ATP DIARY

L’essenziale è invisibile agli occhi — 
In conversazione con Alice Mestriner e Ahad Moslemi

Intervista di Deborah Maggiolo — Rendendo manifesta la materialità vibrante del mondo, la polvere è s/oggetto centrale nella poetica di Alice Mestriner (Treviso, 1994) e Ahad Moslemi (Teheran, 1983), che nella propria ricerca sulla (tras)formazione dei significati danno corpo a opere in costante tensione tra l’essere in atto e l’essere in potenza, interrogandosi sulle costruzioni […]

Studi di polvere e frammenti, 2022, scansioni su carta coronata, 21 x 29 cm ciascuna, veduta della mostra “Hyper Dust – A Series of Post-Human Relations”, depositomele 2022.Courtesy – foto Alice Mestriner, Ahad Moslemi e depositomele

Intervista di Deborah Maggiolo

Rendendo manifesta la materialità vibrante del mondo, la polvere è s/oggetto centrale nella poetica di Alice Mestriner (Treviso, 1994) e Ahad Moslemi (Teheran, 1983), che nella propria ricerca sulla (tras)formazione dei significati danno corpo a opere in costante tensione tra l’essere in atto e l’essere in potenza, interrogandosi sulle costruzioni di senso che, nel tempo e tramite il linguaggio, contribuiscono a plasmare i concetti astratti di “identità” e “realtà”. Deposito di storie umane e più-che-umane, la polvere è assunta dal duo artistico come nuova forma simbolica della contemporaneità tramite cui (rap)presentare il divenire dell’indicibile e dell’informe, di ciò che sfugge all’umana pretesa di definizione.

Deborah Maggiolo: Il concetto di identità, insieme a quelli di tempo e linguaggio attraverso cui l’essere umano tenta invano di definirsi, è centrale nella vostra ricerca. Come descrivereste Alice e Ahad: come e quando emerge la volontà di con-fondervi in un duo artistico, e lungo quali traiettorie le vostre poetiche personali vi accomunano e vi distinguono?

AHAD: Quando ci siamo conosciutɜ avevamo due background differenti. Io lavoravo su ciò che dà forma a quella che chiamiamo “identità” attraverso esperienze culturali, familiari, educative e così via. La ricerca di Alice era più di tipo linguistico, sulla formazione dell’identità attraverso il linguaggio. 

ALICE: Comunicazione e condivisione sono state fondamentali, il nostro atto di fusione si è basato sul dialogo e i primi lavori insieme manifestavano quest’incontro dialogico tra due identità distinte. Ahad proveniva da un percorso pittorico, analizzando come un soggetto acquisisce più che la propria definizione il proprio divenire. Io ero più affascinata dallo studio di come creiamo la realtà. Quando ci siamo incontratɜ in Canada abbiamo visto delle affinità, quasi delle complementarietà, e i nostri scambi ci hanno condottɜ alla polvere che, col tempo, è diventata una metafora. Ahad la definisce un “grande vuoto” che contiene tutto: è la materia di studio in cui abbiamo ritrovato sia l’identità che il discorso linguistico, che è legato al tempo, e nel tempo fondiamo identità e linguaggio, quindi, i significati che si trasformano, oltre alle identità.

DM: Nel progetto presentato lo scorso anno a SpazioSERRA vi riferivate alla polvere come “materiaprima”, alludendo a come in essa tutto si trovi in una sorta di omeostasi data da un processo di continua trasformazione. Possiamo affermare che la materia si dà nel costante dinamismo di dissoluzione entropica e stabilità neghentropica dove con “neghentropia” il fisico austriaco Erwin Schrödinger indica la capacità pre-individuale di resistere alla dissipazione, evidenziando una generale tendenza all’equilibrio della materia. Volete raccontarmi come le nozioni di forma e vanitas si intrecciano nella vostra ricerca sul significato?

