ATP DIARY

L’image volée — Fondazione Prada

[nemus_slider id=”54260″] — “I bravi artisti copiano, i grandi artisti rubano”, diceva qualcuno. Un aforisma che potrebbe riassumere la mostra “L’image volée” a cura di Thomas Demand, alla Fondazione Prada fino al 28 agosto. Non solo perché parla di copiare/rubare...

[nemus_slider id=”54260″]

“I bravi artisti copiano, i grandi artisti rubano”, diceva qualcuno. Un aforisma che potrebbe riassumere la mostra “L’image volée” a cura di Thomas Demand, alla Fondazione Prada fino al 28 agosto. Non solo perché parla di copiare/rubare ma perché la frase è stata a sua volta oggetto di furto e riappropriazione, riproposta nel corso dei decenni con qualche variazione, passando da T.S. Eliot a Igor Stravinsky, a William Faulkner e infine a Steve Jobs, che la riprende negli anni Novanta affermando di citare Picasso, attribuzione non certa ma oggi ampiamente diffusa in rete (di Picasso è invece: “se c’è qualcosa da rubare, io rubo”). “L’immagine rubata” è dunque una mostra incentrata sul furto e l’appropriazione nell’arte, ma anche una riflessione su quell’infinito telefono senza fili o passaggio di testimone o circolo di interlocutori sparpagliati nel tempo e nello spazio che è l’arte.

La collettiva potrebbe essere considerata un approfondimento intorno a questioni che già la personale di Goshka Macuga, anch’essa in corso alla Fondazione Prada, ha sollevato: la dipendenza dell’atto creativo dal suo contesto, l’utilizzo di opere altrui per generare una narrazione propria, la cultura come concatenazione di rapporti tra interlocutori, la storia dell’arte come serbatoio dal quale attingere liberamente, l’artista come curatore. Tuttavia, se Macuga riflette su tempo, origine, fine, collasso e rinascita, reinterpretando la storia dell’arte con una certa solennità, incarnata dall’androide predicatore, archivio “vivente” del pensiero umano, Demand interpreta il ruolo di curatore con fare astuto e divertito: la sua mostra è una vera e propria antologia ragionata sul tema del furto o, come dice il testo con cui la presenta, “un’esplorazione non convenzionale di questo tema tramite modalità proprie dell’indagine empirica”.

Allestita su un’architettura in legno realizzata appositamente da Manfred Pernice per gli spazi della Fondazione, la mostra è pubblicizzata per le strade di Milano da cartelloni e manifesti di John Baldessari, mentre il catalogo include due racconti inediti di Ian McEwan e Ali Smith, a sottolineare quel passaggio di mano in mano di immagini e idee che contraddistingue molte delle opere esposte. “L’image volée” si sviluppa in tre diverse sezioni, a loro volta divise in sottogruppi: una struttura apparentemente complessa ma entusiasmante per coloro che avranno voglia di immergersi nell’accurato lavoro di categorizzazione messo in atto da Demand.

L’IMAGE VOLE?E Exhibition view at Fondazione Prada – Milano,    Photo Delfino Sisto Legnani Studio Courtesy Fondazione Prada
L’IMAGE VOLE?E Exhibition view at Fondazione Prada – Milano, Photo Delfino Sisto Legnani Studio Courtesy Fondazione Prada

La prima sezione, Literally Stealing, presenta opere incentrate sul tema del furto vero e proprio. “Vault”, Una fotografia dello stesso Demand, riproduce un magazzino dove sono state trovate opere d’arte che si credevano disperse, tra le quali alcune importanti tele dell’Impressionismo. Come sempre, nel caso delle fotografie di Demand, si tratta di un’accurata ricostruzione tridimensionale del soggetto della fotografia originaria (in cui le tele, tra l’altro, erano voltate verso il muro). Una prova fasulla quindi, ma anche un’opera d’arte cieca realizzata riproducendo opere d’arte nascoste. Un altro esempio dei lavori in mostra in questa sezione è il bellissimo “Purloined: Lucian Freud, Portait de Francis Bacon, 1998 – 2013”, di Sophie Calle. Calle chiede ai dipendenti di museo che avevano lavorato in presenza di diverse opere poi rubate di provare a descriverle. In questo caso il quadro è il ritratto di Bacon a opera di Freud e basta leggere le descrizioni incorniciate da Calle per capire molte cose sull’arte, su Bacon, su Freud e sul potere dello sguardo della mente e sulla fallacia della memoria. L’opera di Calle si basa sulla cancellazione e, narrando un’assenza, tenta di creare una presenza. Demand mette in atto un’operazione ulteriormente complessa, che si mantiene instabile tra presenza/assenza. Maurizio Cattelan, esilarante come suo solito, mette in scena un’assenza per ottenere una presenza e ruba un’opera inesistente (a se stesso) per ottenerne una reale: nel 1991, trovandosi con le mani vuote alla vigilia dell’inaugurazione di una mostra, Cattelan va a denunciare il furto di una “scultura invisibile” dalla sua auto, convince l’agente di guardia a verbalizzare il furto, incornicia il verbale e lo espone come opera.

