ATP DIARY

LIVING ROOM 2021 — The space of imagination | Eva Frapiccini – Giovanni Termini

Secondo appuntamento per conoscere LIVING ROOM 2021: il progetto a cura di Andrea Lerda e organizzato da Art.ur che vede la partecipazione di quattro artisti in residenza in quattro studi di architettura del cuneese. Il titolo scelte per questa edizione è The space of imagination e vede la partecipazione di Bepi Ghiotti, Giovanni Termini, Flaminia Veronesi e Eva Frapiccini.Gli artisti sono […]

Eva Frapiccini – Living Rooom 2021

Secondo appuntamento per conoscere LIVING ROOM 2021: il progetto a cura di Andrea Lerda e organizzato da Art.ur che vede la partecipazione di quattro artisti in residenza in quattro studi di architettura del cuneese. Il titolo scelte per questa edizione è The space of imagination e vede la partecipazione di Bepi Ghiotti, Giovanni Termini, Flaminia Veronesi e Eva Frapiccini.
Gli artisti sono stati invitati a riflettere sui concetti di corpo, spazio, sogno e sull’urgenza di essere creativi in un tempo di cambiamenti epocali. 

Dopo le brevi interviste con i primi due artisti, seguono quelle di Eva Frapiccini e Giovanni Termini

Elena Bordignon: Il tema di quest’anno del progetto Living Room – The space of imagination – ruota attorno alla riflessione sul concetto di spazio e sul nostro rapporto con esso. In relazione alla drammatica situazione che abbiamo vissuto durante la pandemia, siamo stati costretti ad un isolamento forzato. L’esperienza del lockdown, per molti versi ha sollecitato il nostro bisogno di evasione, realizzabile attraverso e grazie all’immaginazione. In relazione al tema del progetto, puoi raccontarci come hai vissuto – o immaginato – il tuo spazio domestico? 

Eva Frapiccini: La mia esperienza del lockdown è stata segnata dalla costrizione in uno spazio di 40 mq in tre, io, mio marito e nostro figlio di 3 anni. Da novembre ad Aprile 2020 abbiamo aspettato la risposta della banca per il mutuo, i tempi si sono prolungati per il lavoro a regime ridotto dettati dal lockdown. L’appartamento di Torino in cui vivevamo doveva essere una casa momentanea al rientro dall’Inghilterra, un indirizzo da mettere nelle domande per l’asilo. E poi è arrivato la chiusura. Dividevamo il ballatoio con 3 ragazze sudamericane che lavoravano come badanti e, nonostante le strade fossero deserte, loro, nel week end, organizzavano le feste con i connazionali fino a notte fonda. A parte la nota di colore della situazione (e le varie chiamate ai vigili), nei 40 mq abbiamo sperimentato ogni tipo di intrattenimento per nostro figlio: dalla batteria di pentole al nascondino, dai puzzle, ai mostri modellati con la plastilina, fino al tentativo di imparare a memoria le sigle dei cartoni animati. Ci siamo organizzati con un’amica che aveva il cane per fare una passeggiata intorno al palazzo. Il quartiere dove eravamo, San Salvario, aveva chiuso tutti i locali, una delle poche attività che non erano state intaccate era lo spaccio sotto casa. E senza i locali non era nemmeno tanto sicuro, qualche volta abbiamo sentito gridare ‘al ladro’ dal nostro quarto piano. Insomma, una resilienza intensa, mentre rimbalzavano le notizie di questa strana pandemia. Poi, per fortuna ad aprile è arrivata la risposta positiva dalla banca, e quindi ho passato la fine del lockdown immaginando i nuovi spazi della futura casa. E quindi per me la fine della reclusione ha anche coinciso con un nuovo inizio. 

Giovanni Termini: In realtà il tempo trascorso forzatamente a casa mi è servito molto per riflettere e ripensare alcune cose della mia vita e del mio lavoro.  Il mio studio è lontano dall’abitazione ed essendo un capannone è situato in una zona industriale, quindi per molto tempo non ho avuto la possibilità di raggiungerlo a causa delle restrizioni. In linea di massima sono un artista che non ha bisogno necessariamente del proprio studio per lavorare perché credo che la parte fondamentale del lavoro, quindi l’idea o l’intuizione, possa provenire da altri luoghi e concretizzarsi in altri modi. Non accade sempre, ma generalmente mi reco in studio solo quando ho le idee abbastanza chiare e so bene cosa devo fare.
Però è anche vero che spesso i miei lavori nascono dai luoghi, dagli incontri, dalle esperienze, quindi in qualche modo non potendo muovermi fisicamente e non potendo viaggiare, da questa segregazione mi sono sentito molto limitato. Ho bisogno di vedere e sentire la gente non attraverso la webcam e ho bisogno di respirare l’aria all’aperto e percepire gli umori. Per me lo spazio è innanzitutto esistenziale quindi necessariamente aperto e non confinato, quindi non può essere quello di un appartamento.
Spesso succedeva che amici o colleghi che avevano la possibilità di muoversi più agevolmente, venivano a suonare al mio citofono; dal balcone, a voce alta (per il piacere dei vicini), intavolavamo chiacchierate. Devo dire che il lockdown mi ha permesso di riflettere molto e su tante cose, ma ad un certo punto l’ho sofferto tantissimo perché per me è di vitale importanza “sentirmi libero di essere libero”.

