Testo di Veronica Pillon —
L’artista argentina Liv Schulman riflette sulla contemporaneità analizzando il tessuto economico che la contraddistingue, il capitalismo, che influenza e definisce l’identità del singolo individuo. Una consapevolezza del capitalismo definita come internazionale e inconscia: tutta la società post-coloniale, nelle sue affermazioni estetiche, finanziarie, politiche, psicologiche e sessuali, è pervasa dal capitalismo. Una società globale e fluida che Liv Schulman analizza nelle sue contraddizioni, adottando come punto di partenza della sua pratica artistica – video e performance – la riflessione sul linguaggio e sul modo in cui il linguaggio influenzi l’individuo. Alla ricerca di un senso, apparentemente introvabile, Liv Schulman associa l’emoticon “woozy face” per intitolare la mostra: un volto confuso, stanco, sovraesposto e sovraccarico dal punto di vista emozionale e psichico. Questa continua ricerca di significato e di senso si traduce nella ricerca di definizione dell’identità.
Le Goubernement (2019) è un progetto video in sei episodi che riflette sul lavoro di artisti donna, lesbiche, trans e di genere non binario vissuti a Parigi tra il 1910 e il 1980. Tra questi si ricordano Esther Carp, Maria Blanchard, Carol Rama, Germaine Richier, solo per citarne alcuni. Sette attrici e artiste hanno interpretato più di quarantacinque ruoli, talvolta impersonandone anche più di uno nel corso degli episodi, in un processo di costruzione collettiva del personaggio, basato sulle improvvisazioni e sullo sguardo fisso in camera. L’installazione dei video è circolare e rispecchia la struttura e la nozione stessa dell’identità e i suoi costrutti: lo spettatore può fruire liberamente dei sei video, in piedi, seduto o sdraiato sui cuscini, scegliendo cosa guardare, per quanto tempo guardarlo e secondo quale punto di vista. La caratteristica predominante dei video di Liv Schulman è che la temporalità si costruisce attraverso i discorsi, le immagini, i colori e le forme. Tutto è fluido e circolare: il racconto si compone di monologhi, talvolta di dialoghi irrazionali, spesso disturbati dai rumori d’ambiente in presa diretta. La comunicazione emerge nella sue problematicità: l’identità si costruisce attraverso incomprensioni, il tempo si dissolve, il passato diviene presente e il presente passato dando vita ad un cortocircuito verbale e relazionale.
L’illogicità, enfatizzata dalle espressioni facciali esagerate – quasi delle maschere – che le protagoniste inscenano, si esprime anche attraverso il continuo passaggio da una lingua all’altra, dallo spagnolo al francese, dal francese all’inglese. L’installazione si compone inoltre di una serie di costumi indossati dalle attrici durante le riprese: come tende di un sipario teatrale, ricordano al visitatore come esso stesso stia impersonando un ruolo, come la quotidianità sia una finzione, in una celebrazione corale della commedia umana contrassegnata dal non-sense, dalla malleabilità, dalla manipolazione, dal cambiamento, dalla fluidità.
La commedia umana è ciò che contraddistingue anche Polis-Polis, un video del 2018 realizzato nella piccola cittadina svedese di Växjo, sede di un’accademia di polizia. I personaggi, vestiti da poliziotti, riflettono sull’identità sociale che viene definita attraverso la divisa. Simulando dei finti interrogatori, servendosi anche di pupazzi vestiti da poliziotto, i protagonisti riflettono su tematiche quali la violenza, la sessualità e la religione, all’interno di una società sempre più contraddistinta dalla necessità di ordine e di controllo delle masse. Ancora una volta la relazione linguistica è resa difficoltosa, soprattutto nel dialogo tra personaggi in carne ed ossa, pupazzi e camera.
L’incapacità di comunicare in maniera efficace emerge preponderante nel video L’Obstruction. In questo caso il protagonista è un uomo che cerca di parlare in pubblico, ma viene costantemente frenato dalla presenza di una statua di nudo maschile gigantesca. L’insuccesso della comunicazione genera insoddisfazione, ansietà e frustrazione : questo si riflette anche attraverso il corpo del personaggio, che risulta costantemente bloccato nel suo tentativo di dialogo. Il nudo reintroduce inoltre il tema della sessualità: Liv Schulman adotta la metafora del sex play come sinonimo di distruzione di legami e di relazioni. Il protagonista subisce infatti quello che è lo sguardo giudicante che i suoi potenziali ascoltatori, la città e lo spettatore gli rivolgono. Lo scambio non è possibile, il corpo è inerme e la sua realizzazione – identitaria e sessuale – preclusa.
Il lavoro di Liv Schulman si conclude con una serie di domande e questioni aperte a cui sembra rispondere attraverso una visione fantastica e rivoluzionaria in un completo ribaltamento del nostro punto di vista, neoliberale e capitalistico.
An international subconscious awareness of capitalism | Liv Schulman A plus A Gallery
Calle Malipiero, 3073, 30124 Venezia
Fino al 18 marzo 2020