Ha inaugurato da alcuni giorni Whisperers di Lito Kattou (Cipro, 1990), la mostra che da avvio a Corpo Celeste: il nuovo ciclo espositivo di Project Room, il progetto “osservatorio” di Fondazione Arnaldo Pomodoro dedicato agli sviluppi del panorama artistico internazionale, che quest’anno viene affidato alla curatrice Chiara Nuzzi (Napoli, 1986). In occasione di questo primo appuntamento, abbiamo posto alcune domande alla curatrice, sia in merito alla personale di Kattou sia al progetto Corpo Celeste.
Elena Bordignon: Prima di approfondire la mostra di Lito Kattou, vorrei che tu mi raccontassi il tema del ciclo espositivo di Project Room, che quest’anno ha per titolo Corpo Celeste. Quali tematiche affronteranno le mostre e perché hai scelto il libro della scrittrice Anna Maria Ortense, che ha come titolo proprio Corpo Celeste?
Chiara Nuzzi: Il progetto Corpo Celeste affronta il nostro presente – un presente fragile e in “crisi permanente” – attraverso la possibilità di ripensare e re-immaginare la realtà e le identità che la abitano grazie alle pratiche di due artisti internazionali, Lito Kattou (Cipro, 1990) e Paul Maheke (Francia, 1985), a cui sono destinate le due project room di quest’anno. La raccolta di saggi di Ortese, da cui nasce l’idea alla base del ciclo di mostre, mi ha accompagnato negli anni e ha da sempre una grande risonanza sia a livello personale che nella mia ricerca curatoriale per le tematiche che affronta ed evoca. Il libro è un invito a riconsiderare il presente, a superarlo e ampliarlo, espanderlo e attraversarlo in ogni sua possibile concezione; una ricerca narrativa (che per me è sempre legata a un immaginario visivo che da essa scaturisce) focalizzata sulle possibilità di meraviglia sulla terra, di spazi che trascendono la realtà. Citando l’autrice, si tratta di “un tentativo di restituire al reale il significato di appartenenza a un’altra realtà, più vasta e inconoscibile, con la quale sembrerebbe necessario, per rinnovarsi, confrontarsi ogni tanto”. A partire da queste riflessioni, ancora estremamente attuali, il programma espositivo vuole affrontare alcune delle istanze più urgenti del nostro tempo, offrendosi come spazio di meditazione in cui interdipendenza e interconnessione, alterità e rappresentazione del corpo, pensiero decoloniale e di emancipazione emergono attraverso le pratiche artistiche e i progetti espositivi: un’occasione di introspezione e di interrelazione individuale quanto collettiva.
EB: Sono due gli artisti in programma: la già citata Lito Katttou e Paul Maheke, artista francese in programma per settembre 2023. Ci sono delle consonanze nelle ricerche dei due artisti? Quali aspetti approfondiscono, in relazione al tema del progetto Corpo Celeste?
CN: Seppur formalmente molto diversi, Kattou e Maheke hanno sviluppato negli anni la capacità di creare delle grammatiche visive e di ricerca che li spingono verso tematiche vicine e interconnesse: l’uso della materia scultorea come possibilità generativa di contesti e paesaggi ideali e visivi speculativi, la messa in questione dell’identità e di una sua definizione univoca, la ricerca e creazione di narrazioni che si discostano da quella dominante e occidentale in favore di immaginari altri dove interconnessione e interrelazione tra soggettività sono possibili e realizzabili. In questa occasione, come già avvenuto in precedenza, Kattou affronta la dimensione collettiva grazie a una serie di nuove opere. Le Whisperers (in italiano “coloro che sussurrano”) sono sculture di grandi dimensioni che incarnano entità ibride e antropomorfe, qui colte in un momento di sosta durante un viaggio all’interno di un’ambientazione acronica in cui lo spazio, non antropocentrico, è privo di narrazioni gerarchiche e connotate. Il progetto di Maheke, che inaugurerà a settembre 2023, è incentrato al contrario su una dimensione più intima, che scandaglia lo spazio fisico, psicologico e relazionale che si crea tra due soggettività (ad esempio quello che può crearsi tra me e te), abbracciando scenari che indagano la creazione del mondo ed entità non umane, fantasmagoriche, animali o vegetali.
EB: In merito alla mostra di Kattou, quali aspetti del reale affronta l’artista con Whisperers?
