fa nei piani alti del bordello, o la Sant’Anna che ci svela il segreto dei mulini dello spirito. In fondo non sono io che racconto i loro segreti. Per sapere chi ha scolpito l’Ermafrodita Mazzarin, basta osservare i colpi di spada e martello attorno al sesso. I poeti, come la poesia, sono dei ponti. Non come i medium, ma dei veri ponti che stanno sospesi sopra a un fiume, un orrido, un oceano, cose che prima di quella tecnologia sembravano impossibili da attraversare. Io faccio del mio meglio per restare sospeso, alcuni dicono che avvolte dondolo. Delle antichità greche e romane racconto la loro non classicità. Della pittura Italiana racconto di come l’alta tecnologia abbracciava lo spirito. Della Mesopotamia mi interessa sapere se è vero che gli scribi camminavano all’indietro.
ATP: In che modo l’azione che darai vita è considerabile come un “atto d’amore”? Un sentimento rivolto all’arte o, più in generale, alle potenziali possibilità dell’immaginazione dell’uomo?
AC: È un atto d’amore verso il possibile e l’immaginazione, della donna, dell’uomo e di tutte le altre cose che frequentiamo e ci frequentano.
ATP: “Coreografie invisibili, narrazioni immaginifiche, oggetti che producono esperienze”: l’aspetto impalpabile, evanescenze delle tue performance induce a pensare che lo spettatore deve, inevitabilmente – pena l’incomprensione – fare uno sforzo visionario. O ancora, deve fidarsi e lasciarsi guidare dalle tue parole, le tue suggestioni. Cosa ti interessa di questo meccanismo relazionale?
AC: È vero, non mi interessa l’immagine ma l’immaginifico. Nelle mie mostre, come alle mie performance, lo spettatore è un visionario, e da forma all’oggetto che osserva. Per fare questo nel miglior modo possibile bisogna ingannare lo sguardo istruito. Il modo di vedere che prende il sopravvento in contesti e apparati oramai tradizionali, come il teatro, il cinema, la galleria d’arte, il white cube o il museo. Il quadro, il contesto, deve esplodere, disarticolarsi, i connotati devono saltare assieme con le sedie della platea. Lo dico spesso durante Louvre: o si lavora tutti assieme o sta sera non si vede nulla. In fondo quello che faccio e mettere a disposizione una barca, e una barca è una faccenda politica, come diceva Nicanor Parra, o si sopravvive tutti assieme o ognuno affoga da solo.
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La Fondazione Sandretto Re Rebaudengo ospita, fino a Settembre, The Institute of Things to Come, un centro di ricerca temporaneo sul futuro, a cura di Ludovica Carbotta e Valerio Del Baglivo. Dal 22 giugno al 31 luglio Alex Cecchetti espone Cetaceans, un concerto polifonico per voce, armonica di vetro e waterphone, che indaga come sogni, capogiri, salti temporali e sogni lucidi siano stati percettivi nei quali si genera una diversa forma d’interazione tra le persone.
Riflettendo su possibili strategie di comunicazione futura che non includano l’utilizzo del linguaggio parlato, Cetaceans è un’installazione immersiva che stimola l’orecchio dei partecipanti con l’impiego di varie sorgenti sonore.
> Alex Cecchetti — The Institute of Things to Come