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LIAF 2022 | Intervista con il duo curatoriale Francesco Urbano Ragazzi

Intervista di Marina Silvello — È in corso fino al 2 Ottobre LIAF – Lofoten International Art Festival, la biennale d’arte contemporanea più longeva della Scandinavia, che festeggia quest’anno il suo 30° anniversario con un’edizione a cura di Francesco Urbano Ragazzi. Il festival ha un carattere nomade e si svolge ogni due anni in sedi sempre […]

Intervista di Marina Silvello

È in corso fino al 2 Ottobre LIAF – Lofoten International Art Festival, la biennale d’arte contemporanea più longeva della Scandinavia, che festeggia quest’anno il suo 30° anniversario con un’edizione a cura di Francesco Urbano Ragazzi. Il festival ha un carattere nomade e si svolge ogni due anni in sedi sempre diverse nelle isole Lofoten, un arcipelago al di sopra del Circolo Polare Artico. I curatori ci hanno raccontato la genesi di questa edizione tra miti, finzioni, catastrofi naturali, mostri, tecnologia, aspirazioni e desideri.

Marina Silvello: Partiamo dal titolo che avete scelto, Fantasmagoriana, che ci riporta all’omonima antologia di racconti gotici del 1800 che, nel mezzo di un’epidemia di colera scatenata da disastrosi eventi climatici, ha ispirato due scrittori, che si trovavano in isolamento con un gruppo di amici in Svizzera, a scrivere altri due romanzi dell’orrore: The Vampyre di John Polidori (che ispirerà Dracula di Bram Stoker) e Frankenstein di Mary Shelley. Oltre alle ovvie similitudini in fatto di crisi climatica ed epidemie, in che modo Fantasmagoriana risulta ancora attuale nella nostra contemporaneità? 

Francesco Urbano Ragazzi: LIAF 2022 Fantasmagoriana non ha al suo centro un concept, ma un racconto orale che abbiamo condiviso con tutti gli artisti cui abbiamo chiesto di partecipare. In un intreccio di eventi naturali, politici e di finzione, questa storia racconta la regione artica come un territorio che da due secoli è investito da una violenta economia estrattiva. Ci parla dell’eterno ritorno del gotico inteso come rimescolamento delle categorie di finzione e realtà, storia ufficiale e narrazioni. Ci parla di comunità che si riuniscono in situazioni di isolamento, del rapporto tra eternità e tecnologia. Ci parla di tutto quello che gli artisti hanno voluto leggere nelle parole che hanno sentito il giorno del nostro invito.   

MS: Quali sono oltre a questa storia, gli altri riferimenti che avete utilizzato per lo sviluppo dell’intero progetto?

FFUR:Siamo partiti da una mappa concettuale ramificata che gradualmente si è andata a sovrapporre a quella geografica delle Lofoten. Come sempre avviene nei nostri progetti, la ricerca delle sedi è stata fondamentale: LIAF lascia carta bianca ai curatori quindi potenzialmente avevamo a disposizione l’intero arcipelago. Da lì, rispettando la natura nomade della biennale, siamo andati alla deriva. Con Pauline Curnier Jardin siamo entrati nel carcere femminile della Giudecca; con Tomaso De Luca ci siamo introdotti nella residenza veneziana di due collezionisti; con Nolan Oswald Dennis e Raffaela Naldi Rossano siamo salpati a bordo di Helmer Hanssen, una nave in cui gruppi di biologi fanno ricerche sui microrganismi nelle aree costiere del mare di Barents; con Thebe Phetogo, Gaia Fugazza e Olof Marsja ci siamo immersi nelle pagine del mito Sàmi intitolato “Il corteggiamento del figlio del sole nella terra dei giganti”.  Se invece vuoi sapere di più dei nostri riferimenti bibliografici, li abbiamo nascosti nell’opera di Kenneth Goldsmith che abbiamo prodotto in collaborazione con il Kunstnernes Hus. Kenneth ha interamente ribattuto a macchina più di duecento libri della sua biblioteca: tra questi sono nascosti alcuni titoli che gli abbiamo suggerito e che formano la bibliografia di Fantasmagoriana.   

MS: Come avete selezionato i 36 artisti in mostra? Cosa hanno o non hanno in comune questi artisti? Quanti di loro sono locali e quanti invece si sono dovuti spostare per partecipare alla biennale?

