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Le tante storie degli oggetti — Martino Gamper, Museion

[nemus_slider id=”44388″] Museion, Bolzano Giugno 2015 Ci ha fatto sedere in 100 sedie costruite con gli scarti trovati lungo le strade di Londra. Ci ha mostra un altro modi di vedere le creazioni di Gio Ponti e Carlo Mollino; a...

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Museion, Bolzano Giugno 2015

Ci ha fatto sedere in 100 sedie costruite con gli scarti trovati lungo le strade di Londra. Ci ha mostra un altro modi di vedere le creazioni di Gio Ponti e Carlo Mollino; a Torino, nella ‘fetta di polente’ (mostra Comdominium da Franco Noero, 2011), ha ideato ambienti visionari per abitanti immaginari. Martino Gamper, quasi retorico ribadirlo, è il ‘cappellaio matto’ del Paese delle Meraviglie (del design), ma anche il Geppetto astuto che, con abilità, crea tanti Pinocchi di legno animato.

L’abilità di questo artigiano contemporaneo ha dello stupefacente. Oso quasi pensarlo come se fosse provvisto di poteri animistici. Perché, nella sua mostra “Design is a state of mind” ospitata attualmente al Museion di Bolzano – dopo le tappe alla Serpentine Sackler Gallery di Londra (marzo –maggio 2014) e alla Pinacoteca Agnelli (Lingotto, Torino, Novembre 2014 –  Febbraio 2015), si ha veramente la sensazione che le centinaia di oggetti bisbiglino tra loro, si spingano per accaparrarsi le prime file o si contraggano negli angoli, si nascondano. Prima di essere oggetti pensati, progettati e costruiti, sono ‘esserini’ animati dalla forza del loro reclutatore; come le scope del Mago-Topolino, tutto, nella mostra “Martino Gamper: design is a state of mind” si mette a ballare.

Gamper ha raccolto per questo progetto un ‘reggimento’ di librerie e mobili, che raccontano la storia del design e il loro impatto sulle nostre vite, dagli anni ’30 ad oggi. Mescolando stili e gusti, affettando umori e progetti, cuocendo funzionale con decorativo, impastando minimalismo con appetiti stravaganti, Martino ci nutre con stimolanti visioni concettuali. Il suo ingrediente segreto – sempre per utilizzare delle metafore prese a prestito dall’ambiente culinario, a lui molto caro – è il ‘caso’, la casualità, l’intuizione momentanea, quando non la bruciante folgorazione. Frammenti, collage, scarti sono gli elementi principale del suo ‘fare’. Sì perché del vetro, legno, ferro, plastica lui ne usa, appunto, i frammenti e gli avanzi. Non è un caso che le sue prime creazioni siano state definite ‘rozze e sgraziate’. Le stesse cose che, un decennio dopo sono portate come esempio di stupefacente design contemporaneo, che ha dribblato con naturalezza gli stereotipi in cui il design è spesso fossilizzato: aridità e perfezionismo tecnologico, maniacalità ed esasperazione concettuale, ingenuità e snobberia del pezzo unico (“gli artisti del design”). Poco più che quarant’enne (nasce a Merano nel 1971), Martino Gamper se ne esce a testa alta dai cliché modaioli e convenzionali del progettare design.

Senza spudoratezza “va a braccetto” con Gio Ponti e con Carlo Mollino – non so se abbia lo stesso genio, sicuramente ne impersona la stessa bravura -, ammettendo che quando ha iniziato a lavorare con i loro scarti ha raggiunto una nuova dimensione a quello che lui chiama “ritrattamento”. “Quando ho iniziato il taglio di quei pezzi ho potuto vedere la ricchezza dei dettagli, anche in qualcosa di piccolo come una piega. E’ stato solo smontandoli che ho capito quanto ragionamento ci fosse dietro alla loro cultura.”

Eclettico ‘chirurgo del design contemporaneo’, Gamper ha portato, prima a Londra e ora a Torino, alla Pinacoteca Agnelli, la sua visione fluida ed espansiva del design. Acculando idee e oggetti, pensieri e cose, concetti e manufatti, ha ricreato una Wunderkammer del quotidiano dove allo stupore per le cose rare si alterna il divertimento per l’oggetto trash. In questo saliscendi di cultura bassa e alta, popolare e raffinata, attraversiamo decenni di storia del design, dal super griffato – Enzo Mari, Paul Neale, Max Lamb & Gemma Holt, Jane Dillon, Michael Marriott, Sebastian Bergne, Fabien Cappello, Adam Hills, Michael Anastassiades, Andrew Mc Donagh & Andreas Schmid, Daniel Eatock e Martino Gamper stesso – al quello più anonimo. Per la disposizione di questa miriade di oggetti – dalle pentole, ai piatti-bicchieri-stoviglie varie, alle radioline, alle scope, ai vasi giapponesi, agli animali impagliati, ai coltelli, nidi, maschere, scheletri, falci e martelli, scarabei, mutande, mappe e badili ecc. ecc. – Martino ha utilizzato degli scaffali, molti dei quali sono pezzi del 20° secolo fatti da design italiani e stranieri che ammira, come Franco Albini, Gaetano Pesce, Alvar Aalto, Giò Ponti, Ettore Sottsass, Andrea Branzi,  Ercol, Charlotte Perriand,   Angelo Mangiarotti, Ron Arad, Anna Castelli Ferrieri, Piero Fornasetti ecc.

Non esiste un design perfetto e non c’è un ultra design. Gli oggetti ci parlano in maniera personale. Alcuni dovrebbero essere più funzionali di altri e l’impatto emozionale che hanno su di noi rimane molto individuale. La mostra mette in evidenza un modo molto personale di collezionare e raccogliere oggetti, con pezzi che raccontano una storia.” Martino Gamper.

Per la tappa a Museion Gamper coinvolgerà anche collezioni private altoatesine. È parte dell’esposizione anche un’ampia biblioteca di pubblicazioni sui mobili contemporanei da tutto il mondo. (dal catalogo stampato in occasione della mostra ““Martino Gamper: design is a state of mind”, organizzata in collaborazione con Serpentine Galleries di Londra e il Museion di Bolzano.)

Design is a state of mind,   exhibition view,   Museion  Foto: Luca Meneghel.
Design is a state of mind, exhibition view, Museion Foto: Luca Meneghel.
Daniel Eatock & Andrea Branzi,   Wall Bookshelf,   2011. Installation view,   Museion 2015. Foto: Luca Meneghel
Daniel Eatock & Andrea Branzi, Wall Bookshelf, 2011. Installation view, Museion 2015. Foto: Luca Meneghel
Andreas Schmid e Andrew McDonagh & Martino Gamper,   Mobile Mare & Monti,   2011 Installation view,   Museion 2015. Foto: Luca Meneghel
Andreas Schmid e Andrew McDonagh & Martino Gamper, Mobile Mare & Monti, 2011 Installation view, Museion 2015. Foto: Luca Meneghel
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