CN: In linea generale, la ricerca di Kattou si ispira al postumanesimo e analizza l’interconnessione tra forze e identità diverse, stabilendo continui legami con il tema dell’alterità attraverso la rappresentazione di scenari spazio temporali sconosciuti e immaginifici. Come già in precedenza, anche nella mostra Whisperers – concepita e prodotta appositamente per il programma Corpo Celeste – emerge con forza l’idea di una comunità capace di individuare nuove potenziali strategie di coesistenza, sia tra propri simili che con specie diverse: questa tematica è alla base dell’esplorazione più recente condotta da Kattou attraverso la creazione delle sue sculture, entità che sono alla continua ricerca di modalità alternative di incontro e condivisione e che al loro interno inglobano disegni di paesaggi, animali o fiori, talvolta accompagnate inoltre da oggetti artigianali come reti o cestini. Kattou si domanda quale sia l’essenza del “noi”, un assemblaggio di relazioni tra interno ed esterno, presenza e assenza, immutabile e deperibile. Queste riflessioni sono molto presenti all’interno della nostra società e perseguono una visione che interroga criticamente il nostro modo di vivere nel tentativo di decostuirlo e reimmaginarlo secondo sistemi che non pongono più al centro l’essere umano ma che invece lo considerano parte ed elemento integrante di un ecosistema più ampio, delicato e complesso.
EB: Come in precedenti lavori, anche in questa occasione l’artista è influenzata dal contesto naturale, sociale e politico dell’area mediterranea? Come approfondisce certi temi o come li racconta con la sua ricerca?
CN: La ricerca di Lito Kattou è da sempre influenzata dal contesto naturale dell’isola natale, Cipro, quanto dal complesso contesto politico e sociale internazionale e dalla storia del suo paese. Mitologie, racconti, reperti archeologici e antichità tipiche dei luoghi in cui è cresciuta hanno senz’altro influenzato la sua pratica, inserendosi tuttavia in una visione più ampia e organica che riflette in modo trasversale sulla stratificazione e coesione di realtà e identità diverse. In questa specifica occasione, oltre alla presenza di alcuni fiori di cardo e di acanto che lei stessa raccoglie nell’area Mediterranea e tratta con il procedimento dell’elettroformatura e che appaiono spesso nelle sue sculture, l’artista allude, attraverso l’uso di alcuni cestini, anch’essi trattati con la tecnica dell’elettroformatura, alla tradizione di canestraie del suo paese, una comunità di donne abilissime nell’arte dell’intreccio che durante l’epoca della dominazione inglese su Cipro contribuì a rendere la zona di Mesoy (al tempo un area rurale situata a Ovest del paese), un importante centro per il commercio sfruttato dai coloni a loro vantaggio.
EB: Oltre allo spazio della Fondazione Pomodoro, l’artista espone un’opera alla Fondazione ICA. Che legame c’è tra le due fondazioni? Come si concretizza la collaborazione?
CN: Una delle sculture di Kattou, Whisperer V, è esposta sulla facciata di Fondazione ICA Milano. L’opera, che riprende coerentemente l’estetica e le simbologie delle altre quattro allestite negli spazi di Fondazione Pomodoro, è un ponte tra le due fondazioni e un simbolo della collaborazione tra istituzioni culturali e artistiche della città di Milano. Sia Fondazione Pomodoro che Fondazione ICA Milano infatti credono profondamente nella sinergia e collaboratività tra istituzioni culturali e artistiche, condividendo una mission culturale volta ad avvicinare nuovi pubblici e ad ampliare il proprio raggio di azione attraverso rinnovati contesti e direzioni inedite anche grazie alla ricerca e collaborazione le nuove generazioni di artisti.
EB: Nei progetti degli anni scorsi ospitati e promossi dalla Fondazione Pomodoro, si accentuava un possibile legame tra la ricerca di Arnaldo Pomodoro e le giovani generazioni di artisti. Idealmente, potremmo tracciare delle analogie tra la ricerca della Kattou e Pomodoro?
CN: La mostra segna sicuramente un ulteriore tassello nell’organicità della produzione di Kattou, che trova inoltre a livello formale un importante elemento di connessione con il lavoro di Arnaldo Pomodoro proprio nell’attenzione posta da entrambi alla superficie scultorea, all’epidermide dell’opera stessa. La mostra di Kattou, e in generale la ricerca che caratterizza il programma Corpo Celeste, si riconnette ad alcune delle tematiche affrontate dell’Open Studio #2 della Fondazione Pomodoro, in particolare la negazione e la sperimentazione, elementi che hanno caratterizzato la pratica di Arnaldo Pomodoro durante gli anni trascorsi a Berkeley (dal ’67 al ’70) in qualità di docente. L’esperienza artistica di Pomodoro in quella cornice temporale avvenne in un contesto estremamente fervido, nel quale iniziavano a diffondersi e imporsi con forza la lotta femminista, le grandi manifestazioni contro la discriminazione raziale e i contro i conflitti armati; tematiche ancora oggi urgenti e irrisolte.