“Imparavo finalmente, nel cuore dell’inverno, che c’era in me un’invincibile estate”. Il tema di quest’anno non poteva essere più suggestivo. L’edizione 2022 di Fotografia Europea – a cura di Walter Guadagnini e Tim Clark, visitabile fino al 12 giugno in varie sedi a Reggio Emilia – prende ispirazione da un componimento poetico di Albert Camus, che è parte di una raccolta più ampia scritta nel 1953. La frase citata è tratta dal saggio “Ritorno a Tipasa“, in cui lo scrittore racconta di un suo viaggio da Parigi a Tipasa, in Algeria, dove aveva trascorso i giorni più belli della sua giovinezza. Questa frase molto poetica esprime la necessità di ascoltare le forze interiori che ci guidano nei momenti difficili, le energie che ci aiutano nelle difficoltà momentanee o, ancora, scovare le nostre capacità di resistenza. Dopo uno dei periodi più complessi che abbiamo vissuto a causa della pandemia, il messaggio del Festival vuole essere fortemente positivo: resistere ed essere coraggiosi, guardare al mondo non solo senza timore, ma anche con un diverso spirito. Ecco allora che il linguaggio fotografico da sempre ci viene in aiuto proprio nel guidarci a guardare e scoprire nuovi modi per comprendere la realtà contemporanea.
Si è rivelata eccellente la selezione dei fotografi in mostra: eterogenei e imprevedibili, cadenzati da una diversità di linguaggi e soggetti, i vari progetti fotografici in mostra rivelano – ancora una volta – quanto il questo mezzo abbia non solo tantissimo da dire/mostrare, ma anche che lo sappia fare nei migliori modi possibili.
Per scoprire il Festival, ci siamo concentrati sulla sede che raccoglie il maggior numero di progetti, i Chiostri di San Pietro.
Idealmente il Festival si apre con l’ampia retrospettiva Mary Ellen Mark: The Lives of Women, a cura di Anne Morin. I lavori di Mary Ellen Mark in mostra raccontano la particolare sensibilità con cui la fotografa riusciva a calarsi in situazioni per molti versi estreme. Mark faceva parte del movimento di fotografia documentaristica sociale, che utilizzava la fotografia come strumento politico e artistico per promuovere la consapevolezza sociale.
Le sue foto sono considerate profondamente empatiche ed esistono grazie alle forti amicizie che Mark ha costruito e mantenuto (spesso continuando a fotografare per lunghi periodi) con molte delle persone che avevano accettato di diventare i suoi soggetti. Inevitabile paragonare la sua sensibilità alla grande fotografa Diane Arbus, ma a differenza di quest’ultima, negli scatti della Mark la distanza tra chi fotografa e chi è ritratto è immensamente ristretta. Esempio ne siano le fotografie che immortalano Tiny, la tredicenne in cui si è imbattute nelle strade di Seattle. La piccola prostituta appare in un ritratto in posa, serissima, con una cappellino a veletta che le copre il volto. Ma potremmo citare anche le serie che immortalano le pazienti del reparto psichiatrico dell’Oregon, le Missioni di carità di Madre Teresa, le prostitute di Falkland Road a Mumbai o la serie dedicata ai gemelli. Ogni progetto, a distanza di anni, mantiene la stessa fortissima densità esistenziale data dalla totale immersione della Mark nella vita di queste persone.
Oltre alla bellissima rassegna dedicata alla fotografa americana, Fotografia Europea dà ampio spazio a dei talenti più giovani. E’ il caso del Nicola lo Calzo con Binidittu: un progetto che, attraverso il racconto della storia e dell’eredità culturale di San Benedetto il Moro, prende in esame i rapporti fra la storia del colonialismo e l’identità culturale contemporanea. La mostra ripercorre nel percorso espositivo, composto da immagini di grande e medio formato, le tappe principali della biografia di Binidittu: dall’affrancamento dalla schiavitù alla sua morte, dall’utopia post razzista alla beatificazione, permettendo così una riflessione sulla condizione delle persone migranti nel Mediterraneo.
Nella sala successiva, Hoda Afshar, attraverso gli scatti del complesso progetto Speak The Wind svelagli straordinari paesaggi dell’Iran, la sua gente e i loro rituali, fotografando il vento e gli intrecci di tradizioni e credenze che porta con sé, per formare una registrazione visibile dell’invisibile attraverso l’occhio dell’immaginazione.
