Testo di Roberta Stefani —


Il primo impatto con “Nosso Barco Tambor Terra” (La nostra barca tamburo Terra) è di sorpresa e meraviglia: l’installazione occupa l’intera ala nord della navata centrale del Grand Palais, a Parigi. Un intrico di tele lavorate all’uncinetto, sostenute da tiranti e pesi legati alla struttura architettonica del palazzo, forma una maestosa costruzione porosa che dal basso ricorda una tenda. L’artista brasiliano Ernesto Neto (Rio de Janeiro, 1964) realizza un’opera multisensoriale che può essere compresa solo da vicino e soprattutto dall’interno. La mostra è visitabile gratuitamente dal 6 giugno al 25 luglio 2025.
Camminando sulla corteccia a piedi scalzi ci si inoltra nell’opera, che da tenda protettrice prende le sembianze di un bosco fitto di rami e tronchi. Dalle tele sopra la nostra testa pendono dei bozzoli di tessuto, impregnati di profumi e spezie. Avanzare non è facile, e come in una caccia al tesoro scopriamo a ogni passo degli strumenti musicali avviluppati nelle maglie: tamburi di ogni forma e dimensione, maracas e campanelle provenienti da tutto il mondo. L’opera prende vita e si anima di suoni, odori e movimento, prodotti da chi vi si immerge. Si crea una melodia casuale e disordinata, pulsante, come si auspica l’artista. L’ambiente ispira una fondamentale connessione con la natura ed esplora la continuità tra i nostri corpi e quello della Terra, attraverso artigianato, materiali organici e tecniche ancestrali.
L’opera si ispira all’impatto della navigazione sul mondo e sugli esseri umani. La forma di nave si percepisce osservandola dall’alto: ogni elemento che la compone, compresi noi che la attraversiamo, è connesso, come parti di un corpo vivente. Un movimento da un lato, ne genera uno contrario in un altro punto. Legami e trasformazioni nelle relazioni tra le persone e i luoghi, gli effetti delle navigazioni e degli spostamenti via mare dei popoli.
Neto trasforma le immagini e i simboli associati con queste storie in un rituale collettivo, riflettendo sulle lotte della colonizzazione e sulla resilienza delle culture che emergono dalla mescolanza di popoli e tradizioni. L’artista sembra alludere alla possibilità di una comunicazione universale, tra esseri umani e con la natura, attraverso pulsazioni e ritmi.