FFUR:Il processo di selezione degli artisti altro non è stato che l’espansione della mappa della mostra verso ricerche che in qualche maniera ci sembravano rispondere a Fantasmagoriana. 
Siamo partiti da circa 120 artisti per poi arrivare a un gruppo più ristretto di 36. Alcuni sono vecchie conoscenze a noi vicine e altri nuove relazioni che abbiamo instaurato lungo il percorso. Abbiamo ricevuto circa 200 portfoli di artisti di provenienza norvegese e questo ci ha consentito di fare molte scoperte. Quella forse più eclatante è Aege Gaup, uno scultore, scenografo e attivista politico Sàmi che purtroppo ci ha lasciato qualche mese fa. Il suo lavoro mescola l’impegno politico, la sapienza nell’uso dei materiali (soprattutto il legno e la pietra) e un’estrema rarefazione poetica. La presenza di giovani artisti di origine Sàmi come Olof Marsja ed Elina Waage Michalsen evidenzia alcuni tratti comuni nell’utilizzo di tecniche artigianali per trascendere la natura fisica degli oggetti.
In maniera non dissimile gran parte delle opere in mostra sono delle vere e proprie fantasmagorie che portano in scena mostri, paure, aspirazioni e desideri del nostro tempo.

MS: Avete scelto la città di Kabelvåg per questa biennale perché era il luogo in cui l’artista dada Kurt Schwitters è stato confinato durante l’occupazione nazista della Norvegia.

FFUR: Schwitters è presente in catalogo con un racconto per la prima volta tradotto in inglese, “L’uomo nella macchina”. Il suo Merzbau è stato distrutto e ricostruito tre volte mentre lui fuggiva dal regime nazista: una delle versioni della scultura era stata costruita proprio in Norvegia. Abbiamo pensato molto alla resistenza e alla vitalità di quell’opera. Una delle sedi di Fantasmagoriana si trova nell’aula di tribunale da cui passavano i dissidenti durante la guerra. Lì sono esposte le sculture di Marianne Berenhaut, una sopravvissuta belga ai campi di sterminio.  

MS: Avete scelto Kabelvåg anche perchè è la sede della Nordland Art and Film School, che rappresenta l’eccellenza nel campo della moving image. È dunque questo il medium che avete prediletto per le opere esposte? 

FFUR:Sicuramente Fantasmagoriana è almeno in parte dedicata agli studenti della Nordland Art and Film School. Con loro abbiamo realizzato un film collettivo durante i mesi di preparazione del progetto. Proprio pensando alla presenza della scuola in città, nel percorso espositivo abbiamo incluso una sorta di storia divergente delle immagini in movimento. Di Jonas Mekas non esponiamo film in 16mm ma un estratto dal suo online diary, di Tsai Ming Liang presentiamo enormi disegni su carta, di Stan VenDerBeek un’opera storica di mail art, la net artist Auriea Harvey mostra sia un videogioco che due stampe 3D, Cheryl Donegan delle pitture componibili che ricordano lo scroll di un social network, Tomaso De Luca due video che però sono pensati come sculture. Jennifer West ha prodotto per LIAF 2022 un’installazione che occupa due piani di una scuola in cui immagini analogiche e digitali collassano in un’opera che parla essa stessa di cos’è cinema oggi. 

Conceptual Map Fantasmagoriana

MS: Come avete scelto i 5 siti intorno alla città di Kabelvåg dove si svolge il festival?

FFUR:Quando si pensa alle isole Lofoten si pensa sempre a paesaggi naturali da sublime kantiano. Noi abbiamo voluto insistere invece sulle comunità umane che convivono con questo paesaggio. Abbiamo quindi scelto di collocare la mostra in sei istituzioni della città che nel tempo hanno cambiato la loro funzione: il centro d’arte che organizza la biennale, lo storico tribunale della prigione che oggi ospita uno spazio collettivo, il black box della scuola di cinema, i due edifici della ex scuola elementare che presto saranno abbattuti, il museo Espolin. Sono tutti spazi che appartengono alla memoria collettiva.

MS: Tra questi siti, il North Norwegian Art Center è stato concepito come una data room, una mappa concettuale, dove, come in una wunderkammer, la meraviglia o la forza narrativa generata dalle opere prevale sulla loro originalità e sulla loro coerenza reciproca, quindi opere appartenenti a tempi lontani tra loro e a diverse aree geografiche coesistono. Un metodo di archiviazione ancora molto lontano dagli standard museali occidentali e che mi sembra vicino a quello utilizzato da Aby Warburg nel suo Atlas Mnemosyne, almeno per la capacità di stabilire gerarchie e tassonomie senza precedenti. In che modo secondo voi questo metodo potrebbe stimolare l’assopita memoria collettiva del nostro presente?