All’insegna del ‘collage fotografico’ la serie di Carmen Winant Fire on World. Per le sue installazioni la Winant non utilizza delle fotografie fatte da lei, ma degli scatti che lei trova nelle sue ricerche. Spiega il curatore Tim Clark: “Negli scatti che vediamo nei 5 proiettori in mostra, non c’è una storia singola che viene raccontata, ma ci sono tante storie che vanno a intessere insieme tante narrative: vediamo scene di protesta, gambe di donne, lo sbarco sulla Luna, situazioni più intime. Viste nel loro insieme queste immagini mettono a fuoco una mancanza di calma a livello sociale: vediamo momenti di rivolta, delle sommosse per rivendicare dei diritti sociali come l’aborto o le questioni razziali. Tutti questi sono fatti bloccati nel tempo, che però, installate come video proiezioni, vanno a creare un’unica grande visione di disordine e caos.”
La serie First Trip to Bologna 1978 / Last Trip to Venice 1985è stata presentata come una vera e proprio ‘chicca’ del festival. La serie – alla sua premier – è stata realizzata da Seiichi Furuya, fotografo leggendario giapponese che fu tra i fondatori della rivista Camera Austria. Il lavoro al festival è dedicato alla moglie ed è stato realizzato in due periodi distinti.
“In queste toccanti immagini, il fotografo va a sondare tutti quelli che sono i suoi ricordi legati alla moglie. In un’intervista, Furuya ha detto che l’abilità di dimenticare è estremamente importante per l’essere umano, eppure la fotografia resiste a questa capacità” racconta Tim Clark, “In particolare ha detto che la fotografia è come un demone che è in grado di prendere un momento del passato e di farlo diventare un presente eterno. Questa mostra descrive due vacanze che hanno fatto assieme, la prima a l’ultima: come se fossero due parentesi che racchiudono tutta la loro vita trascorsa assieme, finita in modo tragico con il suicidio della moglie.”
Da sinistra a destra abbiamo il viaggio a Venezia, da destra a sinistra abbiamo il viaggio a Bologna. Queste narrazioni che si uniscono al centro, per creare una commistione su come i ricordi si vanno a mischiare tra di loro.
Introduce il progetto Benny Profane di Ken Grant – fotografo della generazione di Martin Parr e Paul Graham – Walter Guadagnini: “Grant, in questa serie, racconta un momento della vita decisamente difficile di queste persone nell’Inghilterra post-thacheriana. Riesce a raccontare, in modo empatico, alcuni brani dell’esistenza di questi lavoratori. Lascia emergere, con naturalezza, l’individualità dei soggetti; non sono solo pretesti per una bella immagine. In questa serie, forse più di altre, si evince il tema dell’intero Festival, “Un’invincibile Estate”: la speranza di intuire che nelle difficoltà, si può intravedere un futuro, una prospettiva che va oltre il malessere del presente.”
Tra il 1989 e il 1997 l’autore si immerge nella realtà di un distretto portuale nei dintorni di Liverpool. I suoi scatti restituiscono un resoconto di parentela e sfida in una terra difficile, un ritratto coinvolto delle persone che lì hanno trascinato le loro vite, plasmando quella terra durante i suoi ultimi anni, prima di essere dismessa e diventare riserva naturale.
Coinvolge per le grandi dimensioni dell’installazione, l’opera del fotografo cinese, ma di base a Chicago, Guanyu Xu. Nella serie in mostra Temporarily Censored Home, prodotta tra il 2018 e il 2019, Xu torna a Pechino e crea segretamente delle installazioni fotografiche nella casa dei suoi genitori, utilizzando immagini recuperate da riviste e dominate da rappresentazioni di uomini bianchi. Tim Clark, spiega: “In mosta ci sono cinque billboards, con delle immagini sia sul fronte che sul retro. In queste fotografia in formato gigante troveremo immagini raccolte da film occidentali, riviste di moda, ritratti presi da album di famiglia, assieme ad autoritratti di Xu da solo o con degli amanti uomini. Il risultato è da pensare come una performance di tipo politico e culturale. E’ importante sapere che Guanyu Xu è cresciuto in un’ambiente molto conservatore, non solo, abitava in un comlesso abitativo militare dove veniva scoraggiato qualsiasi comportamento che non fosse eteronormativo.” In questa serie, composta da un mosaico di immagini che si sovrappongono, che si confonfondono sia visivamente che temporalemente, ci restituisce una visione caleidoscopica dell’esistenza con i suoi limiti e potenzialità.