Giovanni termini “Cantalupo, parole in libertà” 2021 Cavalletti in ferro, set luci, legno e video proiezione / Iron easels, light sets, wood and video installazione dimensioni ambiente / Site specific – the space of imagination – Foto Lucia Costa Giani

Elena Bordignon: Nell’ambito di Living Room 2021 sei stato invitato a riflettere sui concetti di corpo, spazio e sogno; sul potere generativo del limite e sull’urgenza di essere creativi in un tempo di cambiamenti epocali. Mi racconti come hai vissuto l’esperienza della residenza? 

Eva Frapiccini: E’ stato molto facile entrare in sintonia con Alessandro, Alberto e Lara di Studio24. Condivido il loro approccio verso il quotidiano, la visione espansa della piccola città, l’attenzione che mettono nella scelta dei materiali per i loro progetti edilizi, e il fatto che venga dall’esperienza di vivere immersi nella natura. Ciascuno con le sue diversità al lavoro mi ha trasmesso una serie di visioni di futuro. Tutti e tre hanno scelto di riprendere le tradizioni di montagna. Ho visitato la casa – rifugio di Alberto, alla Cumba (trad. dal cuneese “la conca”) di Boves, appena usciti da Cuneo. Un casolare circondato dal bosco, anch’esso acquistato, di cui prende cura da 10 anni, perché la vegetazione richiede una continua manutenzione. Alberto ha ricostruito la casa senza stravolgere la struttura, la dimensione delle finestre, ma solo ottimizzando il riscaldamento interno con rivestimento ecologico delle pareti, arredando, mettendo infissi interni ed esterni fatti col legno del suo bosco. Entrare nelle scelte che ha fatto è stato l’inizio del progetto. Mi interessa la dicotomia della vita di questi architetti, che è poi la realtà di molti, schiacciati dal lunedì al venerdì tra la corsa nel rispettare i tempi e le regole dei bonus statali (bonus facciata, bonus riscaldamento, ecc…) e immersi nella natura della loro terra nel fine settimana, a spaccare la legna e costruire la casetta sull’albero per i figli, la rimessa della legna per il camino…Mi fa pensare a Fabio Mauri che sosteneva avessimo bisogno di abbandonare i computer e lavorare con le mani per salvarci. Ecco, Mauri c’è sicuramente nel mio progetto di residenza. Così come c’è tanto della mia infanzia in una famiglia di falegnami e mobilieri. Il saper fare con le mani fa parte del mio retaggio familiare. Da qui è cominciato il progetto. 

Giovanni Termini: Per iniziare vorrei innanzitutto ringraziare Andrea Lerda curatore del progetto Living Room, che quest’anno ha deciso di intitolare The space of imagination, per avermi invitato. 
Sono da poco rientrato da Cuneo dove ho appena concluso questa magnifica esperienza senza dubbio stimolante e molto interessate.  Non conoscevo la città di Cuneo e le sue vallate, ma grazie a Dario Castellino, noto architetto che mi è stato affiancato e che mi ha accompagnato nel progetto, ho avuto la possibilità di visitare quei luoghi probabilmente utili e necessari per lo sviluppo del mio lavoro.
Tra i tanti luoghi ho visitato Paraloup, una borgata del comune di Rittana, tra le valli Stura e Grana, segnata dalla seconda guerra mondiale e dove salirono i primi partigiani piemontesi. Qui la montagna divenne un rifugio, e diede a molti di loro la possibilità di organizzare la resistenza.
Paraloup significa “al riparo dai lupi”. Credo per la posizione geografica e per la morfologia delle valli. Probabilmente per lo stesso motivo fu scelta dai partigiani per mettersi al riparo dai tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale.
In qualche modo, con il dovuto rispetto e la dovuta cautela, quella segregazione mi ha fatto pensare al lockdown, d’altronde ogni sera quando guardavo la tv e sentivo la conta dei morti, mi sembrava di udire un bollettino di guerra.
In effetti credo che ognuno di noi abbia provato a dare un senso a quelle giornate, necessarie, ma trascorse forzatamente nelle proprie abitazioni.
Ho riflettuto molto durante quelle giornate, a quello che stava accadendo e quindi alla vulnerabilità della nostra esistenza. Credo che i nostri nonni e quindi tutte quelle generazioni passate che ci hanno preceduto, umilmente, si sentissero più consapevoli e meno immortali di noi.