FFUR: Quando abbiamo visitato i musei del Nord Norvegia ci siamo subito resi conto di trovarci di fronte a una concezione della museografia del tutto diversa dalla nostra. Non solo oggetti del folklore sono esposti insieme a opere d’arte e diorami in ambienti immersivi, ma le stesse opere d’arte sono spesso presentate in forma di copie o riproduzioni fotografiche. Abbiamo deciso di prendere sul serio questa confusione tra originale, copia, ricostruzione e apparato informativo. Ci è sembrato che questo modo di archiviare facesse prevalere un senso di comunità fondato sulle possibilità della narrazione piuttosto che sull’oggettività del reperto. Questi spazi contestano l’autonomia dell’arte forzando un dialogo tra discipline disparate. La mostra al North Norwegian Art Center, il nostro Data Centre, funziona allo stesso modo. Abbiamo raccolto lì tutte le opere e gli oggetti che hanno ispirato la nostra biennale: dalla tassidermia di un vitello siamese agli acquerelli di Stine Colban Aas, una cartografa che nel XIX secolo usò il suo sapere scientifico per dipingere paesaggi onirici. Il percorso è aperto da un estratto dal videodiario di Jonas Mekas che si esprime contro le biennali e i grandi eventi d’arte. Per noi le parole di Jonas sono state un manifesto.
MS: Nella stratificazione semantica di opere, e dunque di immagini e storie, provenienti da tempi e mondi lontani tra loro, ritorna l’elemento mitico, di cui spesso l’Occidente sembra essersi dimenticato, anche se, come diceva già Walter Benjamin nel 19º secolo, ci sono enormi corrispondenze tra il mondo della tecnologia moderna e il mondo arcaico dei simboli mitici. Come i miti hanno influenzato il vostro lavoro di curatela e quello degli artisti?

FFUR:Di solito si pensa ai miti come fondativi di un’identità nazionale. È per questo che in genere piacciono all’estrema destra. Se invece leggiamo le ricerche di Carlo Ginzburg o di Lucy Audley-Miller, capiamo quanto i miti fossero anche macchine narrative malleabili, che viaggiavano assieme alle merci e alle persone, connettendo culture. A noi del mito interessa questa capacità plastica, connettiva e adattativa, che non fissa l’opera in un prodotto ma la espone a una continua possibilità di riscrittura. Nelle opere di Kaare Espolin Johnson, per esempio, un pittore vissuto alle Lofoten e affetto da cecità fin da bambino, convivono la mitologia norrena, quella Sàmi e la rappresentazione della vita dei pescatori in una stratificazione temporale profondissima.


MS: In che modo il modello proposto da LIAF scardina e ripensa i modelli di produzione delle maggior parte delle biennali contemporanee? Mi riferisco, non solo alla questione della sostenibilità, ma anche, come accennavo prima, alle modalità curatoriali messe in atto.

FFUR: Per posizione geografica LIAF è stata forse la prima biennale a confrontarsi con la necessità di ripensare il modello produttivo dei grandi eventi d’arte. Noi abbiamo cercato di rispondere alla storia pionieristica di questa istituzione in diversi modi. Nella preview a Venezia abbiamo voluto riflettere sulla temporalità delle biennali, producendo un’opera permanente di Pauline Curnier Jardin per il carcere femminile della Giudecca: la immaginiamo idealmente preservata nei secoli. In tutte le sedi di Fantasmagoriana abbiamo poi ridotto ai minimi termini l’exhibition design, preferendo che le opere si confrontassero direttamente con le architetture che le ospitano. In questo senso abbiamo voluto lavorare il più possibile con materiali e apparati tecnologici già presenti sul posto, anche se magari non di standard museale. Per ridurre l’impatto dei trasporti, abbiamo scelto molte opere che possono raggiungere dimensioni monumentali pur essendo leggerissime, come le pitture su seta di Emma Talbot, il muro cinematico di Stan VanDerBeek o le sculture di Marianne Berenhaut. Abbiamo scelto in maniera programmatica di adottare una curatela povera.   

Gli Artisti —

Nora Al-Badri, Bassam Al-Sabah, Marianne Berenhaut, Alessandra Cianchetta, Kirstine Colban Aas, Pauline Curnier Jardin, Tomaso De Luca, Nolan Oswald Dennis, Cheryl Donegan, Kaare Espolin Johnson, Gaia Fugazza, Aage Gaup, Kenneth Goldsmith, Shadi Habib Allah, Auriea Harvey, Susan Te Kahurangi King, Tomáš Kajánek, Lars Laumann, Sonia Leimer, Olof Marsja, Mary Haugen, Jonas Mekas, Haroon Mirza, Raffaela Naldi Rossano, Eivind H. Natvig, New Mineral Collective, Thebe Phetogo, Christine Rebet, Sille Storihle, Tine Surel Lange, Emma Talbot, Tsai Ming-Liang, Stan VanDerBeek, Rimaldas Vikšraitis, Elina Waage Mikalsen, Jennifer West, plus artworks, objects, documents and curiosities from different collections in Lofoten. 

Museum Under Destruction
Blue Black box
Adjourned Courtroom
Museum of the Sun