La seconda sezione, Iconographic Poaching, si concentra sull’appropriazione dell’immagine e quindi su processi di frode iconografica. Banconote contraffatte, sassi di bronzo dipinti indistinguibili da sassi veri, imposture – un artista che scopre un disegno firmato da un altro artista con lo stesso nome e lo presenta come suo – e manipolazioni – Hans-Peter Feldmann disegna un naso rosso da clown sulla banconota inglese di valore più basso, “aumentandone esponenzialmente il valore economico mediante un atto di vandalismo”. A quarant’anni, già famoso, Jean-Auguste-Dominique Ingres, ossessionato da Raffaello, copia l’autoritratto che il pittore italiano si fece più di tre secoli prima, a 21 anni. Marchel Duchamp invece aggiunge due gocce di colore e la sua firma alla riproduzione di un paesaggio invernale e la intitola Pharmacie. Ritagli, copie, mutuazioni, decontestualizzazioni. Le opere più emozionanti di questa sezione sono le tele tagliate di Francis Bacon: nel 1998 i curatori della Hugh Lane di Dublino trasferiscono i contenuti dello studio londinese di Bacon e trovano più di cento ritratti in cui il viso è stato tagliato via dall’artista stesso, probabilmente impaurito dall’idea che opere da lui ritenute non buone potessero circolare. Ma i lavori sono davvero tanti e molto belli, primo tra tutti Fountain di Guillaume Paris, e poi Mark Leckey, Ceal Floyer, Pierre Bismuth e altri.

La terza sezione, Pictures that Steal, è allestita nel piano interrato e si basa sull’atto fotografico come furto di un’immagine. Immagini indiscrete, basate sull’atto di sbirciare, pedinare, prendere di mira, sorvegliare. Troviamo le famose stanze di Sophie Calle, realizzate quando nel 1981 si fa assumere come cameriera in un albergo di Venezia e inizia a dar forma a un inventario fotografico degli oggetti lasciati nelle camere. Christopher Williams invece richiede dall’archivio Kennedy tutte le foto scattate al presidente quando è di spalle in un determinato giorno qualche mese prima del suo assassinio. E poi: la telecamera di Thomas Demand (Camera, 2007) puntata su una telecamera di sorveglianza, Viktoria Binschtok che fotografa un assembramento di paparazzi nell’atto di fotografare qualcuno che non si vede, Trevor Paglen che con suggestive foto subacquee ritrae i cavi sottomarini di internet intercettati dai servizi segreti e i dispositivi di spionaggio utilizzati nella DDR e in Unione Sovietica per controllare i cittadini.

Durante la preview per la stampa ho cercato di “rubare” qualche parere: la maggior parte delle persone con cui ho parlato trovavano la sezione del piano interrato la più interessante e apprezzavano meno le prime due, più concettuali e disordinate. In effetti l’allestimento è volutamente sbrigativo, nello stile di Manfred Pernice, e forse penalizza alcune opere: nonostante questo ho trovato le prime sezioni le più interessanti.

Una riflessione: nel 2010 David Shields scrive un manifesto, come facevano quelli delle avanguardie artistiche, in cui sostiene la tesi che siamo tutti stufi del romanzo, dell’invenzione, delle grandi trame, e abbiamo voglia di pescare liberamente dal materiale di cui disponiamo e sentire e leggere storie reali, fare collage, mixare, usare la realtà in modo diretto, senza camuffamenti e trasposizioni. Niente di nuovo, ma la cosa interessante è il modo in cui Shields scrive questo manifesto e cioè mettendo in pratica la teoria: il libro è infatti composto di frammenti che lui ruba e riprende da altri libri senza indicarne la fonte (se non nell’appendice finale) mixati con pensieri suoi. Il libro, del 2010, si chiama “Fame di realtà”.

Credo che questa mostra stimoli il tipo di fame descritto da Shields: cos’è rubare infatti, se non pescare direttamente dalla realtà, appropriarsi di un altrove che sentiamo vicino? Da sempre fare arte è ideare nuovi modi per gestire questi tipi di furto (di opere, storie, immagini, idee) e trovare modalità, oggi forse meno camuffate, più audaci e dirette che in passato – ma non meno complesse – di stimolare questa nostra insaziabile fame di realtà.

L’IMAGE VOLE?E Exhibition view at Fondazione Prada – Milano Photo Delfino Sisto Legnani Studio Courtesy Fondazione Prada
L’IMAGE VOLE?E Exhibition view at Fondazione Prada – Milano Photo Delfino Sisto Legnani Studio Courtesy Fondazione Prada
L’IMAGE VOLE?E Exhibition view at Fondazione Prada – Milano - Empty frame of Vincent van Gogh’s Portrait of Dr. Gachet (1890) John Baldessari “L’image vole?e” poster,   2015 – 2016 Stolen Pictures,   1948 Brochure - Photo Delfino Sisto Legnani Studio,   Courtesy Fondazione Prada
L’IMAGE VOLE?E Exhibition view at Fondazione Prada – Milano – Empty frame of Vincent van Gogh’s Portrait of Dr. Gachet (1890) John Baldessari “L’image vole?e” poster, 2015 – 2016 Stolen Pictures, 1948 Brochure – Photo Delfino Sisto Legnani Studio, Courtesy Fondazione Prada