ALICE: La polvere è una materiaprima per un discorso percettivo. Quanto era stato esposto a SpazioSERRA era in trasformazione e per noi la polvere è questo. Ciò che si manifesta è un materiale morto, lo scarto, il frantumarsi di un’entità che arriva alla sua fine. Ma le definizioni di “inizio” e “fine” sono classificazioni linguistiche che rispondono a percezioni acquisite. Abbiamo osservato per la prima volta l’accumularsi della polvere durante una mostra in cui studiavamo l’identità, analizzando le tracce passate di uno specifico ambiente. Attraverso un percorso a ritroso, una sorta di archeologia delle tracce, ci siamo chiesti quale immagine potesse darne restituzione. La polvere ne è emersa come accumulo in continua espansione, hyper dust. L’entropia è un passaggio di energia attraverso i corpi, dove quelli che posseggono più calore condividono la propria energia per fornire trasformazioni successive e cambiare lo stato delle cose. È esattamente ciò che succede nella polvere. 
Ma quando il sistema raggiunge il massimo livello di stabilità, tutte le particelle si trovano ferme, in uno stato di morte apparente. E ciò è paradossale rispetto al tentativo umano di mettere ordine al caos: riordinare toglie energia, entropia, la possibilità di rimescolamento. Cosa che nella polvere non accade: è un ambiente in cui tutto è ri-trasformato, ci sono molti microorganismi al suo interno che continuano a rimescolarla, co-abitando fra i suoi frammenti. Si tratta di movimenti impercettibili all’occhio umano che però esistono.

AHAD: Lavorare con la polvere e sull’identità corrisponde al tentativo di definire qualcosa nel momento in cui, come nella temporalità della termodinamica, assume una stabilità, che è anche il momento in cui tutto muore. Questo tentativo costante corrisponde per noi al concetto di vanitas: si cerca ma non si arriva mai a trovare qualcosa di definitivo. Quando si identifica qualcosa di fermo in realtà tutto è ancora in movimento, fissarlo è decisione arbitraria e illusoria.

DM: Come la polvere è materiaprima, allo stesso modo è materia vibrante, per citare la filosofa statunitense Jane Bennet, una materialità vitale che attraversa e lega i corpi umani e non-umani. La polvere è accumulo di potenzialità e luogo comune, inteso come dimensione della coesistenza. Rispetto a queste considerazioni, come si trasforma la vostra ricerca nel progetto presentato a depositomele, nuovo spazio culturale no-profit della scena indipendente milanese, intitolato “Hyper Dust. A Series of Post-Human Relations”?

ALICE: Nelle opere presentate a SpazioSERRA c’era un lavoro in parallelo tra materia e forma, dove il processo trasformativo della polvere era osservabile. In questo caso, abbiamo creato delle immagini più fisse, quasi dei ritratti, di ciascun accumulo. In Studi di polvere e frammenti (2022), tramite delle scansioni abbiamo rovistato nella polvere per farci raccontare la sua storia, intrattenendo con essa un dialogo. Il medium cattura un’archeologia di tracce accumulate dalla polvere nel tempo, ma ciò che ne deriva sono immagini uniche, poiché in ogni fotogramma c’è un accumulo diverso di polvere che porta con sé una storia peculiare. Sono narrazioni che si autodefiniscono – ed ecco l’identità – cui noi abbiamo soltanto dato spazio per esprimersi, per fare emergere quello che si nascondeva all’interno.

AHAD: L’omonima serie di acquerelli è un’analisi di polvere raccolta in diversi luoghi che, anche visivamente, restituisce composizioni completamente diverse, sia in texture che in colore. Uno degli acquerelli riflette sull’abitudine a considerare la polvere come un monocromo grigio: in realtà, questo contiene tutti i colori che consentono di creare il suo grigio peculiare. Esistono diversi frammenti, nella polvere, che percepiti insieme restituiscono un monocromo ma che, separati, restituiscono le sue diverse sfumature. In questo caso, abbiamo mescolato l’acqua con la polvere al fine di liberarne i colori – mi piace molto dare l’opportunità alla polvere di essere un medium. Osservando le griglie che segmentano la superficie degli acquerelli, si nota come la materia iniziale venga utilizzata finché esaurisce, e consumandosi lascia una traccia.

ALICE: Alla base dei lavori, esiste un atto performativo che rimanda a un agire temporalmente limitato: inizialmente queste macchie sono più intense, poi si sgretolano. 

AHAD: Le opere tentano poi di dare ordine al caos della polvere, i fogli sono ben segmentati, ogni cella è numerata. 

ALICE: È una sorta di battaglia navale, dove in campo c’è un ordine che è anche incrociato, e permette di mantenere aperto il dialogo.

Futuro Anteriore, 2020, scultura di polvere, 120 x 80 cm (altezza variabile) Courtesy foto Alice Mestriner e Ahad Moslemi

DM: L’idea di tempo legata alla polvere invita a considerare una ciclicità stratificata di temporalità differenti, situandosi fra presenza e assenza, dimensione materiale e immateriale. La polvere non può dirsi propriamente archivio, non opera una classificazione sistematizzata delle sue componenti: è piuttosto ontologia della mescolanza, deposito biologico e mnemonico di tracce materiali e di storie più-che-umane; è sintomo della memoria collettiva nella sua forma anti-monumentale. La riattivazione costante di questa memoria prende corpo nelle vostre opere manifestando una forte componente (auto)biografica della polvere. Volete argomentare su questo aspetto?