Eva Frapiccini – Struttura base 1 – Living Room 2021

Elena Bordignon: L’esito della residenza prevede la realizzazione di un progetto.  Mi racconti come è nato e in cosa consiste? 

Eva Frapiccini: Così tra una conversazione sull’inquinamento portato dai materiali utilizzati nelle ristrutturazioni (per es. i normali cappotti edilizi sono prodotti in petrolio, raramente vengono proposti cappotti in paglia o sughero), e le visite per vedere alcuni lavori seguiti da loro, tra le chiese di Cuneo e le sue vie principali, sono arrivata in via degli Angeli alla sede di Studio 24, e incappata nel monumento alla Resistenza di Umberto Mastroianni. Il monumento per cui venne bandito un concorso, dove venne scartato anche un progetto di Lucio Fontana, con i suoi venti metri di altezza è la più grande opera in spazio pubblico d’Italia. E’sostenuto e rialzato da un reticolato di aste ortogonali alla base e rivolto verso Boves, dove ci fu uno degli eccidi più efferati commessi dai soldati nazisti verso civili italiani nella II Guerra Mondiale.
Sono stata colpita prima dalla dimensione e poi dal valore affettivo che rappresenta questo luogo per la generazione di Alberto, Lara ed Alessandro. Infatti, sul monumento si arrampicavano tutti i bambini e ragazzini per poi lasciarsi scivolare sulle lastre di bronzo. Mi è bastato chiedere in giro per rendermi conto degli occhi sorridenti dei tanti che ci salivano. Poi qualcuno si è fatto male e per questioni di sicurezza sono state messe delle transenne di protezione che oggi, per la verità, non compaiono più perché i ragazzini, per divertirsi, fanno tutt’altro che arrampicarsi. Mi interessava creare la situazione, per un’azione di riappropriazione dello spirito e del rito di quel gioco. Ho chiesto ad Alberto, Lara ed Alessandro di coinvolgere i loro conoscenti e invitarli a salire di nuovo sul monumento. Nel giro di poche ore si sono presentate una decina di persone ed è stato tutto molto divertente. Penso che la ricerca del benessere che si prova nello stare insieme sia la chiave di lettura per ripensare il futuro; stare insieme nel corpo, strutturando diversamente gli spazi condivisi a contatto con la natura di cui ci si prende cura con le mani. Da queste riflessioni, ho sentito l’esigenza di lavorare nella sede dello studio e portare alcuni elementi che ho trovato a Boves e dintorni. Ho raccolto degli arbusti di fiume insieme agli architetti e iniziato a costruire delle strutture in legno dove gli assi sono uniti da semplici filamenti di piante, come delle piccole torri. Questa serie di strutture sarà in dialogo con le fotografie dell’azione all’interno di un allestimento dello studio di architettura che forzerà l’inerzia e l’ordine degli ambienti artificiali interni. 

Giovanni Termini: Cantalupo, parole in libertà è il titolo del mio progetto. Ho pensato di creare un trabattello utilizzando due cavalletti e una tavola da ponteggio, una sorta di impalcatura rialzata ed allestita in un cantiere all’interno di un appartamento nel centro di Cuneo, oggetto di ristrutturazione da parte dell’architetto Dario Castellino. 
Un pulpito, una torretta dalla quale poter osservare il mondo, comunicare il proprio messaggio al futuro, urlare le proprie necessità, esprimere i propri bisogni. Un palco dove poter dire liberamente quello che si vuole. Un’azione che utilizza il linguaggio per costruire sensazioni, luoghi e immaginari ideali, basati sull’interazione di emozioni e di vissuti personali nei quali passato, presente e futuro si mescolano. La rappresentazione di un processo in divenire, che prende forma all’interno di un appartamento in fase di ristrutturazione, attualmente ridotto a uno scheletro, che si mostra nella sua struttura primaria. L’opera dialoga con lo la dimensione privata della proprietaria di casa e con il processo architettonico, entrambi chiamati a immaginare e donare una nuova identità allo spazio che accoglie il lavoro. Le stanze non ancora completamente definite, le pareti spoglie della loro pelle, rappresentata in questo caso dall’intonaco, e i soffitti dai quali riaffiorano affreschi quale testimonianza di un passato nuovamente visibile, sono la cornice nella quale l’azione che ho immaginato prenderà forma.
All’interno di questo contesto le persone avranno la possibilità di salire sull’impalcatura e, sedute con le gambe sospese, potranno esporsi, esprimersi e comunicare in libertà.
L’azione sarà registrata e documentata da una videocamera. Il video verrà proiettato nei giorni di apertura al pubblico, in uno degli spazi dell’abitazione, in dialogo con il setting creato per la registrazione.   

Giovanni Termini – the space of imagination – Foto Lucia Costa Giani
Eva Frapiccini – Il bosco di Alberto alla Cumba, Boves – Living Room 2021