Segue la fotografa Chloé Jafé con I give you my life, serie da cui è stata scelta l’immagine guida del Festival: un volto di donna immortalato di tre quarti, con un intervento pittorico che le copre lo sguardo. Nel 2013 La fotografa si trasferisce a Tokyo con l’ambizione di incontrare e conoscere la storia e le vite delle donne della Yakuza – la mafia giapponese. In mostra una lunga serie di scatti in bianco e nero che oscillano tra dimensioni intimiste e altre più brutali, feroci, su cui la Jafè non esita a intervenire lavorando direttamente con acrilico e pennello, per rivelare una visione estremamente poetica, personale e certamente inedita di aspetti nascosti della società giapponese.
Anche nella serie di Jonas Bendiksen, per molti aspetti la macchina fotografica si intrufolanella vita delle persone, ma in modo che potremmo definire tutto contemporaneo. Nel 2016 i giovani della cittadina macedone di Veles crearono centinaia di siti web clickbait spacciandoli per portali di notizie politiche americane e trasformarono così Veles – città che prende il nome di un antico dio slavo, noto per aver diffuso caos, malizia e bugie – in un centro di produzione di fake news. Jonas Bendiksen utilizza queste storie come sfondo per generare caos nella comunità del fotogiornalismo. Bendiksen pubblica The Book of Veles, che si rivela subito un successo immediato nella comunità del fotogiornalismo, fino a quando Bendiksen non rivela che il contenuto del libro è un grande falso. In mostra delle immagini di questo progetto, tutte esclusivamente prelevate da internet. Tra le foto anche dei testi con delle fake news.
In altre sedi, si segnala la mostra Doorway di JitkaHanzlová a Palazzo da Mosto. Invitata da Fotografia Europea a realizzare una commissione sul tema del festival, la fotografa ceca è tornata a Reggio Emilia dopo 17 anni per raccontare, ritraendo minori con un passato migratorio, come le forze di resilienza degli adolescenti siano oggi particolarmente sollecitate dai risvolti sociali. Il risultato sono ritratti di ragazzi e ragazze sulla soglia, in un momento di passaggio, a metà tra il passato e il futuro.
Nel trentennale della scomparsa di Luigi Ghirri, a Palazzo dei Musei, la mostra In scala diversa. Luigi Ghirri, Italia in miniatura e nuove prospettive, a cura di Ilaria Campioli, Joan Fontcuberta e Matteo Guidi. Partendo dalla serie In scala realizzata da Luigi Ghirri in più riprese, dalla fine degli anni Settanta alla prima metà degli Ottanta, nel parco divertimenti Italia in Miniatura di Rimini, la mostra approfondisce i temi del doppio, della finzione e dell’idea stessa di realtà, creando un dialogo con la raccolta – disegni, cartoline, documenti e immagini provenienti dall’archivio del parco – accumulatasi dalla metà degli anni Sessanta a seguito dei numerosi viaggi del fondatore Ivo Rambaldi lungo tutta la penisola, allo scopo di raccogliere quanta più documentazione visiva possibile per la costruzione dei plastici.
I Chiostri di San Domenico ospitano la nona edizione di Giovane Fotografia Italiana, progetto del Comune di Reggio Emilia che valorizza i talenti della fotografia italiana contemporanea under 35. La mostra,significativamente intitolata Possibile, a cura di Ilaria Campioli e Daniele De Luigi, presenta le ricerche di Marcello Coslovi, Chiara Ernandes, Claudia Fuggetti, Caterina Morigi, Giulia Parlato, Riccardo Svelto, Giulia Vanelli, artisti selezionati da una giuria internazionale, composta dai curatori e da Chiara Fabro – Festival Panoràmic di Barcellona, Shoair Mavlian – Photoworks di Brighton e Krzysztof Candrowicz – Fotofestiwal di Łódź.Novità di questa edizione è l’istituzione del Premio Luigi Ghirri, nel trentennale della scomparsa dell’autore, in collaborazione con l’Archivio Eredi Luigi Ghirri.
Segnaliamo anche la Collezione Maramotti che dedica la sua mostra al fotografo Carlo Valsecchi. Per questa occasione sono esposte 44 fotografie di grande formato che costituiscono Bellum , che racconta il conflitto ancestrale tra uomo e natura e tra uomo e uomo.
Per il programma completo LINK —