ALICE: Oggi Elena (Bosciano) ci ha portato la polvere di depositomele ed è piena di vernice e di capelli di diverso colore: questa è la sua storia. La polvere parla di se stessa e si autorappresenta senza bisogno di aggiungere, è quasi un mondo a-linguistico che non rappresenta ma si presenta.
La nostra è un’attenzione al mondo delle micro-azioni. Esiste un mondo che categorizziamo come invisibile le cui conseguenze sono però iper-visibili – un po’ come l’“effetto farfalla”, che mostra come una serie di piccole azioni, concatenandosi, possa causare una grande variazione sistemica. Alla base di questo meccanismo c’è un’interazione con l’altro e un progressivo aumentarsi che è metafora di ciò che abbiamo voluto portare alla luce attraverso la polvere. Il nostro è un fermarsi per percepire l’altro e quanto già esiste. Se con l’Umanesimo abbiamo adottato una sola prospettiva, un solo punto di osservazione centrale – quello dell’Uomo, ora non è più possibile considerare solo quello. Nella polvere si accumula un’infinità di visioni divergenti, per questo è per noi materia viva e in espansione. Dandole una nuova forma, non pensandola più secondo una visione unidirezionale e prospettica ma secondo più punti di osservazione, la proponiamo come forma simbolica di questa contemporaneità, come una realtà che comprende umano e più-che-umano. Attraverso il linguaggio abbiamo inventato il concetto di “umano”, ma prima vivevamo nell’estensione. La polvere è questa estensione di elementi che interagiscono amplificandosi vicendevolmente. È il riflesso di ciò che avviene su macro-scala, nella realtà che si manifesta.
Rispetto all’anti-monumentalità, perché nasconderne la trasformazione? Perché creare un’immagine fissa di qualcosa che non c’è più? Questo si ricollega al discorso di come pensiamo alla morte e, di conseguenza, alla vita.

AHAD: Penso che tutto questo abbia poi a che fare col discorso dell’informe, dell’ossessione umana di dare forma all’informe. Ma accettando l’informe si accetta una percezione più globale e complessa. Esistono entità – come i buchi neri – che rimangono informi, che non si lasciano definire in una forma, ma di cui conosciamo la forza. Dunque, anche rispetto alla polvere, possiamo accettarne l’informalità, considerarle come entità in divenire.

DM: Rispetto al linguaggio, l’umana tendenza a definire che è paura del finire, la polvere è s/oggetto di una rimozione al contempo fisica e mentale. Esiste un certo disagio che lega l’essere umano all’esperienza della polvere, considerata insieme materia sporca e inerte, incarnazione stessa della morte. Io stessa mi sono soffermata a rifletterci conservando la polvere depositatasi nel mio habitat domestico per farvene dono. Si tenta sempre invano di addomesticare la polvere, di sbarazzarsi di questo ingombrante “altro” che non è altro che un microcosmo collettivo e immortale che noi umanɜ contribuiamo ad alimentare, e che sempre torna a manifestarsi, sotto forma di memento. Parafrasando la filosofa femminsita Donna Haraway, la vostra ricerca aiuta a percepire come non siamo Homo ma polvere.


ALICE: Siamo stati abituatɜ a definirci come individui. In realtà, già a livello biologico, il corpo è un terreno condiviso in cui coabitano una serie di altri organismi, ed è esattamente ciò che si riflette nella polvere. Rispetto al ribrezzo, la polvere mi fa pensare al concetto di sublime romantico: è quella cosa che, al tempo stesso, attrae e perturba, quando in realtà circa il 70% del suo accumulo è grigio perché contiene depositi di pelle umana.
AHAD: Anche solo attraverso la respirazione ci con-fondiamo col mondo, che penetra nei nostri corpi. Siamo individui adesso, qui e ora, ma in eterno divenire nello scambio costante con il mondo.

La tela di polvere, 2020 (dettaglio), polvere, 80 x 120 x 20 cm Courtesy Alice Mestriner e Ahad Moslemi Foto Giulio Favotto
Alice Mestriner e Ahad Moslemi – “Hyper Dust – A Series of Post-Human Relations”, depositomele 2022 – Courtesy e foto Alice Mestriner, Ahad Moslemi e depositomele